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David Copperfield

quando voglio,e porterò il bottino di contrabbando.

Con queste parole si mise il denaro in tasca, e gentilmente mi raccomandò di non temer di nulla; ché tutto sarebbe andato a meraviglia.

Mantenne la parola, e tutto andò bene, se si poteva dir bene ciò che una voce segreta mi avvertiva esser quasi tutto male – giacché pensavo di fare un cattivo uso delle due mezze corone di mia madre, benché avessi, prezioso risparmio, conservato il pezzo di carta che le avvolgeva.

Quando andammo su per coricarci, egli presentò l’intero valore dei sette scellini, e lo sparpagliò sul letto nel chiarore della luna, dicendo:

– Ecco, piccolo Copperfield, hai un festino da principe.

Alla mia età non potevo pensare di fare gli onori della tavola, mentre era presente lui: soltanto a pensarlo la mano mi tremava. Lo pregai quindi di accordarmi il favore di far lui le parti, preghiera ch’egli esaudì, anche perché la mia domanda fu sostenuta da tutti gli altri ragazzi che erano nella camera. Si sedette sul mio guanciale e distribuì i viveri – con perfetta equità, debbo aggiungere – versando lo spumante in un bicchierino senza piede, di sua proprietà privata. Io gli sedevo a sinistra, e gli altri erano aggruppati intorno a noi, sui letti vicini e sul pavimento.

Come ricordo bene quella nostra seduta, e quella nostra conversazione sottovoce, o per meglio dire, quella 156

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loro conversazione e la mia attenzione rispettosa: il chiarore della luna entrava nella camera, dalla finestra, dipingendola pallidamente sul pavimento; e la maggior parte di noi se ne stava al buio, tranne quando Steerforth immergeva un fiammifero nella sua scatola di fosforo, per cercar qualche cosa sulla tavola, versandoci addosso un chiarore azzurrastro che subito svaniva. Provo ancora quel certo pauroso sentimento ch’era effetto del buio, del mistero dell’orgia, del sussurro in cui tutto si diceva, e ascolto tutto ciò che mi si racconta con un vago senso di solennità e di sgomento che mi fa lieto della vicinanza dei compagni, e mi spaventa (benché io finga di ridere), quando Traddles afferma di vedere uno spettro nell’angolo.

Quante cose appresi della scuola e di tutto ciò che le si riferiva! Appresi che il signor Creakle non aveva procla-mato senza ragione il suo diritto d’essere Tartaro; ch’egli era il più rigoroso e severo degli insegnanti; che non passava giorno che non bastonasse, a destra e a sinistra, i ragazzi, caricandoli come un soldato di cavalleria, e dando botte da orbo, spietatamente. Che egli non sapeva altro che l’arte di bastonare, essendo più ignorante (diceva G. Steerforth) del più ignorante ragazzo della scuola; che era stato, parecchi anni prima, un piccolo mercante di luppoli in un sobborgo di Londra, ed aveva tentato l’industria scolastica dopo aver fatto bancarotta coi luppoli e aver dato fondo alla dote della signora Creakle. E molte altre cose della stessa specie, che io mi do-157

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mandavo come si sapessero.

Appresi che l’uomo dalla gamba di legno, il quale si chiamava Tungay, era un barbaro ostinato, che aveva prima collaborato col signor Creakle nel negozio dei luppoli, ed era poi entrato nel ramo scolastico, perché, si diceva fra i ragazzi, s’era rotto la gamba in servizio del signor Creakle, l’aveva aiutato in traffici disonesti, ed era a parte di tutti i suoi segreti. Appresi che, con l’unica eccezione del signor Creakle, Tungay considerava l’intero istituto, gli insegnanti e gli alunni come suoi nemici naturali, e che l’unica gioia della sua esistenza era di mostrarsi cattivo e maligno. Appresi che il signor Creakle aveva un figlio, il quale aveva visto di malocchio Tungay, e che, assistendo il padre nella direzione della scuola, aveva detto una volta che la disciplina veniva applicata bestialmente, e perfino osato, si credeva, di fargli qualche rimostranza, protestando quindi per lo sperpero dei beni di sua madre. Appresi che il signor Creakle lo aveva perciò cacciato di casa, e che la signora e la signorina Creakle erano ridotte d’allora in uno stato pietoso.

