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Nel 1978 Acqua Traverse invece era così piccola che non era niente. Un borgo di campagna, lo chiamerebbero oggi su una rivista di viaggi.

Nessuno sapeva perché quel posto si chiamava così, neanche il vecchio Tronca. Acqua non ce n'era, se non quella che portavano con l'autocisterna ogni due settimane.

C'era la villa di Salvatore, che chiamavamo il Palazzo. Un casone costruito nell'Ottocento, lungo e grigio e con un grande portico di pietra e un cortile in-terno con una palma. E c'erano altre quattro case. Non per modo di dire.

Quattro case in tutto. Quattro misere case di pietra e malta con il tetto di tegole e le finestre piccole. La nostra. Quella della famiglia del Teschio. Quella della famiglia di Remo che la divideva col vecchio Tronca. Tronca era sordo e gli era morta la moglie, e viveva in due stanze che davano sull'orto. E c'era la casa di Pietro Mura, il padre di Barbara. Angela, la moglie, di sotto aveva lo spaccio dove potevi comprare il pane, la pasta e il sapone. E potevi telefona-re.

Due case da una parte, due dall'altra. E una strada, sterrata e piena di buche, al centro. Non c'era una piazza. Non c'erano vicoli. C'erano però due panchine sotto una pergola di uva fragola e una fontanella che aveva il rubi-netto con la chiave per non sprecare acqua. Tutto intorno i campi di grano.

L'unica cosa che si era guadagnata quel posto dimenticato da Dio e dagli uomini era un bel cartello blu con scritto in maiuscolo ACQUA TRAVERSE.

"E' arrivato papà!" ha gridato mia sorella. Ha buttato la bicicletta ed è corsa su per le scale.

Davanti a casa nostra c'era il suo camion, un Lupetto Fiat con il telone verde.

A quel tempo papà faceva il camionista e stava fuori per molte settimane.

Prendeva la merce e la portava al Nord.

Aveva promesso che una volta mi ci avrebbe portato pure a me al Nord.

Non riuscivo tanto bene a immaginarmi questo Nord. Sapevo che il Nord era ricco e che il Sud era povero. E noi eravamo poveri. Mamma diceva che se papà continuava a lavorare così tanto, presto non saremmo stati più poveri, saremmo stati benestanti. E quindi non dovevamo lamentarci se papà non c'era. Lo faceva per noi.

Sono entrato in casa con il fiatone.

Papà era seduto al tavolo in mutande e canottiera. Aveva davanti una bottiglia di vino rosso e tra le labbra una sigaretta con il bocchino e mia sorella appollaiata su una coscia.

Mamma, di spalle, cucinava. C'era odore di cipolle e salsa di pomodoro. Il televisore, uno scatolone Grundig in bianco e nero che aveva portato papà qualche mese prima, era acceso. Il ventilatore ronzava.

"Michele, dove siete stati tutto il giorno? Vostra madre stava impazzendo.

Non pensate a questa povera donna che deve già aspettare il marito e non può aspettare pure voi? Che è successo agli occhiali di tua sorella?

Non era arrabbiato veramente. Quando si arrabbiava veramente gli occhi gli uscivano fuori come ai rospi. Era felice di essere a casa.

Mia sorella mi ha guardato.

"Abbiamo costruito una capanna al torrente, "ho tirato fuori dalla tasca gli occhiali. "E si sono rotti.

Ha sputato una nuvola di fumo. "Vieni qua.

Fammeli vedere.

Papà era un uomo piccolo, magro e nervoso.

Quando si sedeva alla guida del camion quasi scompariva dietro il volante.

Aveva i capelli neri, tirati con la brillantina. La barba ruvida e bianca sul mento. Odorava di Nazionali e acqua di colonia.

Glieli ho dati.

"Sono da buttare". Li ha poggiati sul tavolo e ha detto: "Niente più occhiali.

Io e mia sorella ci siamo guardati.

"E come faccio?" ha chiesto Maria preoccupata.

"Stai senza. Così impari.

Mia sorella è rimasta senza parole.

"Non può. Non ci vede," sono intervenuto io.

"E chi se ne importa.

"Ma...

"Macché ma". E ha detto a mamma: "Teresa, dammi quel pacchetto che sta sulla credenza.

Mamma gliel'ha portato. Papà lo ha scartato e ha tirato fuori un astuccio blu, duro e vellutato.

"Tieni.

Maria lo ha aperto e dentro c'era un paio di occhiali con la montatura di plastica marrone.

"Provali.

Maria se li è infilati, ma continuava a carezzare l'astuccio.

Mamma le ha domandato: "Ti piacciono?

"Sì. Molto. La scatola è bellissima," ed è andata a guardarsi allo specchio.

Papà si è versato un altro bicchiere di vino.

"Se rompi pure questi, la prossima volta ti lascio senza, capito?"Poi mi ha preso per un braccio. "Fammi sentire il muscolo.

Ho piegato il braccio e l'ho irrigidito.

Mi ha stretto il bicipite. "Non mi sembra che sei migliorato. Le fai le flessioni?

"Sì.

Odiavo fare le flessioni. Papà voleva che le facevo perché diceva che ero rachitico.

"Non è vero," ha detto Maria, "non le fa.

"Ogni tanto le faccio. Quasi sempre.

Are sens