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David Copperfield

Ma la cosa che mi fece più impressione fu che non aveva voce, e parlava quasi con un bisbiglio. O che gli co-stasse molto parlar così, o che la consapevolezza d’esser così fioco gli accendesse di maggior ira il viso collerico, e le grosse vene gli s’ingrossassero maggiormente, il fatto sta che, ripensandoci, non mi sorprendo di questo particolare che mi parve il suo più caratteristico.

– A noi – disse il signor Creakle. – Che avete da dirmi su questo ragazzo?

– Non c’è nulla ancora contro di lui – rispose l’uomo dalla gamba di legno. – Non vi sono state occasioni.

Ebbi l’impressione che la signora e la signorina Creakle (che guardavo allora per la prima volta e che erano entrambe sottili e calme) non fossero deluse.

– Venite qui, signorino! – disse il signor Creakle, facendomi un cenno.

– Venite qui – disse l’uomo dalla gamba di legno, ripetendo il gesto.

– Ho la fortuna di conoscere il vostro padrigno – bisbigliò il signor Creakle, afferrandomi per l’orecchio; – ed egli è una degna persona, un uomo di carattere. Egli conosce me, ed io conosco lui. E voi mi conoscete? Ehi? –

disse il signor Creakle, pizzicandomi l’orecchio con feroce allegria.

– Non ancora, signore! – esclamai, indietreggiando per 150

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il dolore.

– Non ancora? Ehi? – ripeté il signor Creakle. – Ma presto mi conoscerete. Ehi?

– Presto lo conoscerete. Ehi? – ripeté l’uomo dalla gamba di legno. In appresso, potei vedere che egli in generale faceva, con la sua voce tonante, da interprete del signor Creakle ai ragazzi.

Ero veramente spaventato, e dissi che lo speravo, se gli faceva piacere. Sentivo, frattanto, scottarmi l’orecchio: me lo attanagliava con tanta forza.

– Vi dirò ciò che sono – bisbigliò il signor Creakle, lasciandolo finalmente, con una stretta a vite, che mi fece salire le lagrime agli occhi. – sono un Tartaro.

– Un Tartaro – disse l’uomo dalla gamba di legno.

– Quando dico che farò una cosa, la faccio – disse il signor Creakle; – e, quando dico che una cosa deve esser fatta, si deve fare.

– Quando una cosa deve esser fatta, si deve fare – ripeté l’uomo dalla gamba di legno.

– Io sono un carattere risoluto – disse il signor Creakle. – Ecco ciò che sono. Faccio il mio dovere. Ecco ciò che faccio. La mia carne e il mio sangue – volse uno sguardo alla signora Creakle dicendo così – quando si rivoltano contro di me, non sono la mia carne e il mio sangue. Li rinnego. Quell’individuo – e si volse all’uo-151

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mo dalla gamba di legno – è stato qui un’altra volta?

– No – fu la risposta.

– No – disse il signor Creakle. – Ha fatto bene. Egli mi conosce. Che non si faccia vedere. Dico che non si faccia vedere – disse il signor Creakle, battendo il tavolino con la mano – perché egli mi conosce. Ora anche voi avete cominciato a conoscermi, mio giovane amico, e potete andarvene. Conducetelo via.

Ero felicissimo d’esser mandato via, perché la signora e la signorina Creakle stavano entrambe asciugandosi gli occhi, e io mi sentivo a disagio per loro come per me. Ma avevo una domanda in mente, che mi riguardava così da vicino, che non potei fare a meno dal dire, benché mi stupissi io stesso del mio coraggio:

– Per piacere, signore...

Il signor Creakle bisbigliò: «Ah! Che cosa c’è?» – e mi piantò addosso gli occhi, come se con essi mi volesse incendiare.

– Per piacere, signore – balbettai – se mi potesse esser concesso (son veramente pentito, signore, di ciò che ho fatto) di togliermi questa scritta, prima che tornino i ragazzi...

Non so se il signor Creakle facesse sul serio, o soltanto con lo scopo di spaventarmi, ma diede un tal balzo dalla sedia, che mi ritrassi a precipizio, senza aspettare la 152

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scorta dell’uomo dalla gamba di legno, e non mi fermai che quando raggiunsi il dormitorio, dove, vedendo di non essere inseguito, mi coricai, ché era tempo, e me ne stetti tremante per un paio d’ore.

La mattina appresso ritornò il signor Sharp, che era l’insegnante capo, superiore di grado al signor Mell. Il signor Mell mangiava coi ragazzi, ma il signor Sharp desinava e cenava alla tavola del signor Creakle. Era un signore dall’aspetto delicato e dal naso grosso, che portava da un lato, come se fosse un po’ troppo pesante per lui. Aveva i capelli lisci e ondulati; ma erano, come m’informò il primo ragazzo che ritornò, una parrucca (una parrucca di seconda mano, mi disse), e il signor Sharp andava nel pomeriggio d’ogni sabato a farsela arricciare.

A darmi questa informazione fu Tommaso Traddles. Arrivò il primo, e si presentò col dirmi che potevo trovare il suo nome all’angolo destro del cancello, sul catenaccio; e a questo io dissi: «Traddles», ed egli mi rispose:

«Appunto»; chiedendomi poi una minuta relazione di me e della mia famiglia.

Fu veramente una fortuna per me che Tommaso Traddles fosse il primo a tornare. Egli si divertì tanto alla vista del mio cartello, che mi salvò dall’imbarazzo di mostrarlo o nasconderlo, col presentarmi, a tutti i ragazzi grandi o piccoli man mano che arrivavano, in questa maniera: «Guardate! Ecco un magnifico scherzo!» For-153

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