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Charles Dickens David Copperfield

– Guarda qui! – ella disse, battendosi di nuovo la cicatrice con mano spietata. – Quando egli fu in grado di comprendere ciò che aveva fatto, la vide, e se ne pentì.

Io potevo cantare per divertirlo, e conversar con lui, e mostrargli con quale ardore m’interessavo a tutto ciò che faceva, e arrivai perfino a istruirmi per fargli piacere, e mi feci voler bene. Quando egli era più giovane e fedele, m’amò. Sì, m’amò! Molte volte, quando tu eri messa da parte con una parola di spregio, egli si strinse al mio cuore.

Ella parlava con alterigia di scherno che era quasi frene-sia, ma anche col vivo ricordo di un amore le cui ceneri addormentate lasciavano sprizzare qualche favilla d’un più dolce sentimento.

– Io diventai... come avrei dovuto immaginare che sarei diventata, quando m’affascinò con la sua devozione infantile... diventai un balocco, una bambola per l’occupazione d’un’ora di ozio, per esser buttata, ripresa e buttata di nuovo, secondo il ghiribizzo che lo prendeva.

Quand’egli si stancò, io mi stancai. Passatogli il capriccio, non volli neanche tentare di rafforzare quel po’ di potere che avevo su di lui, come non avrei pensato a sposarlo, se fosse stato costretto ad ammogliarsi con me.

Noi ci separammo senza una parola. Forse tu lo capisti e non te ne dolse. D’allora, sono stata fra voi due come una specie di mobile rotto, senza occhi, senza orecchi, senza sentimenti, senza ricordi. Piangi? Piangi per ciò 1424

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che tu lo avevi fatto diventare, non per il bene che gli volevi. T’ho detto che vi è stato un tempo in cui gli volevo molto più bene di te.

Ella stava con gli occhi lucenti di collera di fronte a quel viso immobile, a quello sguardo vuoto; e non s’inteneriva, a quel pianto, come se quel viso fosse stato un ritratto.

– Signorina Dartle – dissi – se voi potete esser così crudele da non aver pietà di questa madre angosciata...

– E di me chi ha pietà? – ella aspramente ribatté. – È lei che ha seminato tutto. Che pianga per ciò che oggi raccoglie.

– E se i difetti di suo figlio... – cominciai.

– I difetti! – ella esclamò, scoppiando in pianto disperato. – Chi osa dir male di lui? Egli aveva un’anima che valeva milioni di volte più degli amici ai quali s’era degnato di abbassarsi.

– Nessuno gli voleva bene più di me, nessuno può avere un miglior ricordo di lui – risposi. – Intendevo dire, se voi non avete compassione per la madre, o se i difetti del figlio... perché voi non li avete risparmiati...

– È falso – ella gridò strappandosi i capelli – io gli volevo bene!

– ... se i suoi difetti – continuai – non possono essere cancellati dalla vostra memoria, in questo momento; 1425

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considerate questa poveretta almeno come una persona che non avete mai conosciuta, e soccorretela.

In tutto quel tempo, la signora Steerforth era rimasta immutata, e sembrava immutabile. Immobile, rigida, fissa; gemente di tanto in tanto nella stessa sorda maniera, con un disperato cenno del capo, ma con nessun altro segno di vita. Improvvisamente la signorina Dartle le s’inginocchiò accanto, e cominciò a scioglierle le vesti.

– Siate maledetto! – disse, guardandomi con un’espressione di rabbia e insieme di dolore. – Maledetta quell’o-ra che entraste qui la prima volta! Siate maledetto! Andatevene.

Dopo esser uscito dalla stanza, rientrai per sonare e avvertire i domestici. Ella teneva nelle braccia la signora impassibile, e la baciava piangendo, e la chiamava, e la cullava sul suo seno come una bambina, tentando ogni mezzo per svegliarle i sensi assopiti. Non temei più di lasciarle sole, e ridiscesi senza rumore, avvertendo, nell’uscire, i familiari.

Più tardi, durante il giorno, ritornai, e lo deponemmo nella stanza di sua madre. Mi fu detto ch’ella stava sempre nelle stesse condizioni; la signorina Dartle non la lasciava un istante; i medici le erano intorno, tentando vari rimedi; ma ella rimaneva come una statua, e soltanto gemeva di tanto in tanto.

Traversai quella triste casa, e chiusi le imposte delle fi-1426

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nestre. Chiusi per ultimo la finestra dov’egli riposava.

Sollevai la mano di piombo e me la misi sul cuore, e il mondo intero mi parve morte e silenzio, interrotti solo dal gemito della madre.

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LVII.

GLI EMIGRANTI

Non avevo che un’altra cosa da fare prima di cedere alla stretta di tante ambasce: nascondere ciò che era avvenuto alla conoscenza di quelli ch’erano in procinto d’emigrare; e farli viaggiare felicemente ignari. Perciò non c’era tempo da perdere.

Quella stessa sera presi a parte il signor Micawber, e gli affidai il compito di frapporsi tra il pescatore Peggotty e la notizia della recente catastrofe. Egli se l’assunse con tutto il cuore, promettendo d’intercettare qualunque giornale che, senza quella precauzione, avrebbe potuto rivelargliela.

– Prima di arrivare a lui – disse il signor Micawber, battendosi il petto – deve passare su questo corpo!

Il signor Micawber aveva inaugurato, per adattarsi al suo nuovo stato sociale, certa baldanzosa aria d’avventuriero, non ancora ribelle alla legge, ma alquanto vivo e aggressivo. Poteva essere scambiato per un figlio del deserto, avvezzo a vivere fuori dei confini della civiltà, e in procinto di ritornare nelle foreste natie.

S’era munito, fra l’altro, d’un abito completo di tela ce-1428

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rata, e d’un cappello basso di paglia, incatramato all’esterno. In quella grossolana acconciatura, con un telescopio ordinario da marinaio sotto l’ascella, e la sagace abitudine già contratta d’interrogare il cielo come in sospetto di una burrasca, egli si reputava molto più nautico del pescatore Peggotty. Tutta la sua famiglia si era con-formata, per dir così, alle circostanze. Trovai la signora Micawber coperta del più discreto cappellino immagina-bile, ermeticamente chiuso e legato sotto il mento, e av-volta in uno scialle, assicurato con un grosso nodo alla cintura, che la legava (come ero stato legato io, il giorno che arrivai in casa di mia zia) come una specie di fagotto. Allo stesso modo trovai la signorina Micawber equi-paggiata da affrontare la burrasca, con nulla di superfluo addosso. Il signorino Micawber era appena visibile in una giubba di Guernesey e nel più villoso costume da marinaio che mi fossi mai veduto; e i bambini erano chiusi, come carni in conserva, in una specie di astucci o di guaine impermeabili. Ma il signor Micawber e il figliuolo maggiore avevano le maniche rimboccate ai polsi, come per esser pronti a prestar la loro opera in tutto, a salir sul ponte, o a cantar in coro con l’equipaggio per levar l’ancora: «Yeo – sciogli – Yeo!» al primo segnale.

Così li trovammo io e Traddles la sera, tutti raccolti sulla scala di legno, nota allora col nome di Scala di Hungerford, ad assistere alla partenza di una barca che trasportava una parte dei loro bagagli. Avevo narrato a Traddles il terribile evento, ed egli n’era rimasto molto 1429

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