– Prima di cambiar discorso, voi dovreste persuadervi –
dissi, rompendo un silenzio durato a lungo – che io cre-1021
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do che Agnese Wickfield sia così al di sopra di voi, e così lontana da tutte le vostre aspirazioni, come può esser la luna.
– Ella è così tranquilla, non è vero? – disse Uriah. –
Tranquillissima. Ora confessate, signorino Copperfield, che voi non m’avete voluto mai bene, come ve n’ho voluto io. E potrei meravigliarmi se ancora adesso mi giu-dicaste troppo umile?
– Non mi piacciono le proteste di umiltà risposi – e le proteste di nessuna specie. .
– To’ – disse Uriah, con viso cinereo e plumbeo nel chiarore della luna. – N’ero certo! Ma voi non sapete come la modestia s’addica a una persona della mia condizione, signorino Copperfield. Mio padre e io siamo stati allevati in una scuola pia, e anche la mamma fu allevata in una specie d’istituto di carità. Da mattina a sera, ci s’insegnò ad esser umili, e non molto d’altro, credo. Dovevamo essere umili con questo, umili con quello, e cavarci il cappello qua, e inchinarci là; e star sempre al nostro posto, e abbassarci sempre innanzi ai superiori. E avevamo tanti superiori! Papà si guadagnò la medaglia di caposquadra con l’essere umile, come me la guadagnai io. Papà fu sagrestano e becchino a forza d’umiltà. Egli aveva la reputazione, fra le persone a modo, di condursi così bene, che esse erano risolute a farlo salire. «Sii umile, Uriah – mi diceva papà – e sali-rai. È ciò che è stato sempre inculcato a me e a te nella 1022
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scuola; ed è ciò che riesce meglio. Sii umile – diceva papà – e riuscirai.» E realmente è stato così.
Era la prima volta che apprendevo che quell’ignobile mostra di falsa umiltà era un tratto speciale della famiglia Heep. Avevo veduto il raccolto, ma non avevo pensato alla semina.
– Quand’ero ragazzo – disse Uriah – riuscì a capire che significasse l’umiltà, e l’aggrappai stretta. Mangiavo il mio umile piatto con buon appetito. Mi fermai sull’umile gradino della mia istruzione, dicendomi: «Tienti saldo». Quando mi offriste d’insegnarmi il latino, io non fui così bestia da accettare. «Alla gente piace di sentirsi al di sopra di te – diceva papà – lascia fare». Io in questo momento sono umilissimo, signorino Copperfield, ma un po’ di potere l’ho conquistato.
Ed egli diceva questo – lo comprendevo guardandolo in faccia al chiaror della luna – perché sapessi ch’era determinato ad avvalersi di quel potere. Non avevo mai dubitato della sua bassezza, della sua astuzia e della sua malizia; ma comprendevo pienamente allora, per la prima volta, qual ignobile, inflessibile e vendicativo spirito fosse stato generato da quella prima e lunga costrizione della sua giovinezza.
Quel racconto su se stesso fu intanto seguito da un soddisfacente risultato, perché egli ritirò la mano da me per darsi un’altra stropicciatina al mento. Una volta separato 1023
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da lui, decisi di rimaner separato, e facemmo la passeggiata del ritorno, l’uno accanto all’altro, non scambiando più che poche parole.
Se il suo spirito si fosse alleggerito alla mia comunicazione o al racconto del suo passato, non saprei dire; ma qualche cosa certo l’aveva rallegrato. A desinare egli parlò più del solito; chiese a sua madre (scaricata al primo nostro ingresso in casa dal dovere di montar la guardia) s’egli non fosse già troppo vecchio per rimanere ancora scapolo; e una volta diede ad Agnese un’occhiata così fatta, che avrei dato tutto quanto avevo per il permesso di accopparlo.
Rimasti noi tre uomini soli, dopo il desinare, Uriah si slanciò ancor più. Aveva bevuto poco o nulla; e credo che l’avesse invaso la semplice insolenza del trionfo, animato forse dalla tentazione che la mia presenza gli offriva per farne pompa.
Avevo osservato la sera innanzi, che egli aveva cercato di far bere il signor Wickfield; e interpretando lo sguardo che Agnese mi aveva dato uscendo, m’ero limitato a un bicchiere, proponendomi poi di raggiungerla. Ero sul punto di fare lo stesso, quando Uriah mi precedette.
– Noi di rado abbiamo il piacere di avere con noi l’ospite odierno, signore – egli disse, volgendosi al signor Wickfield, che sedeva al l’estremità della tavola, formando un vero contrasto con lui – e io proporrei di dar-1024
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gli il benvenuto bevendo uno o due bicchieri in suo onore, se non vi dispiace. Signor Copperfield, alla vostra salute e alla vostra felicità.
Fui obbligato a fingere d’accettar la mano che egli mi porgeva a traverso la tavola; e poi, con diverso sentimento, presi la mano del disfatto gentiluomo, suo socio.
– Su, caro socio – disse Uriah – permettetemi di darvi l’esempio, bevendo ancora alla salute di qualche amico di Copperfield.
Passo rapidamente sui diversi brindisi fatti dal signor Wickfield a mia zia, al signor Dick, alla Corte del Doctor’s Commons, a Uriah, bevendo due bicchieri per ogni brindisi, pur sentendo la propria debolezza e lottando vanamente contro quella sua passione. Egli soffriva della condotta di Uriah, eppure cercava di conciliarselo.
Uriah trionfava e si contorceva dal piacere, mettendo il suo socio in mostra. Mi faceva male vederlo, e la mano repugna dallo scriverlo.
– Su, caro socio! – disse finalmente Uriah. – Tocca a me ora fare un brindisi; ma umilmente chiedo i bicchieri grandi, perché intendo di farlo alla più divina del suo sesso.
Il padre d’Agnese aveva il bicchiere vuoto in mano.
Lo depose, guardò il ritratto al quale ella assomigliava tanto, si portò la mano alla fronte, e si trasse indietro nella poltrona.
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– Io sono troppo umile per proporvi di bere alla sua salute – continuò Uriah – ma io l’ammiro, ma io... l’adoro.
Nessun dolore fisico, che la grigia testa di quel padre avrebbe potuto sopportare, mi sarebbe parso più terribile di quella sofferenza mentale che gli vedevo in quel momento compressa fra le mani.
– Agnese – disse Uriah, o non guardando il socio o non accorgendosi di qual natura fosse la sua azione, –
Agnese Wickfield è, ne sono certo, la più divina del suo sesso. Posso parlare liberamente, fra amici? Esserle padre è un grande onore, ma esserle marito...
Il Cielo mi risparmi di udir di nuovo un grido come quello con cui il signor Wickfield si levò in piedi!
– Che cosa è mai? – disse Uriah, diventando mortalmente pallido. – Spero che non siate diventato matto, signor Wickfield. Se dico che ho l’ambizione di far mia la vostra Agnese, ho lo stesso diritto di qualunque altro. Ho un diritto maggiore, anzi, di un altro.
Gettai le braccia intorno al signor Wickfield, scongiu-randolo per tutto ciò che aveva di più caro, di calmarsi un poco, ma specialmente per il bene che voleva ad Agnese. Egli era fuor di sé: si strappava i capelli, si batteva la testa, tentando di respingermi e di liberarsi da me, non rispondendo una parola, non guardando e non vedendo nessuno, senza sapere, nella sua cieca disperazione, ciò che volesse col viso fisso e sconvolto... Un 1026
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terribile spettacolo.