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“Chi arriva ultimo paga penitenza". Aveva deciso il Teschio e mi aveva concesso: "Va bene, tua sorella non gareggia. E' troppo piccola.

"Non sono troppo piccola!" aveva protestato Maria. "Voglio fare anch'io la gara!" E poi era caduta.

Peccato, ero terzo.

Primo era Antonio. Come sempre.

Antonio Natale, detto il Teschio. Perché lo chiamavamo il Teschio non me lo ricordo. Forse perché una volta si era appiccicato sul braccio un teschio, una di quelle decalcomanie che si compravano dal tabaccaio e si attaccavano con l'acqua. Il Teschio era il più grande della banda. Dodici anni.

Ed era il capo. Gli piaceva comandare e se non obbedivi diventava cattivo.

Non era una cima, ma era grosso, forte e coraggioso. E si arrampicava su per quella collina come una dannata ruspa.

Secondo era Salvatore.

Salvatore Scardaccione aveva nove anni, la mia stessa età. Eravamo in classe insieme. Era il mio migliore amico. Salvatore era più alto di me. Era un ragazzino solitario. A volte veniva con noi ma spesso se ne stava per i fatti suoi. Era più sveglio del Teschio, gli sarebbe stato facilissimo spodestarlo, ma non gli interessava diventare capo. Il padre, l'avvocato Emilio Scardaccione, era una persona importante a Roma. E aveva un sacco di soldi in Svizzera.

Questo si diceva.

Poi c'ero io, Michele. Michele Amitrano. E anche quella volta ero terzo, stavo salendo bene, ma per colpa di mia sorella adesso ero fermo.

Stavo decidendo se tornare indietro o lasciarla là, quando mi sono ritrovato quarto. Dall'altra parte del crinale quella schiappa di Remo Marzano mi aveva superato. E se non mi rimettevo subito ad arrampicarmi mi sorpassava pure Barbara Mura.

Ut! Sarebbe stato orribile. Sorpassato da una femmina. Cicciona.

Barbara Mura saliva a quattro zampe come una scrofa inferocita. Tutta su-data e coperta di terra.

"Che fai, non vai dalla sorellina? Non l'hai sentita? Si è fatta male, poveri-na," ha grugnito felice. Per una volta non sarebbe toccata a lei la penitenza.

"Ci vado, ci vado... E ti batto pure". Non potevo dargliela vinta così.

Mi sono voltato e ho cominciato a scendere, agitando le braccia e urlando come un sioux. I sandali di cuoio scivolavano sul grano. Sono finito culo a terra un paio di volte.

Non la vedevo. "Maria! Maria! Dove stai?

"Michele...

Eccola. Era lì. Piccola e infelice. Seduta sopra un cerchio di steli spezzati.

Con una mano si massaggiava una caviglia e con l'altra si teneva gli occhiali.

Aveva i capelli appiccicati alla fronte e gli occhi lucidi. Quando mi ha visto, ha storto la bocca e si è gonfiata come un tacchino.

"Michele...?

"Maria, mi hai fatto perdere la gara! Te l'avevo detto di non venire, man-naggia a te". Mi sono seduto. "Che ti sei fatta?

"Sono inciampata. Mi sono fatta male al piede e... " Ha spalancato la bocca, ha strizzato gli occhi, ha dondolato la testa ed è esplosa a frignare. "Gli occhiali! Gli occhiali si sono rotti!

Le avrei mollato uno schiaffone. Era la terza volta che rompeva gli occhiali da quando era finita la scuola. E ogni volta con chi se la prendeva mamma?

«Devi stare attento a tua sorella, sei il fratello maggiore».

«Mamma, io...»

«Niente mamma io. Tu non hai ancora capito, ma io i soldi non li trovo nell'orto. La prossima volta che rompete gli occhiali ti prendi una di quelle punizioni che...»

Si erano spezzati al centro, dove erano stati già incollati. Erano da buttare.

Mia sorella intanto continuava a piangere.

"Mamma... Si arrabbia... Come si fa?

"E come si fa? Ci mettiamo lo scotch. Alzati, su.

"Sono brutti con lo scotch. Sono bruttissimi.

Non mi piacciono.

Mi sono infilato gli occhiali in tasca. Senza, Maria non ci vedeva, aveva gli occhi storti e il medico aveva detto che si sarebbe dovuta operare prima di diventare grande. "Non fa niente. Alzati.

Ha smesso di piangere e ha cominciato a tirare su con il naso. "Mi fa male il piede.

"Dove?" Continuavo a pensare agli altri, dovevano essere arrivati sopra la collina da un'ora.

Ero ultimo. Speravo solo che il Teschio non mi facesse scontare una penitenza troppo dura. Una volta che avevo perso una gara mi aveva obbligato a correre nell'ortica.

"Dove ti fa male?

Are sens

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