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Dopo una passeggiatina per la città, mi diressi alla casa di Cam: Peggotty si era completamente stabilita con lui; e aveva appigionato la sua casetta al successore di Barkis, che l’aveva ben pagata per la clientela, il carro e il cavallo. E credo che viaggiasse ancora lo stesso pigro cavallo già condotto da Barkis.

Li trovai tutti in una cucina assai nitida, insieme con la signora Gummidge, che lo stesso pescatore Peggotty era andato a chiamare dal vecchio battello. Credo che nessun altro avrebbe potuto indurla a disertare il suo posto. Evidentemente egli aveva loro narrato tutto. Tanto Peggotty quanto la signora Gummidge avevano i grembiuli agli occhi, e Cam era appunto in quel momento uscito «a fare un giretto sulla spiaggia». Tosto fu di ritorno, lietissimo di vedermi. Credo che la mia presenza facesse loro del bene. Parlammo, sforzandoci d’essere allegri, del pescatore Peggotty che sarebbe diventato ricco in un nuovo paese, e delle meraviglie che ci avrebbe descritte nelle sue lettere. Emilia non fu no-minata. Cam si mostrava il più sereno della brigata.

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Ma Peggotty mi disse, quando ella mi fece salire in una camerina dove, su un tavolino, m’aspettava il libro dei coccodrilli, che egli era sempre lo stesso. Ella credeva (mi disse piangendo) ch’egli avesse il cuore straziato, benché fosse pieno di coraggio e di dolcezza, e lavorasse con maggiore attività e destrezza di qualunque altro costruttore di barche del luogo. A volte, la sera, si parlava della vita passata a bordo del vecchio battello; e allora egli faceva menzione dell’Emilia al tempo ch’era bambina; ma non diceva mai nulla di lei diventata grande.

Mi parve d’avergli letto in faccia che desiderava di parlarmi da solo. Perciò risolsi di trovarmi sulla sua strada la sera appresso, all’ora del suo ritorno dal lavoro. Deciso questo, m’addormentai. Quella notte, per la prima volta dopo tante notti, la candela fu tolta dalla finestra, il pescatore Peggotty si rannicchiò nella sua vecchia amaca nel vecchio battello, e il vento gli mormorò con l’antica voce intorno alla testa.

Tutto il giorno appresso egli fu occupato con la sua barca da pesca e con le sue reti, e a imballare e a mandare a Londra, in un furgone, quegli arredi che potevano ancora servirgli, lasciando il resto alla signora Gummidge.

Ella stette con lui tutto il giorno. Siccome io sentivo il melanconico desiderio di rivedere ancora una volta l’antica dimora, prima che venisse chiusa, promisi di andarvi la sera, ma disposi le cose in modo da poter parlare 1310

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prima con Cam.

Mi era facile incontrarlo, perché sapevo dove lavorava.

Andai ad attenderlo su un cantuccio solitario della spiaggia, che egli attraversava sempre, e ritornai con lui, perché egli avesse tutto l’agio di parlarmi, se questo era in realtà il suo desiderio. L’espressione del suo viso non m’aveva ingannato. Avevamo fatto appena un po’ di passi insieme, che egli mi disse, senza guardarmi:

– Signorino Davy, l’avete vista?

– Solo un istante, mentre era svenuta – risposi dolcemente.

Andammo un po’ innanzi, ed egli disse:

– Credete che la rivedrete, signorino Davy?

– Sarebbe troppo penoso per lei, forse.

– Ci ho pensato anch’io, signore – egli rispose – sì, ci ho pensato.

– Ma, Cam – dissi dolcemente – se v’ è qualche cosa che io possa scriverle, da parte tua, nel caso che non potessi parlarle; se v’è qualcosa che tu vorresti farle sapere per mezzo mio, sarebbe un incarico che io considererei come sacro.

– Ne sono sicuro. Grazie, signore, voi siete molto buono. Ci sarebbe qualcosa che vorrei le si dicesse o scri-vesse.

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– Che cosa?

Camminammo un po’ più oltre in silenzio, e poi egli parlò.

