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Charles Dickens David Copperfield

Già vuota.

Il vento, benché soffiasse moderatamente, aveva un suono solenne e strisciava su quella dimora semideserta con un gemito represso ch’era quasi lugubre. Tutto era sparito, perfino lo specchietto incorniciato di conchiglie.

Pensai al tempo in cui avevo dormito la prima volta sotto quel tetto, mentre avveniva a casa mia un così gran mutamento. Rividi la bambina dagli occhi azzurri che m’aveva incantato. Ripensai a Steerforth: e mi prese lo sciocco timore ch’egli fosse in quei pressi e si potesse incontrare ad ogni angolo.

– Forse passerà molto tempo – disse il pescatore Peggotty – prima che il battello trovi nuovi inquilini. Ora viene considerato come maledetto.

– È di qualcuno del paese? – dissi.

– Di un costruttore lì in paese. Gli debbo consegnare la chiave stasera.

Entrammo nell’altra cameretta, e poi tornammo dalla signora Gummidge, che sedeva sul baule. Il pescatore Peggotty, mettendo la candela sul caminetto, la pregò di alzarsi, per poter trasportar fuori il baule prima di spegnere la candela.

– Daniele – disse la signora Gummidge, abbandonando immediatamente il paniere, per afferrarsi al braccio dell’uomo – mio caro Daniele, le parole d’addio che io dico a questa casa sono che io non voglio esser lasciata 1315

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qui. Non pensare di lasciarmi qui, Daniele! Per carità, non lo fare!

Il pescatore Peggotty, preso all’improvviso, volse lo sguardo alla signora Gummidge e a me, e poi da me alla signora Gummidge, come se fosse stato svegliato da un sogno.

– Non lo fare, caro Daniele, non lo fare! – gridava commossa la signora Gummidge. – Conducimi insieme con te, Daniele, conducimi con te e con l’Emilia. Io sarò la tua serva costante e fedele. Se vi sono schiavi nelle parti dove vuoi andare, io sarò la tua schiava, e sarò contenta; ma non lasciarmi qui, Daniele caro caro!

– Anima mia! – disse il pescatore Peggotty, scotendo il capo. – Tu non sai come sarà lungo il viaggio, e che brutta vita sarà.

– Sì, Daniele, lo so, me lo immagino! – esclamò la signora Gummidge. – Ma le mie ultime parole in questa casa sono che io morirò, se non mi conduci con te. Io so adoperar la vanga, Daniele, so lavorare. So ciò che è la fatica. Sarò buona e paziente. Daniele, più che tu non immagini. Io non toccherei mai un soldo del tuo assegno, dovessi morir di fame, Daniele Peggotty; ma verrò con te e l’Emilia, se vuoi, fino in capo al mondo. Lo so cosa c’è; so che credi che io mi ritenga solitaria e abbandonata, tua, amore caro, non è più così. Non sono stata qui a vegliar sola, tanto tempo, e a pensare alle tue 1316

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pene, senza imparar qualche cosa. Signorino Davy, parlate voi per me. Io conosco le sue abitudini e quelle dell’Emilia, conosco i loro affanni, e potrei qualche volta consolarli, e lavorar per tutti. Daniele, caro Daniele, fammi venire con te.

E la signora Gummidge gli prese la mano, e gliela baciò con sincera affezione, con un impeto familiare di devozione e di gratitudine da lui veramente meritato.

Trasportammo fuori il baule, spegnemmo la candela, chiudemmo la porta, e lasciammo il vecchio battello, che parve un punto nero nella notte nuvolosa. Il giorno dopo, quando partimmo per Londra, sull’imperiale della diligenza eravamo insieme con la signora Gummidge la quale, col paniere sulle ginocchia, sedeva lieta e felice.

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LII.

ASSISTO AD UNO SCOPPIO

Mancavano soltanto ventiquattro ore al misterioso appuntamento datoci così misteriosamente dal signor Micawber, quando mia zia ed io ci consultammo sul da fare, perché mia zia era molto riluttante a lasciare Dora.

Ah, come facilmente portavo allora Dora su e giù per le scale!

Eravamo disposti, nonostante il desiderio del signor Micawber che mia zia fosse presente, di lasciarla a casa e di rappresentarla io e il signor Dick. In breve, avevamo stabilito di adottare questa decisione, quando Dora rove-sciò ogni nostro calcolo dichiarando che non si sarebbe mai perdonata e non avrebbe mai perdonato al suo cattivo marito, se mia zia, per qualsiasi motivo, fosse rimasta a casa.

– Io non vi dirò una parola – disse Dora, scotendo i riccioli – sarò noiosa; vi farò abbaiare contro da Jip tutto il giorno. E mi persuaderò veramente che siete una burbera vecchia, se non ci andate.

– Zitta, Fiorellino – disse mia zia, ridendo. – Tu sai che non puoi stare senza di me.

