Non c'era più niente da fare. Non ce la facevo neanche io. Mi sentivo stanco da morire, stremato, la caviglia continuava a battere. Ho chiuso gli occhi, il cuore ha cominciato a rilassarsi e senza volerlo mi sono addormentato.
Ho riaperto gli occhi.
Era buio. Per un secondo ho creduto di essere a casa, nel mio letto.
Poi ho sentito il cane di Melichetti abbaiare. E delle voci.
Erano arrivati.
L'ho strattonato. "Filippo! Filippo, stanno qua! Ti vogliono ammazzare. Alzati.
Ha ansimato. "Non posso.
"Sì, invece. Ci scommetti?" Mi sono inginocchiato e con le mani l'ho spinto in avanti, tra i rami, fregandomene del male. Mio, suo. Dovevo portarlo fuori da quel buco. Le fascine mi graffiavano ma ho continuato a spingere, stringendo i denti, fino sotto la bocca nella roccia.
Le voci erano vicine. E un bagliore balenava sulle fronde degli alberi.
L'ho acchiappato per le braccia. "Ora devi metterti in piedi. Lo devi fare. E
basta". L'ho tirato su, mi si è aggrappato al collo. Si è messo dritto. "Hai visto, stupido? Hai visto che ti sei messo in piedi, eh? Ora però devi salire. Io ti spingo da sotto, ma tu ti devi attaccare al buco.
Ha preso a tossire. Sembrava che dentro il petto gli schizzassero dei sassi.
Quando finalmente ha smesso, ha scosso la testa e ha detto: "Senza te non vado.
"Come?
"Senza te non vado.
Lo abbracciavo come fosse un fantoccio. "Non fare il cretino. Arrivo subito.
Ora sembravano li. Il cane abbaiava sopra la mia testa.
"No.
"Tu invece te ne vai, hai capito?" Se lo mollavo crollava a terra. L'ho preso tra le braccia e l'ho spinto verso l'alto. "Prendi la corda, forza.
E l’ho sentito più leggero. Si era attaccato!
Quel bastardo alla fine si era attaccato alla corda!
Era su di me. Poggiava i miei piedi sulle mie spalle.
"Ora io ti spingo, ma tu continua a tirarti su con le braccia, capito? Non mollare.
Ho visto la sua piccola testa avvolta dalla luce pallida del buco.
"Sei arrivato. Ora tirati fuori.
Ci ha provato. Lo sentivo che si sforzava inutilmente. "Aspetta. Ti aiuto io,"
ho detto, afferrandolo per le caviglie. "Ti dò una spinta. Tu buttati". Ho fatto forza sulle gambe e stringendo i denti l'ho lanciato fuori e l'ho visto sparire inghiottito dalla bocca, nello stesso istante ho sentito come un lungo chiodo appuntito conficcarsi dentro l'osso della caviglia fino al midollo e una fitta ta-gliente di dolore attraversarmi come una scossa la gamba fino all'inguine, e sono crollato giù.
“Michele! Michele!, ce l’ho fatta! Vieni.
Ho ruttato aria acida. “Arrivo subito.
Ho provato ad alzarmi ma la gamba non rispondeva più. Da terra ho cercato di acchiappare la corda senza riuscirci.
Sentivo le voci sempre più vicine. Il rumore dei passi.
"Michele, vieni?
"Arrivo.
La testa mi girava, ma mi sono messo in ginocchio. Non ce la facevo a ti-rarmi su.
Ho detto: "Filippo, scappa!
Si è affacciato. "Sali!
"Non ce la faccio. La gamba. Scappa, tu!
Ha fatto no con la testa. "No, non vado". La luce alle sue spalle era più forte.
"Scappa. Stanno qui. Scappa.
"No.