Una gamba?
Ho preso fiato e mi sono affacciato un istante.
Era una gamba.
Ho sentito le orecchie bollenti, la testa e le braccia che mi pesavano.
Stavo per svenire.
Mi sono seduto, ho chiuso gli occhi, ho poggiato la fronte su una mano, ho respirato. Avevo la tentazione di scappare, di correre dagli altri. Ma non potevo. Dovevo prima guardare un'altra volta.
Mi sono avvicinato e ho sporto la testa.
Era la gamba di un bambino. E un gomito spuntava dagli stracci.
In fondo a quel buco c'era un bambino.
Era steso su un fianco. Aveva la testa nascosta tra le gambe.
Non si muoveva.
Era morto.
Sono rimasto a guardarlo per non so quanto tempo. C'era anche un secchio. E un pentolino.
Forse dormiva.
Ho preso un sasso piccolo e gliel'ho tirato. L'ho colpito sulla coscia. Non si è mosso. Era morto.
Mortissimo. Un brivido mi ha morso la nuca. Ho preso un altro sasso e l'ho colpito sul collo. Ho avuto l'impressione che si muovesse. Un leggero movimento del braccio.
"Dove stai? Dove stai? Dove sei finito, recchione?
Gli altri! Il Teschio mi stava chiamando.
Ho afferrato la lastra e l'ho tirata fino a tappare il buco. Poi ho sparpagliato le foglie e la terra e ci ho rimesso su il materasso.
"Dove stai, Michele?
Sono andato via, ma prima mi sono girato un paio di volte a controllare che ogni cosa fosse al suo posto.
Pedalavo sulla Scassona.
Il sole alle mie spalle era una palla rossa e immensa, e quando finalmente è finito nel grano, è scomparso lasciandosi dietro una cosa arancione e viola.
Mi avevano chiesto com'era andata nella casa, se era stato pericoloso, se ero caduto, se ci stavano cose strane, se saltare sull'albero era stato difficile.
Avevo risposto a monosillabi.
Alla fine, annoiati, avevamo preso la via del ritorno. Un sentiero partiva dalla valle, attraversava i campi ocra e raggiungeva la strada. Avevamo recupe-rato le biciclette e pedalavamo in silenzio.
Sciami di moscerini ci ronzavano intorno.
Guardavo Maria che mi seguiva sulla sua Graziella con le ruote mangiate dalle pietre, il Teschio, davanti a tutti, con accanto il suo scudiere Remo, Sal-
vatore che avanzava zigzagando, Barbara sulla sua Bianchi troppo grande, e pensavo al bambino nel buco.
Non avrei detto niente a nessuno.
"Le cose sono di chi le trova per primo," aveva deciso il Teschio.
Se era così, il bambino in fondo al buco era mio.
Se lo dicevo, il Teschio, come sempre, si prendeva tutto il merito della scoperta. Avrebbe raccontato a tutti che lo aveva trovato lui perché era stato lui a decidere di salire sopra la collina.
Questa volta no. Io avevo fatto la penitenza, io ero caduto dall'albero e io l'avevo trovato.
Non era del Teschio. E neanche di Barbara.
Non era di Salvatore. Era mio. Era la mia scoperta segreta.
Non sapevo se avevo trovato un morto o un vivo. Forse il braccio non si era mosso. Me l'ero immaginato. O forse erano le contrazioni di un cadavere.
Come quelle delle vespe, che anche se le dividi in due con le forbici continuano a camminare, o come i polli, che anche senza testa sbattono le ali.
Ma che ci faceva là dentro?
"Che diciamo a mamma?