Ma la cosa più strana che appresi intorno al signor Creakle si fu che c’era nel convitto un ragazzo sul quale non s’avventurava mai a metter la mano, e che quel ragazzo era G. Steerforth. Lo stesso Steerforth mi confermò la cosa, dichiarando che avrebbe voluto vederlo mettergli le mani addosso. Interrogato da un ragazzo di carattere 158

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pacifico (non io) che cosa avrebbe fatto, se quegli gli avesse messo le mani addosso, egli immerse un fiammifero nella scatola del fosforo, con l’intenzione di ri-schiarare la risposta, e dichiarò che avrebbe cominciato con l’atterrarlo assestandogli sulla fronte un colpo con la boccia d’inchiostro che si vedeva sulla cappa del camino. Noi restammo per qualche tempo senza fiato al buio.

Appresi che si credeva che tanto il signor Sharp quanto il signor Mell non fossero pagati profumatamente; e che quando a desinare, alla tavola del signor Creakle, v’era carne fredda e calda, s’aspettava sempre di sentir dire dal signor Sharp ch’egli preferiva la fredda; il che fu di nuovo confermato da Steerforth, il solo ammesso agli onori della mensa del signor Creakle. Appresi che la parrucca del signor Sharp non gli si adattava bene; e ch’era inutile che egli facesse tanto lo spaccone – qualche altro disse «il presuntuoso» – con la parrucca, perché di sotto gli si vedevano benissimo i capelli rossi.

Appresi che un ragazzo, figlio d’un negoziante di carbone, veniva in convitto a sconto della fornitura di carbone; era perciò chiamato «Scambio o Baratto», nomignolo suggerito dal libro di aritmetica che trattava di quel contratto. Appresi che la birra da tavola era un furto fatto ai parenti e il budino una tirannia. Appresi che la signorina Creakle era creduta, dalla scuola in generale, innamorata di Steerforth; e a me, stando così al buio, 159

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e pensando all’amorosa voce di Steerforth, e al suo bel volto, e alle sue maniere, e ai suoi capelli ricci, la cosa parve assai probabile. Appresi che il signor Mell veramente non era cattivo, ma non aveva tanto da comprarsi una corda per impiccarsi, e che non vi era dubbio alcuno che la vecchia Mell, sua madre, fosse povera come Giobbe. Allora pensai alla mia colazione e a quelle parole ch’ella mi pareva avesse detto: «Carletto mio!»; ma me ne stetti, per questo capo, son lieto di ricordarlo, muto come un pesce.

La narrazione di tutte queste cose, e di tante altre ancora, protrasse per qualche tempo il festino. La maggior parte degli invitati s’erano messi a letto, non appena finito il mangiare e il bere, e anche noi, che eravamo rimasti a bisbigliare e ad ascoltare seminudi, finalmente ci coricammo.

– Buona sera, piccolo Copperfield – disse Steerforth.

– Io avrò cura di te.

– Tu sei molto gentile – risposi con gratitudine – e te ne sono davvero riconoscente.

– Non hai una sorella, tu? – disse Steerforth, sbadi-gliando.

– No – risposi.

– Peccato – disse Steerforth. – Se tu l’avessi avuta, credo che sarebbe stata una bella fanciulla, timida, piccola, dagli occhi lucenti. Mi sarebbe piaciuto conoscer-160

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la. Buona sera, piccolo Copperfield.

– Buona sera – risposi.

Dopo essermi coricato, pensai molto a lui, e mi sollevai, ricordo, per vederlo dormire nel chiarore della luna, col bel volto in su e la testa reclinata bellamente sul braccio.

Ai miei occhi egli era un essere di grande possanza: ecco perché il mio spirito si volgeva a lui. L’oscuro avvenire non lo fissava tristemente nei raggi della luna.

Non c’erano, nel giardino in cui sognai di passeggiare tutta la notte con lui, immagini melanconiche sui suoi passi.

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VII.

IL MIO PRIMO SEMESTRE A SALEM

HOUSE

Il corso delle lezioni cominciò regolarmente il giorno dopo. Ricordo che mi fece una grande impressione sentire il lieto vocio della scuola trasformarsi improvvisamente in un silenzio mortale alla comparsa, dopo la colazione, del signor Creakle, che sostò sull’ingresso guardando in giro su noi, come un gigante dei racconti delle fate che passasse in rassegna i suoi prigionieri.

Tungay era a fianco del signor Creakle. Non c’era ragione, pensai, di gridare «Silenzio!» in tono così feroce, perché i ragazzi erano tutti muti, immobili e impietriti.

Il signor Creakle fu visto parlare e Tungay udito in questi termini:

– Questo è un nuovo semestre, ragazzi. Badate a ciò che v’accingete a fare, in questo nuovo semestre. Vi av-verto di venir ben preparati alle lezioni, perché io vengo preparato al castigo. Io non soglio esitare mai. E inutilmente vi sfregherete: non cancellerete mai i segni che vi lascerò addosso. Ora cominciate tutti il vostro lavoro!

Finito questo terribile esordio e scomparso balzelloni 162

Are sens