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– Invece no – disse Dora. – Voi non mi servite. Voi non correte su e giù per le scale tutto il giorno per me. Non vi sedete mai accanto a me a parlarmi di Doady, di quando le sue scarpe erano rotte, ed egli era tutto impolverato... oh, poverino! Mi fate mai qualche cosa che mi piaccia, voi? – Dora s’affrettò a baciare mia zia e a dire:

– Sì che fate tutto, stavo scherzando – per paura che mia zia la pigliasse sul serio. – Ma, zia – disse Dora, carezzevolmente – ora ascoltate. Voi dovete andare. Io vi sec-cherò tanto che finirete col fare a mio modo. Darò tanti dispiaceri al mio cattivo marito, se non vi conduce. Di-venterò tanto noiosa... e lo diventerà anche Jip. Volete poi pentirvi per sempre e per sempre di non esserci andata? Inoltre – disse Dora, ravviandosi i riccioli, e guardando curiosa mia zia e me – perché non dovete andare tutti e due? Non mi sento molto male. Che? Sto molto male, forse?

– Che domanda! – esclamò mia zia.

– Che discorsi! – dissi io.

– Sì, lo so che sono sciocca! – disse Dora, guardando pianamente prima me, e poi mia zia, e atteggiando le labbra come a baciarci dal suo lettino. – Bene, allora dovete andare tutti e due, o non vi crederò; e allora mi metterò a piangere.

Vidi, nel viso di mia zia, che ella cominciava a cedere, e Dora, che se n’accorse anche lei, si illuminò di nuovo.

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– Al ritorno avrete da dirmi tante cose, che ci vorrà almeno una settimana per farmele capire! – disse Dora. –

Perché so che non capirò, tutto a un tratto, se si tratta di affari, com’è probabile. Se poi vi saran delle addizioni da fare, non so se ci riuscirò; e il mio cattivo marito mi terrà intanto il broncio. Ecco! Ora voi andrete, non è vero? Starete via soltanto una sera, e Jip saprà farmi buona guardia in vostra assenza. Doady mi porterà su prima d’andarvene, e io non verrò giù finché non ritor-nerete; e mi farete il piacere di portare ad Agnese una mia terribile lettera di rimproveri, perché non è mai venuta a trovarci.

Convenimmo, senz’altro, d’andare entrambi, e che Dora era una piccola impostora, che fingeva di sentirsi male per essere vezzeggiata. Ella ne parve gioiosamente soddisfatta; e in quattro, vale a dire mia zia, il signor Dick, Traddles e io partimmo per Canterbury con la diligenza di Dover quella sera stessa.

All’albergo, dove il signor Micawber ci aveva dato l’appuntamento, e dove entrammo, non senza qualche difficoltà, nel cuore della notte, trovai una lettera che diceva che egli si sarebbe presentato puntualmente alle nove e mezzo. Dopo di che, ci recammo tutti intirizziti, a quell’ora indebita, ai nostri rispettivi letti, per una lunga successione di piccoli corridoi, che odoravano come se fossero stati immersi per secoli in una soluzione di minestra e scuderie.

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La mattina presto, vagai per quelle vecchie e tranquille vie, e di nuovo mi trovai all’ombra dei venerandi cancelli e della Cattedrale. Le cornacchie svolazzavano intorno alle torri, che, dominando un vasto spazio della campagna lussureggiante traversata da limpide acque, si profilavano nella trasparente aria del mattino, come se non vi fossero stati in terra mutamenti di sorta. Pure, le campane, sonando, mi narravano melanconicamente di mutamenti in ogni cosa; mi narravano della loro età, e della giovinezza della mia leggiadra Dora, e dei molti, che avevano vissuto, avevano amato ed erano morti, mentre le loro vibrazioni, ronzando a traverso la ruggi-nosa armatura del Principe Nero sulla Cattedrale, festu-che sull’abisso del Tempo, s’erano dileguate nell’aria come cerchi nell’acqua.

Contemplai da un angolo l’antica casa che mi aveva ospitato, ma non mi avvicinai, per tema che, osservato, potessi involontariamente mandare a monte il disegno per cui eravamo stati chiamati. Il sole della mattina illuminava l’orlo dei suoi comignoli e le incorniciature delle finestre, dipingendoli d’oro; e come un senso dell’antica pace mi scendeva in cuore.

Andai a passeggio in campagna per un’oretta, e poi tornai per la via principale che nel frattempo s’era riscossa dal sonno. Fra quelli che s’affacendavano nelle botteghe, vidi il mio antico nemico, il macellaio, che certo aveva prosperato negli affari, e si mostrava ai passanti 1321

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con un bel paio di stivali e un bambino. Era occupato a vezzeggiare il bambino, e sembrava il più tranquillo cittadino del mondo.

Eravamo tutti molto ansiosi e impazienti, quando ci sedemmo a tavola per la colazione. Come ci avvicinavamo alle nove, la nostra inquietudine aumentava. Finalmente non facemmo neanche più mostra d’occuparci del pasto, che, salvo che per il signor Dick, era stato fin dal principio una semplice formalità; ma mia zia si mise a passeggiare su e giù per la stanza; Traddles, seduto sul canapè, faceva, con gli occhi al soffitto, le viste di leggere il giornale; e io guardavo fuori della finestra per dare il primo annunzio dell’arrivo del signor Micawber.

Are sens