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Siamo entrati nel pollaio, abbiamo scelto la gallina più magra e spelacchiata e l'abbiamo messa in una sacca.

E siamo partiti, tutti e sei e la gallina, per andare a vedere questi famosi maiali di Melichetti e abbiamo pedalato tra i campi di grano, e pedala pedala il sole è salito e ha arroventato tutto.

Salvatore aveva ragione, la fattoria di Melichetti era lontanissima. Quando ci siamo arrivati avevamo una sete tremenda e la testa che bolliva.

Melichetti se ne stava con gli occhiali da sole seduto su un vecchio dondolo, sotto un ombrellone storto.

La fattoria cadeva a pezzi e il tetto era stato riparato alla meglio con latta e catrame. Nel cortile ci stava un mucchio di roba buttata: ruote di trattore, una Bianchina arrugginita, sedie sfondate, un tavolo senza una gamba. Su un palo di legno coperto di edera erano appesi dei teschi di mucca consumati dalla pioggia e dal sole. E un cranio più piccolo e senza corna. Chissà di che bestia era.

Un cagnaccio pelle e ossa abbaiava alla catena.

In fondo c'erano delle baracche di lamiera e i recinti dei maiali, sull'orlo di una gravina.

Le gravine sono piccoli canyon, lunghi crepacci scavati dall'acqua nella pietra. Guglie bianche, rocce e denti appuntiti affiorano dalla terra rossa.

Spesso dentro ci crescono olivi sbilenchi, corbezzoli e pungitopo, e ci sono caverne dove i pastori mettono le pecore.

Melichetti sembrava una mummia. La pelle rugosa gli pendeva addosso ed era senza peli, tranne un ciuffo bianco che gli cresceva in mezzo al petto.

Intorno al collo aveva un collare ortopedico chiuso con degli elastici verdi e addosso un paio di pantaloncini neri e delle ciabatte di plastica marrone.

Ci ha visti arrivare sulle nostre biciclette, ma non si è mosso. Dovevamo sembrargli un miraggio. Su quella strada non passava mai nessuno, al massimo qualche camion con il fieno.

C'era puzza di piscio. E milioni di mosche cavalline. A Melichetti non davano fastidio. Gli si posavano sulla testa e intorno agli occhi, come alle mucche.

Solo quando gli finivano sulla bocca, sbuffava.

Il Teschio si è fatto avanti. "Signore, abbiamo sete. Ce l'avrebbe un po'

d'acqua?

Ero preoccupato perché uno come Melichetti ti poteva sparare, gettarti ai maiali, o darti da bere acqua avvelenata. Papà mi aveva raccontato di uno in America che aveva un laghetto dove teneva i coccodrilli, e se ti fermavi a chiedergli un'informazione quello ti faceva entrare dentro casa, ti dava un colpo in testa e ti buttava in pasto ai coccodrilli. E quando era arrivata la poli-zia, invece che andare in galera si era fatto sbranare. Melichetti poteva benissimo essere uno così.

Il vecchio ha sollevato gli occhiali. "Che ci fate qui, ragazzini? Non siete un po' troppo lontani da casa?

"Signor Melichetti, è vero che ha dato da mangiare ai maiali il suo bassotto?" se ne è uscita Barbara.

Mi sono sentito morire. Il Teschio si è girato e l'ha fulminata con uno sguardo d'odio. Salvatore le ha tirato un calcio in uno stinco.

Melichetti si è messo a ridere e gli è venuto un attacco di tosse che per po-co non si strozzava.

Quando si è ripreso ha detto: "Chi ti racconta queste fesserie, ragazzina?

Barbara ha indicato il Teschio. "Lui!

Il Teschio è arrossito, ha abbassato la testa e si è guardato le scarpe.

Io sapevo perché Barbara lo aveva detto.

Qualche giorno prima c'era stata una gara di lancio dei sassi e Barbara aveva perso. Per penitenza, il Teschio l'aveva obbligata a slacciarsi la camicia e a mostrarci il seno. Barbara aveva undici anni. Aveva un po' di tette, uno sputo, niente a che vedere con quelle che le sarebbero venute entro un paio di anni.

Si era rifiutata. "Se non lo fai, scordati di venire con noi," l'aveva minacciata il Teschio. Io ero stato male, non era giusta quella penitenza. Barbara non mi

piaceva, appena poteva cercava di fregarti, ma mostrare le tette, no, mi sembrava troppo.

Il Teschio aveva deciso: "O ce le fai vedere o te ne vai.

E Barbara, zitta, aveva preso e si era sbottonata la camicetta.

Non avevo potuto fare a meno di guardargliele. Erano le prime tette che vedevo in vita mia, se escludo quelle di mamma. Forse una volta, quando era venuta a dormire da noi, avevo visto quelle di mia cugina Evelina, che aveva dieci anni più di me. Comunque già mi ero fatto un'idea delle tette che mi piacevano e quelle di Barbara non mi piacevano per niente. Sembravano scamorze, delle pieghe di pelle, non molto differenti dai rotoli di ciccia che aveva sulla pancia.

Quella storia Barbara se l'era legata al dito e adesso voleva pareggiare i conti con il Teschio.

"Così tu vai a raccontare in giro che io avrei dato da mangiare il mio bassotto ai maiali". Melichetti si è grattato il petto. "Augusto, si chiamava quel cane. Come l'imperatore romano. Aveva tredici anni quando è morto. Un osso di pollo gli si è piantato in gola. Ha avuto un funerale da cristiano, con tanto di fossa". Ha puntato il dito contro il Teschio. "Tu, ragazzino, ci scommetto, sei il più grande, vero?

Il Teschio non ha risposto.

"Non devi mai dire bugie. E non devi infangare il nome degli altri. Devi dire la verità, specialmente a chi è più piccolo di te. La verità, sempre. Di fronte agli uomini, al Padreterno, e a te stesso, hai capito?" Sembrava un prete che ti fa la predica.

"Non faceva nemmeno pipì in casa?" ha insistito Barbara.

Melichetti ha provato a fare no con la testa, ma il collare glielo impediva.

"Era un cane educato.

Gran cacciatore di topi. Pace all'anima sua". Ha indicato il fontanile. "Se avete sete laggiù c'è l'acqua. La migliore di tutta la regione. E non è una fesse-ria.

Abbiamo bevuto fino a scoppiare. Era fresca e buona. Poi abbiamo preso a schizzarci e a infilare la testa sotto la canna.

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