– Mai sentito nominare – disse il cameriere, con una voce straordinariamente rauca.
Mi sentii molto umiliato per Traddles.
– Certo, sarà un giovane – disse il cameriere fissandomi gli occhi addosso, severamente. – Da quanto tempo esercita?
– Da non più di tre anni – dissi.
Il cameriere, che aveva vissuto per una quarantina di anni sulla panca di sagrestia, non poteva occuparsi d’un soggetto di così lieve importanza, e mi chiese ciò che desideravo per il desinare.
Compresi d’essere di nuovo in Inghilterra, e veramente me ne dispiacque per Traddles. Pareva che per lui non ci fosse alcuna speranza. Ordinai timidamente un po’ di pesce e una bistecca, e meditando sull’oscurità del mio amico, continuai a scaldarmi al fuoco.
Seguendo con gli occhi il capo cameriere, non potei fare a meno dal pensare che il giardino, nel quale egli era 1460
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gradatamente cresciuto per diventar quel fiore che era diventato, era un posto nel quale non era facile crescere.
Tutto vi aveva un’aria così solenne, così rigida, antica e solida. Diedi uno sguardo in giro alla stanza, che aveva il pavimento lucidato nella stessa precisa maniera, senza dubbio, di quando il capo-cameriere era ragazzo – se era stato mai un ragazzo, cosa improbabile – e ai tavoli lucenti, dove mi vedevo specchiato nelle limpide profondità del vecchio mogano; e alle belle cortine verdi, sospese ai nitidi bastoni d’ottone, che chiudevano squisitamente ogni reparto; e ai due grandi fuochi di carbone, gioiosamente ardenti; e alle schiere delle bottiglie, orgogliose come se avessero avuto coscienza d’essere di-spensiere del costoso vecchio vino di Porto della cantina del sotterraneo; e veramente mi parve molto difficile prender d’assalto l’Inghilterra e la legge. Salii nella mia camera da letto a cambiarmi gli abiti, che erano umidi, e la vastità di quella stanza, tutta rivestita di legno (che era, ricordo, sull’arco che conduceva all’Inn) e la calma immensità di quella lettiera stesa su quattro pilastri, e la indomabile gravità del canterano, tutto pareva aggrottar le ciglia di concerto sull’avvenire di Traddles, e di qualunque altro giovane audace della stessa specie. Ridiscesi per desinare; e perfino il lento svolgimento del pasto e l’ordinato silenzio del luogo – che aveva pochi ospiti, perché il periodo delle vacanze non era ancora finito –
sembravano parlassero dell’audacia di Traddles e delle sue poche speranze, per almeno altri vent’anni, di gua-1461
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dagnarsi da vivere.
Da quando ero partito, non avevo visto più nulla di simile, e le speranze che avevo concepite per il mio amico crollarono tutte. Il capocameriere ne aveva avuto abbastanza di me. Non m’onorò più di uno sguardo, e si con-sacrò a un vecchio signore, calzato di lunghe uose, verso il quale parve andasse di sua spontanea volontà una bottiglia speciale di vino di Porto, perché egli non l’aveva ordinata. Il secondo cameriere m’informò sottovoce che quel vecchio signore era un notaio ritirato che abitava lì nella piazza, e aveva un mucchio di denaro che si credeva sarebbe andato a finire in mano della figlia della sua lavandaia; mi disse inoltre che si diceva che egli avesse in uno scrittoio l’argenteria da tavola tutta annerita dal lungo disuso, benché a memoria d’uomo nessuno avesse visto mai in casa sua più d’una forchetta e d’un cucchiaio. In quel momento, considerai Traddles definitivamente perduto, persuaso che non ci fosse più alcuna speranza per lui.
Nonostante ciò, nell’ansia di rivedere il mio vecchio e caro amico, mangiai in fretta, in maniera da scadere sempre più nella stima del capocameriere, e m’affrettai ad uscire dalla porta di dietro. Il numero due nella Corte fu subito raggiunto; e un’iscrizione su uno stipite m’informò che il signor Traddles occupava un appartamento all’ultimo piano. Salii la scala, una scala vecchia decrepita, fiocamente illuminata su ogni pianerottolo da un 1462
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lucignolo fungoso che spirava in una piccola prigione di vetro sudicio.
Andando su a tentoni, mi parve d’udire dei piacevoli scoppi di risa; e non di risa d’avvocato o di procuratore, o di scrivano d’avvocato o di procuratore, ma di due o tre liete fanciulle. Ma avendo messo il piede, nell’atto che mi fermavo ad ascoltare, in un buco dove l’onorevole associazione di Gray’s Inn aveva dimenticato di far rimettere un’asse, caddi con un tonfo strepitoso, e quando mi rialzai, tutto era silenzio.
Andando innanzi a tentoni, per il resto del viaggio, il cuore mi sussultò, vedendo una porta aperta, che portava dipinto: TOMMASO TRADDLES. Picchiai. Si sentì di dentro certo parapiglia; ma null’altro. Perciò picchiai di nuovo.
Un ragazzetto dall’aria sbarazzina, metà domestico e metà giovane di studio, si presentò sulla soglia quasi senza fiato, ma guardandomi come se mi sfidasse a dar-ne la prova legale.
– Il signor Traddles è in casa? – dissi.
– Sì, signore, ma è occupato. – .;
– Ho bisogno di vederlo.
Dopo avermi squadrato un istante, il ragazzetto dall’aria sbarazzina decise di lasciarmi entrare; e socchiudendo perciò un po’ più la porta, mi aprì il varco prima in una 1463
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minuscola anticamera, e poi in un buco di salottino; dove mi trovai alla presenza del mio vecchio amico (anche lui senza fiato) seduto a un tavolino e col naso sulle carte.
– Buon Dio? – esclamò Traddles, levando il naso. – È
Copperfield! – e mi corse nelle braccia, dove lo tenni stretto.
– Tutto bene, mio caro Traddles?
– Tutto bene, mio caro, caro Copperfield, e nient’altro che bene.
Piangevamo di gioia, tutti e due.
– Mio caro amico – disse Traddles, scompigliandosi i capelli, nel suo fervore, operazione assolutamente inutile – mio carissimo Copperfield, amico tanto desiderato, come son contento di vederti e di darti il benvenuto!
Come sei abbronzato! Come son contento di vederti!
Parola d’onore, non sono stato mai tanto contento, mio caro Copperfield, mai!
Io ero egualmente incapace d’esprimere la mia gioia. E
non riuscivo neanche a dire una parola.
– Mio caro amico! – disse Traddles. – E diventato così celebre! L’illustre Copperfield! Buon Dio, ma quando sei venuto, donde sei venuto, che cosa hai fatto?
Non aspettando mai una risposta a ciò che diceva, Traddles, che m’aveva conficcato in una poltrona accan-1464
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to al caminetto, attizzava vigorosamente il fuoco con una mano, e mi tirava la cravatta con l’altra, scambiandola senza dubbio per il soprabito. Senza deporre le molle, mi abbracciò di nuovo, e io lo riabbracciai; ed entrambi asciugandoci gli occhi, ci risedemmo scam-biandoci infine strette di mano a traverso il focolare.