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tutte le sorelle avevano un gran rispetto e una gran tenerezza per Sofia e Traddles. Quando mi congedai, e Traddles si levò per uscire con me e accompagnarmi fino al caffè, pensai di non aver mai visto una chioma così ispida, o un’altra chioma qualunque roteare come la sua in una simile grandinata di baci.

Insomma, fu una scena alla quale non potei non ripensare con piacere, dopo che ebbi riaccompagnato Traddles e gli ebbi dato la buona notte. Se avessi visto fiorire un migliaio di rose in un appartamento dell’ultimo piano di quel vecchio edificio di Gray’s Inn, lo spettacolo non mi sarebbe parso più splendido e lieto. La sola idea di tutte quelle signorine del Devonshire, in mezzo a tutti quegli uffici di avvocati e giureconsulti incartapecoriti; e del tè e dei crostini, e delle cantilene per i bimbi, in quella grave atmosfera di artigli e di pergamena, di spago rosso, di ostie polverose, di bottiglie d’inchiostro, di carta bollata, di processi verbali, di decreti, di dichiarazioni e di par-celle, mi sembrava quasi così piacevolmente fantasiosa come l’aver sognato che la famosa famiglia del Sultano fosse stata iscritta nella lista degli avvocati e procuratori, e avesse portato in Gray’s Inn Hall l’uccello parlante, l’albero armonioso e l’acqua d’oro. A ogni modo, m’accorsi che, congedatomi da Traddles per quella sera, e tornato al caffè, un gran mutamento era avvenuto in me e che non avevo più alcun timore per lui. Cominciai a pensare che; egli si sarebbe fatto strada, a marcio dispetto di tutti i vari ordini dei capi camerieri d’Inghilterra.

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Traendomi una sedia innanzi a uno dei caminetti del caffè per pensar di Traddles a mio agio, passai gradatamente dalla meditazione sulla sua felicità alla contemplazione delle figurazioni dei carboni accesi, e al ricordo, nell’atto che si rompevano e mutavano, delle vicende principali e dei distacchi che avevano contrassegnato la mia carriera. Non avevo veduto più un fuoco di carboni da quando avevo lasciato l’Inghilterra tre anni prima; ma avevo osservato molti fuochi di legna dissolversi in ceneri bianche, per mischiarsi al mucchio grigio del focolare, che non senza giustezza raffigurava, nella mia tristezza, tutte le speranze morte.

Ora invece potevo pensare al passato gravemente, ma senza amarezza. Il focolare, nel suo senso migliore, non lo avevo più. Quella, a cui avrei potuto ispirare un più forte amore, aveva appreso ad essermi sorella. Si sarebbe maritata, e avrebbe avuto nuovi pretendenti alla sua tenerezza, ignorando per sempre l’amore per lei che m’era cresciuto in cuore. Era giusto che io pagassi il fio della mia cieca passione. Raccoglievo ciò che avevo seminato.

Pensavo: «E ho veramente disciplinato il cuore a questo, e potrei coraggiosamente sopportarlo e tener tranquillamente in casa di lei il posto ch’ella tranquillamente ha tenuto nella mia?» – quando i miei occhi si posarono su una fisionomia che avrebbe potuto levarsi dal fuoco, come una delle mie memorie infantili intravedute nelle 1476

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sue figurazioni.

Il piccolo dottor Chillip, i cui buoni uffici mi avevano reso il servigio riportato nel primo capitolo di questa istoria, stava leggendo un giornale nell’ombra dell’angolo opposto. Gli anni avevano segnato la loro impronta su di lui; ma da ometto calmo, mite e dolce qual era, egli s’andava logorando con tanta lentezza, che potei pensare che avesse in quel momento lo stesso aspetto da lui presentato nel nostro salottino, nell’atto di attendere la mia nascita.

Il signor Chillip aveva lasciato Blunderstone sei o sette anni prima, e d’allora non lo avevo più visto. Leggeva placidamente il giornale, la testa inclinata da un lato e un bicchiere di vino caldo accanto al gomito. Aveva nei suoi modi un’aria così conciliante che pareva si stesse scusando col giornale per essersi presa la libertà di leggerlo.

Mi levai, e gli andai da presso, dicendogli:

– Come state, signor Chillip?

Egli apparve assai turbato da quella domanda da parte d’uno sconosciuto, e rispose lentamente, secondo il suo costume:

– Grazie, signore, siete molto gentile. Grazie, signore.

Anche voi, spero, state bene.

– Non mi riconoscete? – dissi.

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– Bene, signore – rispose il dottor Chillip, sorridendo con dolcezza, e scotendo il capo come per esaminarmi –

ho una mezza impressione che qualche cosa nella vostra fisonomia non mi sia nuova; ma veramente non mi riesce di metter la mano sul vostro nome.

– E pure lo sapevate molto tempo prima che potessi saperlo io – risposi.

– Veramente, signore? – disse il signor Chillip. – È possibile che io abbia avuto l’onore, signore, di prestare la mia opera nel momento...

– Sì – dissi.

– Ahimè! – esclamò il signor Chillip. – Ma senza dubbio siete molto mutato da allora.

– Probabilmente – dissi.

– Bene, signore – osservò il signor Chillip – spero che mi scuserete, se son costretto a chiedervi il favore di dirmi il vostro nome.

Sentendo il mio nome, egli fu veramente commosso.

Mi strinse la mano – ciò che era una specie di violenza da parte sua, perché in generale era suo costume di sporgere timidamente la mano a un pollice o due dall’anca, e di mostrare il maggiore sconvolgimento se qualcuno vi si aggrappava. Anche in quel momento, si mise la mano in tasca non appena poté distrigarla, e parve sollevato nel tenerla al sicuro.

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– Ahimè, signore! – disse il signor Chillip, contem-plandomi con la testa da un lato. – Siete il signor Copperfield. Bene, signore, credo che vi avrei riconosciuto, se mi fossi presa la libertà di guardarvi più da vicino. Vi è una grande rassomiglianza fra voi e il vostro povero padre, signore.

– Non ho avuto mai la felicità di veder mio padre, signore – osservai.

– Verissimo, signore – disse il signor Chillip, nel suo tono più dolce. – Ed è una gran disgrazia, sotto tutti i rapporti. Noi non ignoriamo, signore – disse il signor Chillip lentamente, scotendo di nuovo il capo – la vostra fama nel nostro cantuccio di mondo. Vi dev’essere un gran fervore qui, signore – disse il signor Chillip pic-chiandosi la fronte con l’indice. – Forse è un’occupazione che vi stanca molto, signore?

– Dove state ora? – chiesi, sedendomi accanto a lui.

– Mi sono stabilito a poche miglia da Bury St. Ed-mond’s, signore – disse il signor Chillip.

– Mia moglie ha ereditato dal padre una piccola proprietà lì vicino; io ho ottenuto un posto lì, e non vi dispiacerà d’apprendere che vi faccio buoni affari. Mia figlia, ora, è divenuta grande – disse il signor Chillip, dando al capo un’altra piccola scossa. – Sua madre ha dovuto ag-giungerle due bordi alla gonna la settimana scorsa.

Come passa il tempo, signore!

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