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Quando m’acchetai, mi parve, ricordo, che in tutta la casa regnasse una strana calma. Ricordo benissimo come mi sentii malvagio, quando il bruciore e la collera cominciarono a raffreddarsi.

Stetti a lungo in ascolto, ma non sentii nulla. Mi levai su, e mi vidi nello specchio con la faccia così gonfia, rossa e brutta, che quasi feci paura a me stesso. I colpi erano stati duri e dolorosi, e mi facevano di nuovo piangere a ogni movimento; ma non erano nulla in confronto 107

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della coscienza della mia colpa, che mi gravava sul petto come se fossi stato, oso dire, il più feroce delinquente.

S’era cominciato a far scuro, e aveva chiuso la finestra (ero stato, la maggior parte del tempo, allungato con la testa sul davanzale, a volta a volta piangendo, sonnecchiando, guardando distrattamente fuori), quando fu girata la chiave ed entrò la signorina Murdstone con un po’ di pane e di carne e del latte. Mise tutto sul tavolino senza far motto, fissandomi intanto con fermezza esemplare, e si ritirò chiudendo di nuovo la porta.

Per parecchio tempo, dopo ch’era già buio, me ne stetti così, domandandomi se sarebbe venuto qualche altro.

Quando la cosa non mi sembrò più probabile per quella sera, mi spogliai e mi misi a letto; e, coricato, cominciai a domandarmi atterrito che ne sarebbe stato di me.

Quello che avevo commesso non era reato? Sarei stato dichiarato in arresto e mandato in prigione? Non correvo rischio d’essere impiccato?

Non dimenticherò mai il mio risveglio la mattina: la sensazione di gioia e di freschezza che provai nel primo momento, e poi la depressione e l’oppressione che mi diede il triste e crudele ricordo. La signorina Murdstone ricomparve prima che io mi levassi; mi disse, in non più numerose parole del necessario, che ero libero di passeggiare nel giardino per mezz’ora e non più; si ritirò, lasciando la porta aperta, perché potessi approfittare del-108

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la concessione.

Uscii allora, e così ogni mattina del periodo della mia prigionia, che durò cinque giorni. Se avessi potuto veder mia madre sola, mi sarei buttato in ginocchio a domandarle perdono; ma in tutto quel tempo, tranne la signorina Murdstone, non vidi nessuno – salvo che alle preghiere della sera nel salotto, dove arrivavo scortato dalla signorina Murdstone dopo che tutti gli altri avevano preso il loro posto, e dove venivo lasciato solo accanto alla porta, come un piccolo bandito. Ero quindi solennemente ricondotto dalla mia carceriera, prima che gli altri si scomponessero dal loro devoto atteggiamento. Notai soltanto che mia madre se ne stava più che poteva lontana da me, e aveva il viso da un’altra parte, di modo che non la vedevo mai; e che la mano del signor Murdstone era legata da una gran fascia di tela.

Nessuno può figurarsi la lunghezza di quei cinque giorni, che nel mio ricordo occupano il posto di un lustro.

Mi veggo ancora intento a cogliere i rumori di tutte le vicende domestiche, il suono dei campanelli, il chiuder-si e l’aprirsi delle porte, il mormorìo delle voci, i passi sulle scale; le risate, i fischi o i canti di fuori, che mi parevano non so quanto tristi nella mia disgrazia e nella mia solitudine. Osservavo l’incerto passo delle ore, specialmente di notte, quando mi svegliavo credendo che fosse giorno, e m’accorgevo che la famiglia non era ancora andata a letto e che la notte doveva ancora trascor-109

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rere in tutta la sua lunghezza. I sogni e gli incubi più tristi mi turbavano il sonno; la mattina, a mezzogiorno, la sera, guardavo dal fondo della camera, vergognoso di mostrarmi alla finestra, per non far sapere che ero prigioniero, i ragazzi che si rincorrevano nel cimitero: mi meravigliavo di non sentir più il suono della mia voce; talvolta, all’ora del pasto, riacquistavo un po’ d’allegria che poi subito si dileguava; quindi assistevo all’inizio d’una pioggia la sera, tra un fresco odore di terra: la pioggia cadeva sempre più rapida fra me e la chiesa, sin che essa e il raccoglimento della notte parevano estinguersi nella tenebra, nella paura e nel rimorso. Tutto questo è stampato così vividamente e nitidamente nella mia memoria, che invece di pochi giorni ho l’impressione che quella vita durasse per anni.

L’ultima sera della mia reclusione, fui svegliato udendo bisbigliare il mio nome. Balzai sul letto, e sporsi le braccia nel buio, dicendo:

– Sei tu, Peggotty?

Non ebbi una risposta immediata, ma subito udii di nuovo chiamarmi, in tono così tremendo e misterioso, che mi sarei chi sa come impaurito, se non avessi pensato che la voce veniva certo per il buco della serratura.

Andai a tentoni alla porta, e appressando le labbra al buco, bisbigliai:

– Sei tu, cara Peggotty?

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– Sì, mio caro Davy – essa rispose. – Sii silenzioso come un topolino; se no, la gatta ci sentirà.

Compresi che la gatta era la signorina Murdstone; e che si trattava d’un caso estremamente delicato, perché la camera di costei era vicinissima alla mia.

– Come sta la mamma, cara Peggotty? È molto in collera con me?

Udii Peggotty piangere dolcemente dall’altro lato del buco, mentre io tacevo lo stesso dal lato mio, prima che mi rispondesse: «No, non molto».

– Che faranno di me, mia cara Peggotty?Lo sai?

– In convitto. Vicino a Londra – fu la risposta di Peggotty. Fui costretto a fargliela ripetere, perché avendomi parlato contro la gola, io avevo dimenticato di toglier la bocca e applicar l’orecchio al buco; le sue parole mi avevano solleticato molto, ma non le avevo udite.

– Quando, Peggotty?

– Domani.

– Perciò la signorina Murdstone ha tolto i vestiti e la biancheria dai miei cassetti? – cosa che essa aveva fatto, ma che io ho dimenticato di ricordare.

– Sì – disse Peggotty. – Nella mattinata.

Poi Peggotty adattò la bocca al buco della serratura e pronunziò le seguenti parole con un sentimento e una 111

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