– Non si tratta di dirle che io le perdono. Non serve di dirlo. Si tratta piuttosto di chiederle di perdonarmi, per averle quasi imposto il mio affetto. Certe volte, credo che se non avessi avuto la sua promessa di sposarmi, ella, che aveva fiducia in me, come amica, mi avrebbe detto ciò che le passava in cuore, e si sarebbe consigliata con me, e avrei potuto salvarla.

Io gli strinsi la mano.

– Questo è tutto?

– V’è ancora dell’altro – egli rispose se posso dirlo, signorino Davy.

Continuammo a camminare, e per un bel tratto, prima ch’egli si decidesse a parlare. Non piangeva quand’egli faceva le pause che io segnerò con dei puntini. Soltanto si raccoglieva per spiegarsi con maggiore chiarezza.

– Io l’amavo... e amo la sua memoria... tanto... che non potrò farle credere che io sia felice. Potrei soltanto esser felice... col dimenticarla... e temo che non potrei tollerare che le si potesse dire che l’ho dimenticata. Ma se voi, che siete così istruito, signorino Davy, riusciste a dirle qualche cosa che le facesse credere che non ho sofferto molto, pure amandola e compiangendola; qualche cosa 1312

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che le facesse credere che non sono stanco della vita, e che pure spero di vederla senza macchia dove non arrivano i tiri dei malvagi e dove riposano gli stanchi...

qualche cosa che potesse calmarle l’anima addolorata, e pure non farle pensare che io possa mai ammogliarmi, o che qualche altra possa esser mai per me ciò che era lei... vi pregherei di dirlo... e che prego per lei... che m’era così cara.

Gli strinsi la mano, e gli dissi che avrei eseguito l’incarico come meglio avrei potuto.

– Grazie, signore – egli rispose. – Siete stato molto buono venendomi incontro. E siete stato molto buono accompagnando mio zio fin qui. Signorino Davy, mia zia verrà a Londra prima ch’essi partano e si troveranno ancora una volta insieme; ma io so che non lo rivedrò più.

Ho deciso così. Non ce lo diciamo, ma sarà così, e sarà meglio. L’ultima volta che lo vedrete... l’ultimissima...

dategli i più caldi saluti, i più affettuosi ringraziamenti dell’orfano, al quale ha fatto più di quanto avrebbe fatto un padre. Gli promisi anche questo, fedelmente.

– Di nuovo vi ringrazio, signore – egli disse, stringendomi calorosamente la mano. – So dove andate, addio!

Con un leggero cenno della mano, come per spiegarmi che non poteva entrare nell’antica dimora, s’allontanò.

Guardandolo andare, mentre traversava il piano nel chiarore della luna, lo vidi voltare verso una striscia ra-1313

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diosa sul mare, e proseguire, contemplandola, finché egli non fu che un’ombra in distanza.

La porta della casa-battello era aperta, quando arrivai; ed entrando, la trovai vuota di tutti i mobili, tranne di uno dei vecchi bauli, sul quale era seduta la signora Gummidge con un paniere sulle ginocchia, di fronte al pescatore Peggotty, che era poggiato col gomito alla mensola del caminetto, e sembrava contemplasse le ceneri del fuoco a metà spento. Ma egli si riscosse, al mio ingresso, e mi guardò speranzosamente, salutandomi allegramente.

– Venite, secondo la promessa, a dire addio alla casa, eh, signorino Davy? – disse, prendendo la candela. – Già nuda, ora, non è vero?

– Non avete perduto tempo – dissi.

– No, ci siamo dati da fare, signore. La signora Gummidge ha lavorato come... non so dirvi quanto abbia lavorato la signora Gummidge – disse il pescatore Peggotty, guardandola, impacciato a trovare una similitudine abbastanza lusinghiera.

La signora Gummidge, chinata sul paniere, non disse una parola.

– Quello è lo stesso baule sul quale voi era vate solito di sedervi insieme con l’Emilia – disse il pescatore Peggotty sottovoce. – Sarà l’ultimo oggetto che mi porterò via.

Ed ecco la vostra cameretta, vedete, signorino Davy?

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