"Cosa hai detto? Sono morto!" ha risposto.
"Cosa?
"Cosa? Sono morto? Sono morto? Sono morto. Cosa?
"Parla più forte. Più forte... Ti prego...
Ha urlato, rauco, senza voce, stridulo come un'unghia sulla lavagna. "Sono morto? Sono morto? Sono morto.
Ho cercato la corda e mi sono tirato su, scalciando e facendogli franare la terra addosso.
Ma lui continuava a strillare. "Sono morto?
Sono morto. Sono morto?
Pedalavo inseguito dai tafani.
E giuravo che mai e poi mai sarei tornato su quella collina. Mai più, mi potevano accecare, avrei parlato con quel pazzo.
Come cavolo credeva di essere morto?
Nessuno che è vivo può credere di essere morto. Quando uno è morto è morto. E se ne sta in paradiso. O al massimo all'inferno.
E se invece aveva ragione?
Se era morto veramente? Se lo avevano resuscitato? Chi? Solo Gesù Cristo può resuscitarti.
E nessun altro. Ma quando ti risvegli lo sai che eri morto? Ti ricordi del paradiso? Te lo ricordi chi eri prima? Diventi pazzo, perché il cervello è marcito e ti metti a parlare di orsetti lavatori.
Non era mio gemello e non era neanche mio fratello. E papà non c'entrava niente con lui. La fettina non c'era. La pentola non era la nostra. La nostra, mamma l'aveva buttata via.
E appena papà tornava gli raccontavo tutto.
Come mi aveva insegnato. E lui avrebbe fatto qualcosa.
Ero quasi arrivato alla strada quando mi sono ricordato del a lastra. Ero scappato e avevo lasciato di nuovo il buco aperto.
Se Felice tornava su capiva subito che c'era stato qualcuno che aveva ficcato il naso dove non doveva ficcarlo. Non potevo farmi beccare solo perché avevo paura di un pazzo incatenato in un buco. Se Felice scopriva che ero stato io, mi avrebbe trascinato per un orecchio.
Una volta io e il Teschio eravamo saliti sulla macchina di Felice. Facevamo che la 127 era un'astronave. Lui guidava e io sparavo ai marziani. Felice ci aveva beccati e ci aveva tirati fuori, in mezzo alla strada, trascinandoci per le orecchie, come conigli. Piangevamo disperati ma lui non mollava. Per fortuna che mamma era uscita e lo aveva caricato di mazzate.
Avrei voluto lasciare tutto così, correre a casa e chiudermi in camera mia a leggere i giornalini, ma sono tornato indietro, maledicendomi. Le nuvole se n'erano andate e si schiattava di caldo. Mi sono tolto la maglietta e me la so-no annodata in testa, come un indiano. Ho preso una mazza. Se avessi incon-trato Felice mi sarei difeso.
Ho cercato di avvicinarmi il meno possibile al buco, ma non ho potuto fare a meno di guardare.
Era in ginocchio sotto la coperta con il braccio teso, nella stessa posizione in cui lo avevo lasciato.
Mi è venuta voglia di saltare su quella maledetta lastra e spaccarla in mille pezzi e invece l'ho spinta e ci ho coperto il buco.
Quando sono arrivato mamma lavava i piatti.
Ha buttato la padella nel lavandino. "Guarda un po' chi è tornato!
Era così arrabbiata che le tremava la mascella.
"Si può sapere dove te ne vai? Mi hai fatto morire di paura... Tuo padre l'altro giorno non te le ha date. Ma questa volta le prendi.
Non ho avuto nemmeno il tempo di tirare fuori una scusa che lei ha cominciato a rincorrermi.
Saltavo da una parte all'altra della cucina come una capra mentre mia sorella, seduta al tavolo, mi guardava scuotendo la testa.
"Dove scappi? Vieni qua!
Sono zompato oltre il divano, sono passato sotto il tavolo, ho scavalcato la poltrona, sono scivolato sul pavimento fino in camera mia e mi sono nascosto sotto il letto.
"Esci fuori!
"No. Tu mi picchi!
"Sì che ti picchio. Se esci da solo ne prendi di meno.
"No, non esco!
"Va bene.
Una morsa si è chiusa sulla caviglia. Mi sono attaccato alla zampa del letto con tutte e due le mani, ma non c'è stato niente da fare. Mamma era più forte di Maciste e quella maledetta zampa di ferro mi scivolava fra le dita. Ho mollato la presa e mi sono ritrovato tra le sue gambe. Ho provato a infilarmi di nuovo sotto il letto, ma non mi ha dato scampo, mi ha tirato su per i pantaloni e mi ha messo sotto il braccio come fossi una valigia. Strillavo. "Lasciami! Ti prego! Lasciami!
Si è seduta sul divano, mi ha steso sulle ginocchia, mi ha abbassato i pantaloni e le mutande mentre belavo come un agnello, si è buttata indietro i capelli e ha cominciato a farmi le chiappe rosse.