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Anche ora, se veggo le lettere grasse e nere del sillaba-97

Charles Dickens

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rio, la straordinaria novità delle loro forme, e la fisionomia facile e quasi gioviale dell’O, del Q e dell’S, mi par di rivederle sotto lo stesso aspetto d’una volta, e non mi destano alcun sentimento di disgusto o di riluttanza.

Anzi, mi sembra di aver camminato su un sentiero di fiori fino al libro dei coccodrilli, e d’esser stato allietato per tutto il viaggio dalla gentilezza della voce e delle maniere di mia madre. Ma le lezioni solenni che seguirono a quelle prime, le rammento come un colpo mortale assestato alla mia pace, e come un grave quotidiano tormento e un’angoscia. Erano lunghissime, numerosis-sime, difficilissime – alcune assolutamente inintelligibili

– e tali da sconvolgermi interamente, come credo sconvolgessero la mia povera madre.

Che io ricordi come m’erano impartite, rievocando una di quelle mattine.

Mi presento nel salotto, dopo la colazione, coi libri, un quaderno d’esercizi e una lavagnetta. Mia madre m’attende allo scrittoio, ma non con la stessa aria del signor Murdstone seduto nella poltrona accanto alla finestra (benché finga di leggere un libro) o della signorina Murdstone, seduta accanto a mia madre e occupata a in-filzare delle perline d’acciaio. La semplice vista di quei due ha tale potere su di me, che comincio a sentire le parole, che con infinita fatica mi son cacciate in testa, dileguar tutte e andarsene non so dove. Anzi, dove mai vanno a nascondersi?

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Metto un primo libro nelle mani di mia madre. Forse è una grammatica, forse una storia o una geografia. Dò un ultimo disperato sguardo alle pagine mentre glielo con-segno, e comincio, con quella rinfrescatina, ad alta voce e a passo di corsa. Ecco che salto una parola. Il signor Murdstone leva gli sguardi. Salto un’altra parola. La signorina Murdstone leva gli sguardi. Mi faccio rosso, in-ciampo su una mezza dozzina di parole, e mi fermo.

Credo che mia madre, se ne avesse il coraggio, mi farebbe vedere nel libro, ma non ne ha il coraggio e dolcemente mi dice:

– Oh, Davy, Davy!

– Senti, Clara – dice il signor Murdstone – fermezza col ragazzo. Non dire: «Oh, Davy, Davy!» È una pueri-lità. O sa la lezione, o non la sa.

– Non la sa – s’intromette terribilmente la signorina Murdstone.

– Veramente temo che non la sappia – dice mia madre.

– Allora, vedi, Clara – risponde la signorina Murdstone – dovresti ridargli il libro, e fargliela imparare.

– Sì, certo – dice mia madre; – è quello che voglio fare, mia cara Giovanna. Ora, Davy, prova un’altra volta, e non esser stupido.

Obbedisco alla prima clausola dell’ingiunzione col 99

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provarmici ancora, ma non ho lo stesso successo con la seconda, perché son molto stupido. Inciampo prima di arrivare al luogo di prima, in un punto dove prima ero passato liscio, e mi fermo a pensare. Ma non mi riesce di pensare alla lezione: penso al numero delle braccia di tulle intorno al cappello della signorina Murdstone, al prezzo della veste da camera del signor Murdstone, o a qualche altro simile ridicolo problema che non mi riguarda affatto e col quale non ho voglia d’aver nulla a che fare. Il signor Murdstone fa un moto d’impazienza, che da lungo tempo ho atteso. La signorina Murdstone lo ripete. Mia madre volge loro una timida occhiata, chiude il libro, e me lo calcola come un arretrato da soddisfare quando avrò finito gli altri compiti.

V’è in breve un mucchio di simili arretrati che si gonfia come palla di neve su una china. Più grande si fa il mucchio, e più io divento stupido.

Il caso è così disperato, e io m’avvoltolo in un così vasto pantano di stupidità che rinunzio a ogni idea di uscirne, e m’abbandono al mio fato. La maniera disperata con cui ci guardiamo io e mia madre, quando dico uno scerpellone, è uno spettacolo veramente melanconico. Ma il maggiore effetto di queste lamentevoli lezioni si ha quando mia madre (credendo che nessuno la osser-vi) tenta, col movimento delle labbra, di darmi l’imbeccata. In quell’istante, la signorina Murdstone, che per null’altro è rimasta così a lungo in agguato, dice in tono 100

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di solenne avvertimento:

– Clara!

Mia madre dà un balzo, arrossisce, e sorride debolmente. Il signor Murdstone si leva dalla poltrona, piglia il libro, me lo scaglia contro o mi tira le orecchie, mi afferra per le spalle e mi caccia fuori della stanza.

Anche quando la lezione è finita, non è ancora arrivato il peggio nella forma d’una formidabile moltiplicazione inventata a bella posta per me e a me oralmente presentata dal signor Murdstone; moltiplicazione che comincia: «Se vado in una bottega di formaggio, e compro cinquemila formaggi di Gloucester a quarantacinque centesimi l’uno, quanto debbo pagare in tutto?»

e che ha il potere di dilettare immensamente la signorina Murdstone. M’immergo in questi formaggi senza alcun risultato o lume di sorta fino all’ora del desinare, quando, diventato quasi un mulatto per la trasfusione nei pori della mia pelle di tutto il sudicio della lavagna, ricevo una fetta di pane che m’assista nella lotta coi formaggi e son considerato in disgrazia per il resto della serata.

A tanta distanza di tempo, mi sembra che i miei disgraziati studi seguissero in generale questo metodo. Avrei potuto cavarmela bene, se non ci fossero stati i Murdstone; ma il potere dei Murdstone su di me era come il fascino di due serpenti sopra un misero uccellino. Anche 101

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quando io mi portavo benino la mattina, non consegui-vo, se se ne toglie il desinare, molto; perché la signorina Murdstone non poteva vedermi un momento con le mani in mano; e se imprudentemente mi facevo sorprendere da lei senza far nulla, ella richiamava l’attenzione del fratello su di me col dire: «Clara, non v’è nulla di meglio del lavoro... da’ un esercizio al tuo ragazzo»; cosa che mi faceva di volta in volta legare a un nuovo compito, subito dopo che avevo finito il precedente.

Quanto a qualche distrazione con altri fanciulli della mia stessa età, non c’era quasi da pensarci: la buia teo-logia dei Murdstone riteneva tutti i fanciulli come uno sciame di piccole vipere (benché una volta un fanciullo fosse tratto in mezzo ai Discepoli), e credeva che si con-taminassero l’un l’altro.

Il naturale risultato di questo trattamento, continuato, credo, per sei o sette mesi, doveva esser quello di farmi tristo, ottuso e ostinato; anche perché quotidianamente comprendevo di esser sempre più separato e allontanato da mia madre. E mi sarei quasi istupidito, se non fossi stato soccorso da una circostanza fortunata.

Fu questa. Mio padre aveva lasciato una piccola collezione di libri in uno stanzino attiguo al mio, che nessuno mai visitava. Da quel benedetto ripostiglio uscì a tenermi compagnia una gloriosa schiera: Roderick Random, Peregrine Pickle, Humphrey Clinker, Tom Jones, Il Vicario di Wakefield, Don Chisciotte, Gil Blas e Ro-102

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