egli soggiunse. – Di raro m’arrischio ad esprimere un giudizio che non sia strettamente medico. Il signor Murdstone a volte fa dei discorsi in pubblico, e si dice...
insomma, afferma mia moglie, che quanto più s’è mostrato tiranno tanto più diventi feroce nella sua dottrina.
– Io credo che la vostra signora abbia perfettamente ra-1483
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gione – dissi.
– Mia moglie arriva perfino a dire – continuò il più mite degli uomini, imbaldanzito dalla mia approvazione –
che ciò che simili tipi chiamano falsamente la loro religione, non sia che un pretesto per lo sfogo dei loro cattivi istinti e della loro arroganza. E sapete che vi debbo dire, signore? – egli continuò dolcemente inclinando la testa da un lato. – Che io non trovo nel Nuovo Testamento nulla che possa autorizzare il signore e la signorina Murdstone a un simile rigore.
– Neanche io l’ho trovato mai – dissi.
– Intanto, signore – disse il signor Chillip – essi si fanno detestare; e siccome s’affrettano a dannare alle pene eterne quanti li detestano, abbiamo continuamente dei dannati dalle nostre parti. Però, dice mia moglie, signore, ch’essi son sottoposti a un continuo castigo: debbono divorarsi il cuore, e con cuori tanto cattivi non debbono stare allegri. Ora, signore, parliamo del vostro cervello, se mi permettete di parlarne. Non lo esponete a una soverchia fatica?
Non mi fu difficile, date le condizioni d’eccitazione in cui il signor Chillip aveva ridotto il proprio, esponendo-lo ai fumi del vino, di dirigere la sua attenzione da questo argomento alle sue faccende particolari, sulle quali egli si diffuse loquacemente nella mezz’ora che seguì; facendomi comprendere, fra l’altro, che egli era lì al caf-1484
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fè di Gray’s Inn per deporre innanzi a una Commissione di psichiatri sulle condizioni di spirito di un malato im-pazzito per abuso di bevande alcooliche.
– E vi assicuro, signore – egli disse – che mi sento molto agitato in simili occasioni. Non mi piacerebbe d’esser ciò che si dice pettinato. Non ci vuol molto a mettermi fuor dei cardini. Sapete che ci volle del tempo per ria-vermi dal modo come fui trattato da quella terribile donna la notte della vostra nascita, signor Copperfield?
Gli dissi che la mattina appresso sarei partito appunto per andare a trovare mia zia, il drago di quella notte; e che ella era la più affettuosa e la migliore delle donne, come avrebbe saputo benissimo se l’avesse conosciuta meglio. Ma la semplice idea di poterla rivedere un’altra volta parve atterrirlo. Egli rispose con un pallido sorriso: «Veramente, signore?» e quasi immediatamente chiese una candela, e se ne andò a letto, come per rifugiarsi al sicuro. Veramente non vacillava sotto l’influenza del vino caldo; ma credo che il suo polso dovesse dare al minuto due o tre battiti di più di quella memorabile notte nella quale mia zia, nell’ira della delusione, gli aveva scagliato il cappellino in faccia.
A mezzanotte, completamente stanco, andai a letto an-ch’io; il giorno appresso lo passai nella diligenza di Dover; irruppi sano e salvo nel salotto di mia zia nell’atto ch’ella prendeva il tè (a proposito, aveva cominciato a usare gli occhiali); e fui ricevuto la lei, e dal signor 1485
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Dick, e dalla cara vecchia Peggotty, che aveva il governo della casa, a braccia aperte e con lagrime di gioia.
Mia zia si divertì un mondo, quando cominciai a parlare tranquillamente, al racconto del mio incontro col signor Chillip, e del terrore ch’ella gli ispirava ancora; e tanto lei quanto Peggotty ebbero molto da dire intorno al secondo marito di mia madre, e intorno a quell’ «assassina di sua sorella», che mia zia per nulla al mondo avrebbe chiamato col nome di famiglia o con qualunque altro nome.
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LX.
AGNESE
Mia zia e io, rimasti soli, ci trattenemmo a conversare fino a tardi. Ella mi disse che gli emigranti non mandavano che buone e liete notizie; che il signor Micawber aveva veramente inviato diverse sommette in conto di quelle «transazioni», riguardo alle quali s’era mostrato così preciso, come da un uomo a uomo; che Giannina, che era rientrata in servizio di mia zia al suo ritorno a Dover, aveva rinunciato alla sua antipatia per gli uomini, sposando un oste prosperoso; e che mia zia, mettendo il suo suggello alla rinuncia, aveva aiutato e favorito la sposa, onorando la cerimonia del matrimonio con la sua presenza. Furono questi gli argomenti della nostra conversazione; e li conoscevo più o meno già tutti a traverso le lettere ch’ella m’aveva mandate. Il signor Dick, naturalmente, non fu dimenticato. Mia zia mi narrò com’egli fosse continuamente occupato a copiare tutto ciò che gli veniva a tiro, e come con quella sembianza d’impiego fosse riuscito a tener Carlo I a rispettosa distanza. Vederlo libero e felice, invece di lasciarlo languire in una monotona custodia, era una delle principali gioie e ricompense della sua vita, ella disse; e che lei 1487
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sola sapeva pienamente – con l’accento d’una nuova generale conclusione – quanto valesse quell’uomo.
– E quando, Trot – disse mia zia, battendomi sulla mano, mentre stavamo innanzi al fuoco, secondo l’antico nostro costume, – quando vai a Canterbury?
– Piglierò un cavallo e ci andrò domani mattina, zia,...
salvo che non ci vogliate venire anche voi.
– No – disse mia zia, col suo solito modo brusco. – Intendo di rimanere dove sono.
– Allora vi andrò a cavallo – dissi. – Non avrei voluto passare oggi per Canterbury senza fermarmici. Ma dovevo veder prima voi, mia cara zia.
Ella se ne compiacque, ma rispose: – Zitto, Trot; le mie vecchie ossa avrebbero aspettato fino a domani. – E nell’atto che contemplavo pensosamente il fuoco, di nuovo mi carezzò la mano.
Contemplavo pensosamente il fuoco, perché non potevo trovarmi a Dover, ancora una volta, e così vicino ad Agnese, senza sentirmi rinnovare quei rimpianti che m’avevano per tanto tempo occupato. Rimpianti ram-morbiditi, forse, che mi insegnavano ciò che non ero riuscito a imparare quando avevo innanzi a me la giovinezza, ma pur sempre rimpianti. «Oh, Trot!» mi sembrava di sentire ancora mia zia; e la comprendevo meglio ora: «Cieco, cieco, cieco!».
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Rimanemmo entrambi in silenzio per alcuni minuti.
Quando levai gli occhi, vidi che ella mi stava intensamente osservando. Forse aveva seguito lo stesso filo dei miei pensieri, meno difficile a seguire ora, che quando ero accecato dalla mia ostinazione.
– Troverai suo padre diventato vecchio, tutto coi capelli bianchi – disse mia zia – benché sia migliore di prima, sotto tutti i rapporti, come completamente rinnovato. Né più lo vedrai occupato a misurare tutti gli interessi umani, e le gioie e le disgrazie con la sua povera piccola misura d’un centimetro. Ascoltami, figlio mio, simili cose debbono rimpicciolirsi chi sa quanto, per poterle misurare a quel modo.
– Veramente – dissi.
– Troverai lei – continuò mia zia – buona, bella, seria e disinteressata come sempre. Se potessi farle una lode maggiore, Trot, gliela farei.
Non v’era per lei una lode maggiore, e nessun maggior rimprovero per me. Oh, com’ero andato a precipitare lontano!