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– È caro – egli disse – per il dazio. Sei soldi. Questo paese è pieno di balzelli. E non c’è altro, tranne la mancia. Non contate l’inchiostro. Ce lo rimetto io di tasca mia.

– Che dovreste... che dovrei... quanto dovrei pa...

quanto sarebbe giusto dare per mancia, se non vi dispiace? – balbettai, arrossendo.

– Se non avessi una famiglia, e questa famiglia non avesse il vaiuolo – disse il cameriere – non prenderei neanche i sei soldi1. Se non mantenessi una mamma vecchia e una cara sorella – a questo il cameriere si commosse molto – non accetterei neanche un centesimo. Se avessi un buon posto, e fossi trattato bene qui, pregherei io gli avventori di accettare una mia piccola offerta, invece di accettarla io da loro. Ma io vivo di miseri avanzi... e dormo sul carbone; – e a questo il cameriere scoppiò in lagrime. Profondamente commosso dalle sue disgrazie, mi parve che un segno di riconoscenza minore di una lira potesse rappresentare da parte mia un vero indizio di brutalità e di durezza di cuore.

1 Qui e altrove non s’è seguito sempre il sistema monetario inglese, per facilitare al lettore il calcolo delle monete spicciole.

I «pence», in Italia, sono meno noti degli scellini e delle sterline.

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Perciò gli diedi uno dei miei tre lucenti scellini, ed egli lo prese con molta umiltà e venerazione, benché, immediatamente dopo, lo facesse girare sul pollice, per veder se non fosse falso.

Mi sentii alquanto umiliato, scoprendo, quando mi fu data una mano a salire in carrozza, che si supponeva che avessi mangiato tutto il desinare da solo e senza alcun aiuto. Me ne accorsi sentendo la signora, dalla finestra ornata in giro di polli e di pezzi di carne, dire al conduttore: «Bada a quel ragazzo, Giorgio, che può scoppiare!» e osservando che le persone di servizio mi s’erano raccolte intorno a sogghignare e a contemplarmi come un giovane fenomeno. Il mio disgraziato amico, il cameriere, che s’era perfettamente rimesso, non ne pareva affatto turbato, e s’era unito apertamente al branco dei miei ammiratori. Se mai dubitai di lui, credo che per un po’ vi contribuisse quel suo atteggiamento; ma son tratto a credere che con la semplice fiducia d’un fanciullo e la naturale buona fede d’un fanciullo negli adulti (qualità che non vorrei che i fanciulli cambiassero prematuramente con la saggezza del mondo), non ebbi una vera e propria diffidenza di lui, neanche allora.

Ma mi fu duro, debbo confessarlo, esser diventato, senza alcuna ragione, soggetto dei motteggi del cocchiere e del conduttore, i quali, perché io ero in un posto di dietro, dicevano che da quella parte la carrozza era troppo carica, e che mi sarebbe stato più conveniente viaggiare 128

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per carro completo. Sparsasi fra i passeggeri la storiella del mio straordinario appetito, s’ingegnarono tutti a divertirsi alle mie spalle; e mi chiesero se in convitto avrei dovuto pagare la retta in ragione di due fratelli o tre; se mi fossero state accordate condizioni particolari; e mi fecero simili altre piacevoli domande. Ma il peggio si era, che se mi si fosse offerta l’occasione di mangiare, mi sarei vergognato di farmi veder toccar cibo, e che, dopo un pasto piuttosto leggero, dovevo rimanermene con la fame tutta la notte – perché nella fretta avevo abbandonato le mie ciambelle all’albergo. Quando ci fermammo per la cena, non ebbi il coraggio di toccar nulla, con tutta la fame che sentivo, e me ne stetti accanto al fuoco affermando di non voler nulla. Neppur questo mi salvò dagli scherzi; perché un signore dalla voce rauca e dalla faccia rude, che per tutto il viaggio non aveva fatto che mangiare in continuazione panini gravidi, di cui aveva una scatola piena, quando non aveva bevuto lunghe sorsate da una sua bottiglia, osservò che io somi-gliavo al serpente boa, che faceva provvista di cibo per molto tempo; dopo di che egli subito si portò alla bocca una grossa fetta di manzo arrosto.

Eravamo partiti da Yarmouth alle tre del pomeriggio per essere a Londra verso le otto della mattina. S’era d’estate, e la serata era molto bella. Quando passavamo per qualche villaggio, cercavo di figurarmi gl’interni delle case e le occupazioni degli abitanti; e quando i ragazzi ci correvano dietro, e s’arrampicavano alla diligenza, fa-129

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cendosi trasportare per un po’ di strada, mi domandavo se avessero il padre vivo, o se a casa fossero contenti.

