– Giovanna Murdstone, lasciami parlare, per favore.
Dicevo, Davide, che per i giovani questo è un mondo di attività, e non d’ozio e d’infingardaggine. Specialmente per un giovane della tua indole, che ha bisogno di molta disciplina; e alla quale non può rendersi maggior servizio che costringendola a conformarsi alla necessità del mondo laborioso, che la piega e rompe.
– Perché l’ostinazione non serve – disse la sorella. –
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L’ostinazione viene schiacciata. E schiacciata dev’essere. E così sarà!
Egli le diede uno sguardo, mezzo di riprensione, mezzo di approvazione, e continuò:
– Io credo che tu sappia, Davide, che io non sono ricco.
Comunque, ora lo sai. Già hai ricevuto una certa istruzione. L’istruzione è costosa; e anche se così non fosse, e potessi dartela, ho la convinzione che non ti sarebbe vantaggioso mandarti a scuola. Ciò che ti sta innanzi è la lotta col mondo, e più presto la comincerai, meglio.
Credo che pensassi d’averla già angosciosamente iniziata; a ogni modo, lo penso ora.
– Tu hai sentito parlare qualche volta della ditta commerciale – disse il signor Murdstone.
– Che ditta, signore? – domandai.
– Murdstone e Grinby, che traffica in vini – rispose.
Forse apparivo confuso, perché continuò in fretta:
– Hai sentito parlare della ditta commerciale, del negozio, delle cantine, del magazzino, o qualche cosa di simile?
– Credo di sì, signore – risposi, ricordando ciò che vagamente sapevo dei suoi lucri e di quelli di sua sorella. – Ma non so quando.
– Non importa quando – egli rispose. – Il signor 274
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Quinion dirige la ditta.
Diedi un’occhiata di rispetto a quest’ultimo, che era occupato a guardar fuori della finestra.
– Il signor Quinion mi dice che vi s’impiegano altri ragazzi, e ch’egli non vede ragione perché non dovresti esservi impiegato anche tu alle stesse condizioni.
– Se egli non ha – osservò Quinion a bassa voce, e voltato a metà – nessun’altra via.
Il signor Murdstone con un gesto impaziente, perfino iroso, ripigliò, senza rilevar ciò che quegli aveva detto:
– Le condizioni sono che tu guadagnerai abbastanza da mangiare e bere, e da avere del denaro in tasca. La pigione per il tuo alloggio (al quale ho già provveduto) sarà pagata da me. Come anche il bucato per la tua biancheria.
– E il prezzo sarà calcolato da me – disse sua sorella.
– Si penserà anche ai tuoi vestiti – disse il signor Murdstone – perché non potrai, per ora, acquistarli da te. Così ora tu partirai per Londra, Davide, col signor Quinion, per cominciar la vita per tuo conto.
– Insomma, per te s’è bello e provveduto – osservò la sorella. – Ora cerca di fare il tuo dovere.
Benché comprendessi chiaramente lo scopo di tutto, che era di liberarsi di me, non ricordo bene se questo annunzio mi facesse piacere o mi spaventasse. Ho una vaga 275
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impressione che rimanessi in una specie di confusione, e oscillando fra i due punti, non toccassi né l’uno, né l’altro. Né ebbi molto tempo per vederci chiaro, perché il signor Quinion doveva partire la mattina.
E vedetemi la mattina con un logoro cappellaccio bianco, cinto di un velo nero per il lutto di mia madre, con una giacca nera, e un paio di calzoncini di fustagno –
che la signorina Murdstone considerava la miglior co-razza per le gambe nella lotta contro il mondo che andavo a intraprendere – vedetemi così vestito, con tutti i miei beni mondani in un bauletto, seduto, fanciullo solitario e abbandonato (come avrebbe potuto dire la signora Gummidge), nella vettura che portava il signor Quinion a Yarmouth incontro alla diligenza di Londra. Vedete come casa mia e la chiesa si rimpiccioliscano in lontananza; come la tomba sotto l’albero venga confusa e cancellata dai nuovi oggetti che sopraggiungono: come il campanile non s’erga più oltre il mio vecchio giardino, e il cielo sia vuoto!
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XI.
COMINCIO LA VITA PER CONTO MIO E