Appresi che si credeva che tanto il signor Sharp quanto il signor Mell non fossero pagati profumatamente; e che quando a desinare, alla tavola del signor Creakle, v’era carne fredda e calda, s’aspettava sempre di sentir dire dal signor Sharp ch’egli preferiva la fredda; il che fu di nuovo confermato da Steerforth, il solo ammesso agli onori della mensa del signor Creakle. Appresi che la parrucca del signor Sharp non gli si adattava bene; e ch’era inutile che egli facesse tanto lo spaccone – qualche altro disse «il presuntuoso» – con la parrucca, perché di sotto gli si vedevano benissimo i capelli rossi.
Appresi che un ragazzo, figlio d’un negoziante di carbone, veniva in convitto a sconto della fornitura di carbone; era perciò chiamato «Scambio o Baratto», nomignolo suggerito dal libro di aritmetica che trattava di quel contratto. Appresi che la birra da tavola era un furto fatto ai parenti e il budino una tirannia. Appresi che la signorina Creakle era creduta, dalla scuola in generale, innamorata di Steerforth; e a me, stando così al buio, 159
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e pensando all’amorosa voce di Steerforth, e al suo bel volto, e alle sue maniere, e ai suoi capelli ricci, la cosa parve assai probabile. Appresi che il signor Mell veramente non era cattivo, ma non aveva tanto da comprarsi una corda per impiccarsi, e che non vi era dubbio alcuno che la vecchia Mell, sua madre, fosse povera come Giobbe. Allora pensai alla mia colazione e a quelle parole ch’ella mi pareva avesse detto: «Carletto mio!»; ma me ne stetti, per questo capo, son lieto di ricordarlo, muto come un pesce.
La narrazione di tutte queste cose, e di tante altre ancora, protrasse per qualche tempo il festino. La maggior parte degli invitati s’erano messi a letto, non appena finito il mangiare e il bere, e anche noi, che eravamo rimasti a bisbigliare e ad ascoltare seminudi, finalmente ci coricammo.
– Buona sera, piccolo Copperfield – disse Steerforth.
– Io avrò cura di te.
– Tu sei molto gentile – risposi con gratitudine – e te ne sono davvero riconoscente.
– Non hai una sorella, tu? – disse Steerforth, sbadi-gliando.
– No – risposi.
– Peccato – disse Steerforth. – Se tu l’avessi avuta, credo che sarebbe stata una bella fanciulla, timida, piccola, dagli occhi lucenti. Mi sarebbe piaciuto conoscer-160
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la. Buona sera, piccolo Copperfield.
– Buona sera – risposi.
Dopo essermi coricato, pensai molto a lui, e mi sollevai, ricordo, per vederlo dormire nel chiarore della luna, col bel volto in su e la testa reclinata bellamente sul braccio.
Ai miei occhi egli era un essere di grande possanza: ecco perché il mio spirito si volgeva a lui. L’oscuro avvenire non lo fissava tristemente nei raggi della luna.
Non c’erano, nel giardino in cui sognai di passeggiare tutta la notte con lui, immagini melanconiche sui suoi passi.
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VII.
IL MIO PRIMO SEMESTRE A SALEM
HOUSE
Il corso delle lezioni cominciò regolarmente il giorno dopo. Ricordo che mi fece una grande impressione sentire il lieto vocio della scuola trasformarsi improvvisamente in un silenzio mortale alla comparsa, dopo la colazione, del signor Creakle, che sostò sull’ingresso guardando in giro su noi, come un gigante dei racconti delle fate che passasse in rassegna i suoi prigionieri.
Tungay era a fianco del signor Creakle. Non c’era ragione, pensai, di gridare «Silenzio!» in tono così feroce, perché i ragazzi erano tutti muti, immobili e impietriti.
Il signor Creakle fu visto parlare e Tungay udito in questi termini:
– Questo è un nuovo semestre, ragazzi. Badate a ciò che v’accingete a fare, in questo nuovo semestre. Vi av-verto di venir ben preparati alle lezioni, perché io vengo preparato al castigo. Io non soglio esitare mai. E inutilmente vi sfregherete: non cancellerete mai i segni che vi lascerò addosso. Ora cominciate tutti il vostro lavoro!
Finito questo terribile esordio e scomparso balzelloni 162
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Tungay, il signor Creakle s’avvicinò al mio posto, dicendomi che se io ero famoso per i morsi, anche lui era famoso per i morsi. Allora mi mostrò la bacchetta, e mi chiese che ne pensassi, come dente. Era aguzzo quel dente, eh?
Valeva un paio di denti, eh? Aveva una bella dentatura, eh? Mordeva, eh? Non mordeva, eh? Ad ogni domanda, me ne assestava, con grande energia, un colpo che mi faceva contorcere; così che subito fui investito della cit-tadinanza di Salem House (come disse Steerforth), e subito pure fui in lagrime.
Né intendo dire che questi fossero contrassegni speciali di riguardo riservati a me solo. Al contrario, la gran maggioranza dei ragazzi (specialmente i più piccoli) eran visitati con simili prove di favore, tutte le volte che il signor Creakle faceva il giro della scuola. Metà dell’istituto si contorceva e piangeva, prima che cominciasse il lavoro quotidiano; e quanto poi si contorcesse e pian-gesse prima che finisse il lavoro quotidiano, certamente temo di dirlo, per non farmi dare dell’esagerato.
Credo che non ci sia mai stato al mondo un uomo che abbia goduto della sua professione più del signor Creakle. Provava un gran piacere nel battere i ragazzi, che era come la soddisfazione d’una fame bramosa. Son persuaso che non potesse in ispecial modo resistere alla vista d’un ragazzo tenero e paffuto. Un ragazzo tenero e paffuto esercitava su lui una specie di fascino, che non 163
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gli dava requie, finché non lo avesse battuto di santa ragione. Anch’io ero tenero e paffuto, e dovevo saperne qualche cosa. Quando penso a quell’uomo, ora, mi sento il sangue ribollire contro di lui con la indignazione disinteressata di chi avesse potuto assistere ad ogni suo atto senza esser mai in sua balìa; ma mi ribolle, perché so che era uno stupido animale, il quale non aveva più diritto alla grande missione che s’era assunto di quanto ne avesse per essere grande ammiraglio o comandante in capo delle forze di terra e di mare; nelle quali funzioni avrebbe fatto, è più che probabile, infinitamente meno male.
Miserabili piccole vittime d’un idolo spietato, quanta servilità gli mostravamo! Che inizio della vita, a ripensarci ora, l’esser così bassi e vili verso un uomo di tali istinti e tanta presunzione!