serietà ignoti forse fino allora, non mi perito d’asserire, a un buco di serratura usato come mezzo di comunicazione: scagliandovi ogni piccola frase con uno scoppio particolare.
– Caro Davy. Se non ho potuto comunicar con te. In questi giorni, com’era mio solito. Non è stato perché non ti volessi bene. Ti volevo e ti voglio bene anche di più, mio caro tesoro. È perché ho creduto che fosse meglio per te. E anche per un’altra persona. Davy, diletto mio, mi senti? Mi puoi capire?
– S... s... s... sì, Peggotty! – singhiozzai.
– Tesoro! – disse Peggotty, con infinita compassione. –
Ecco che ti voglio dire. Tu non devi dimenticarmi mai.
Perché io non ti dimenticherò mai. Starò tanto attenta a te. E tua madre non la lascerò. Può venire il giorno quando sarà contenta di poggiar la sua povera testa. Di nuovo sul braccio della sua vecchia, brutta e stupida Peggotty. E io ti scriverò, tesoro. Benché io non sia istruita. E ti... ti... – Peggotty, non potendo baciar me, si mise a baciare il buco della serratura.
– Grazie, cara Peggotty – dissi. – Oh, grazie! Grazie!
Vuoi promettermi una cosa, Peggotty? Vuoi scrivere e dire a tuo fratello e all’Emilietta e alla signora Gummidge, e a Cam,che io non sono cattivo come potrebbero immaginare e che mando loro i più affettuosi saluti...
specialmente all’Emilietta? Lo farai, Peggotty?
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La brava donna me lo promise, ed entrambi baciammo il buco della serratura con maggiore effusione: io, ricordo, lo carezzai con la mano, come se fosse l’onesto volto di lei – e ci separammo. Da quella sera mi nacque in petto un sentimento per Peggotty che non saprei esattamente definire. Essa non sostituì mia madre; nessuno poteva farlo; ma entrò nella lacuna del cuor mio, che si chiuse su di lei; e sentii per lei qualche cosa che non ho mai sentito per nessun altro essere umano. Era anche una specie di affetto comico; e pure, se ella fosse morta, non so che cosa avrei fatto, o come mi sarei comportato nella tragedia che quel caso avrebbe per me rappresentato.
La mattina appresso apparve come al solito la signorina Murdstone, e mi disse che dovevo andare in convitto: cosa non nuova per me, come essa ignorava. Mi informò inoltre che quando mi fossi vestito, dovevo andar giù nel salotto a colazione. Trovai colà mia madre, molto pallida e con gli occhi rossi: corsi a gettarmi nelle sue braccia chiedendole perdono dal profondo della mia anima sofferente.
– Oh, Davy! – mi disse. – Hai potuto far male a una persona alla quale io voglio bene! Cerca d’esser migliore, ti raccomando d’esser migliore. Io ti perdono; ma sono così rattristata, Davy, che tu porti in cuore tali malvagi istinti!
L’avevano persuasa che io ero cattivo, ed ella n’era più addolorata che della mia partenza. Ne fui molto amareg-113
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giato. Tentai di far colazione, ma le lagrime mi cadevano sul pane e mi sgocciolavano nel tè. Vedevo mia madre guardarmi di tanto in tanto, e poi dare un’occhiata alla vigile signorina Murdstone, e poi abbassare gli sguardi o volgerli lontano.
– Il baule del signorino Copperfield è là – disse la signorina Murdstone, quando s’udì un rumor di ruote al cancello.
Cercai Peggotty, ma non c’era; neppure il signor Murdstone apparve. Alla porta c’era il vetturale, che m’aveva condotto a Yarmouth; il baule fu portato fino al carro e sollevato.
— Clara! – disse la signorina Murdstone, in tono di avvertimento.
— Eccomi, mia cara Giovanna – rispose mia madre.
– Addio, Davy. Tu ora parti per il tuo bene. Addio, figlio mio. Ritornerai a casa nelle vacanze, e sarai un ragazzo migliore.
– Clara. – ripeté la signorina Murdstone.
– Certo, mia cara Giovanna – rispose mia madre, che mi teneva. – Io ti perdono, figlio caro. Dio ti benedica.
– Clara! – ripeté la signorina Murdstone. La signorina Murdstone fu tanto buona da condurmi fino al carro e da dirmi per strada che ella sperava che mi sarei pentito, prima di fare una cattiva fine; e allora salii sul carro, e il 114
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cavallo pigramente si mosse.
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V.
LONTANO DA CASA
C’eravamo allontanati forse di mezzo miglio, e il mio fazzoletto era tutto inzuppato di lagrime, quando improvvisamente il vetturale si fermò. Levando gli occhi per saper perché, vidi, con mio gran stupore, saltare Peggotty da una siepe e arrampicarsi sul carro. Mi cinse in un abbraccio, mi strinse forte forte contro le stecche del suo busto, premendo fino a farmi dolere il naso, cosa di cui non m’accorsi che dopo, quando lo trovai molto sensibile al tatto. Peggotty non diceva una sola parola.
Allentando un braccio, se Io immerse fino al gomito nella tasca, e ne trasse dei cartocci di ciambelle coi quali gonfiò le mie, e un borsellino che mi mise in mano, ma senza dire una sola sillaba. Dopo una seconda ed ultima stretta d’ambedue le braccia, discese dal carro e s’allontanò; e fermamente credo, come ho sempre creduto, senza un solo bottone dietro al corpetto. Ne raccolsi uno, tra i molti che rotolavano in giro, e lo tenni come memoria per molto tempo.
Il vetturale mi guardò, come per chiedermi se ella dovesse ritornare. Scossi il capo, dicendo che credevo di no. «Allora, andiamo», disse il vetturale al cavallo pi-116
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