– Bene. Ti dirò che c’è – disse Barkis. – Forse tu potresti scriverle.
– Certo che le scriverò – soggiunsi.
– Ah! – egli disse, volgendo lentamente gli occhi verso di me. – Se tu le dovessi scrivere, forse ti ricorderesti di dirle che Barkis ha intenzione; ti ricorderesti?
– Che Barkis ha intenzione – innocentemente ripetei. –
Soltanto questo vuoi dirle?
– S... sì – egli disse, pensoso. – S... sì. Barkis ha intenzione.
– Ma tu ritornerai domani a Blunderstone – dissi bal-bettando un poco all’idea che io non ci sarei stato – e potresti dirglielo tu stesso con tanta facilità.
Ma, giacché a questo mio consiglio fece un cenno di diniego, e ancora una volta confermò la prima domanda dicendo, con solenne gravità: «Barkis ha intenzione...
Questo è ciò che devi scrivere», volentieri me ne assunsi l’incarico. Infatti, mentre in quel pomeriggio, nell’albergo a Yarmouth, attendevo la diligenza, mi feci dare un foglio di carta e un calamaio e scrissi un biglietto a Peggotty, che diceva così: «Mia cara Peggotty. Sono qui sano e salvo. I miei baci alla mamma. Barkis ha intenzione. Tuo affezionatissimo... P. S. Egli dice che vuole specialmente che tu sappia: Barkis ha intenzione».
Quand’ebbi promesso di accontentarlo, Barkis ricad-120
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de nel più assoluto silenzio; e io, stanco di tutte le ultime vicende, mi allungai su un sacco nel carro e m’addormentai. Dormii profondamente fino a Yarmouth, che mi parve così strana e nuova nel cortile in cui entrammo, che subito abbandonai la speranza segretamente va-gheggiata di incontrarvi qualcuno della famiglia di Peggotty, forse anche la stessa Emilietta.
La diligenza era nel cortile, tutta rilucente, ma ancora senza cavalli; e in quella condizione nulla mi parve più impossibile d’un suo viaggio a Londra. Pensavo a questo e mi domandavo che ne sarebbe stato alla fine del mio baule, deposto da Barkis sul lastrico del cortile presso il palo (egli s’era diretto in fondo per far girare il carro), e anche che ne sarebbe stato alla fine di me, quando s’affacciò una donna da una finestra dove pendevano in mostra dei pezzi di carne e dei polli, e disse:
– Siete voi il signorino venuto da Blunderstone?
– Sì, signora – dissi.
– Come vi chiamate? – chiese la signora.
– Copperfield, signora – dissi.
– Non siete voi – rispose la signora. – Qui non è stato pagato il pranzo per nessuno con quel nome.
– Sarà Murdstone, signora? – dissi.
– Se siete il signorino Murdstone – disse la signora –
perché avete cominciato col dire un nome diverso?
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Spiegai la cosa alla signora, ed ella sonò il campanello e gridò: «Guglielmo, accompagna il signorino nella sala», dopo di che dalla cucina, al lato opposto del cortile, uscì di corsa un cameriere per accompagnarmi, e mostrò una gran sorpresa vedendo che doveva accompagnare me.
Era una sala grande con grandi carte geografiche sulle pareti. Se le carte fossero stati veri paesi esteri e io mi fossi trovato sbalestrato in qualcuno di essi, forse non mi sarei sentito così straniero. Mi pareva, mettendomi a sedere, col berretto in una mano, sull’angolo d’una sedia accanto alla porta, di commettere una vera indiscrezione; e quando il cameriere stese una tovaglia a bella posta per me, e mise le ampolline dell’olio e dell’aceto, credo che diventassi tutto rosso per un senso di modestia.
Egli mi portò delle costolette e dei legumi, e ne sco-perchiò i piatti in maniera così energica che temei d’averlo offeso in qualche modo. Ma mi confortò molto vedergli mettere una sedia per me innanzi alla tavola e sentirgli dire con grande affabilità: «E ora avanti, piccolo gigante».
Lo ringraziai e presi il mio posto a tavola; ma incontrai una difficoltà estrema a maneggiare il coltello e la forchetta con qualche destrezza, o a evitare di spruzzar-mi di sugo, mentre egli mi stava di fronte, guardandomi e facendomi terribilmente arrossire tutte le volte che arrischiavo un’occhiata verso di lui.
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– Ecco mezza pinta di birra per voi. La volete subito?
Lo ringraziai e gli dissi di sì. La versò da un boccale in un grosso bicchiere, e la tenne contro luce, facendola apparire bella.
– Veramente! – egli disse. – Sembra ottima, non è vero?
– Sembra ottima – risposi con un sorriso. Perché era per me una delizia vederlo così benigno. Era un uomo dall’occhio scintillante, dalla faccia piena di pustolette, dai capelli ritti sul cranio; e mentre, con un braccio incurvato, sollevava il bicchiere alla luce con l’altra mano, mi sembrò veramente affabile.
– Ieri ci fu qui un signore – egli disse – un signore molto robusto, che si chiamava Topsawyer... forse lo conoscete.
– No – dissi – non credo...
– Con le brache corte e le uose, il cappello largo, il soprabito grigio, un cravattone a piselli – disse il cameriere...
– No – dissi vergognosamente – non ho il piacere...
– Entrò qui – disse il cameriere, continuando a guardar la luce attraverso il bicchiere; – ordinò una tazza di questa birra... la volle ordinare... io gliel’avevo sconsiglia-to... la bevve,e stramazzò morto. Era troppo forte per lui. Non doveva berla, ecco tutto.
Mi commossi molto al racconto di quel triste caso, e 123
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dissi che forse avrei fatto meglio ad accontentarmi dell’acqua semplice.
– Ma vedete – disse il cameriere, sempre fissando la luce attraverso il bicchiere, e chiudendo un occhio – ai miei padroni non piace che si ordini la roba e poi si lasci. Se ne offendono. La berrò io, se non vi dispiace. Mi ci sono abituato, e l’abitudine è tutto. Non pensate che mi possa far male, se butto la testa all’indietro e la tra-canno subito. La bevo?
Risposi che m’avrebbe fatto un vero piacere a berse-la, se credeva di poterlo fare impunemente; ma se no, no per carità. Quando buttò la testa indietro e subito la tracannò, ebbi un’orribile paura, confesso, di vederlo far la fine del compianto signor Topsawyer, e cadere esani-me sul tappeto. Ma non gliene venne male, anzi mi parve più arzillo di prima.
– Che avete qui? – disse, puntando una forchetta sul piatto. – Costolette, forse?
– Costolette – dissi.
– Che il signore vi benedica! – egli esclamò. – Non sapevo che fossero costolette! Ebbene, una costoletta è proprio ciò che ci vuole per scongiurare i cattivi effetti di quella birra. Non è una fortunata combinazione?