Avevo perciò molto da meditare, oltre a correre continuamente col pensiero alla specie di luogo dove ero diretto – che era un terribile soggetto di riflessione. A volte, ricordo, tornavo a casa e da Peggotty, sforzandomi confusamente, di rammentarmi come mi fossi sentito e che specie di ragazzo solessi essere prima di mordere il signor Murdstone; ma non m’era possibile saperlo, ché mi sembrava d’averlo morso nell’antichità più remota.

La notte, molto fredda, non fu piacevole come la sera: messo fra due signori (quello dalla faccia rude e un altro), perché non precipitassi dalla diligenza, rimasi, quando li sorprese il sonno, quasi soffocato e completamente bloccato. A volte mi stringevano tanto, che non potevo fare a meno dal gridare: «Oh, per favore!», cosa che a loro non garbava affatto perché li svegliavo. Di fronte a me era una signora attempata, con un gran mantello di pelo, e nel buio rassomigliava più a un pagliaio che a una donna, tanto si teneva coperta. La signora aveva con sé un paniere, e non aveva saputo che farne per molto tempo, ma poi aveva scoperto che le mie gambe erano corte, e che lo poteva mettere sotto di me. Il paniere mi urtava e mi faceva tanto male, che mi rese perfettamente infelice; ma se mi movevo minimamente, e facevo tintinnare un bicchiere che era nel paniere contro qualche altro oggetto (come avveniva spesso), ella mi dava un calcio in uno stinco, dicendo: «Su, non t’agita-130

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re. Stai un momento fermo!»

Finalmente si levò il sole, e i miei compagni parvero dormire più comodamente. Le difficoltà contro le quali avevano lottato tutta la notte, e ché s’erano manifestate coi più terribili lamenti e rantoli, non si possono immaginare. A misura che il sole saliva, il loro sonno si faceva più leggero, e così gradatamente a uno a uno si sve-gliarono. Ricordo che mi stupii molto sentendoli tutti asserire di non aver chiuso occhio nell’intera nottata, e respingere con grande indignazione l’accusa di aver dormito. Anche oggi me ne stupisco, pur avendo invariabilmente osservato come fra tutte le umane debolezze, non so perché, l’accusa d’aver ceduto al sonno in una diligenza sia quella meno accettata facilmente dalla nostra natura.

Che stupefacente città m’ apparve Londra quando la vidi da lontano! Come naturalmente la credessi il teatro di tutte le avventure de’ miei eroi favoriti, avventure che vi si rappresentavano in continuazione, e come indistintamente col solo mio pensiero la intuissi la più colma di meraviglie e di mali, fra tutte le città del mondo, è inutile che io m’indugi qui a riferire. Ci avvicinavamo con lentezza, e arrivammo, puntualmente, nell’albergo del distretto di Whitechapel, dove eravamo diretti. Non so più se fosse il «Toro Azzurro» o il «Cignale Azzurro»; ricordo soltanto che era Qualche Cosa d’Azzurro, e che l’immagine di quel Qualche Cosa era dipinta dietro la 131

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diligenza.

Il conduttore, scendendo, mi diede uno sguardo e disse alla porta dell’ufficio:

– V’è qualcuno qui per un ragazzo registrato col nome di Murdstone, di Blunderstone? Egli dev’essere lasciato qui finché non si viene a cercarlo.

Nessuno rispose.

– Provate a dir Copperfield – suggerii io, manifestamente disperato.

– C’è qualcuno qui che aspetta un ragazzo, registrato col nome di Murdstone, di Blunderstone, Suffolk, ma che ha il nome di Copperfield, e deve esser lasciato qui finché non si viene a cercarlo? – disse il conduttore. – Su, c’è qualcuno?

– No. Non c’era nessuno.

Guardai ansiosamente in giro; ma la domanda non attrasse l’attenzione di nessuno dei presenti, tranne di un tale con le uose e un occhio solo, il quale suggerì che sarebbe stato opportuno mettermi un collare di ottone e legarmi nella stalla.

Fu portata una scala, e discesi dietro la signora che rassomigliava a un pagliaio; ma non mi mossi, se non dopo che fu tolto il paniere.

La diligenza intanto s’era vuotata dei passeggeri, il bagaglio era stato scaricato, i cavalli staccati prima del 132

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