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Non mi ero accorto che mia sorella mi pedalava accanto. "Cosa?

"Che diciamo a mamma?

"Non lo so.

"Glielo dici tu degli occhiali?

"Si, ma non le devi dire niente di dove siamo andati. Se lo scopre dirà che gli occhiali li hai rotti perché siamo saliti lassù.

"Va bene.

"Giuramelo.

"Te lo giuro". Si è baciata gli indici.

Oggi Acqua Traverse è una frazione di Lucignano. A metà degli anni Ottan-ta un geometra ha costruito due lunghe schiere di villette di cemento armato.

Dei cubi con le finestre circolari, le ringhiere azzurre e i tondini d'acciaio che spuntano dal tetto. Poi sono arrivati una Coop e un bar tabacchi. E una strada asfaltata a due corsie che corre dritta come una pista d'atterraggio fino a Lucignano.

Nel 1978 Acqua Traverse invece era così piccola che non era niente. Un borgo di campagna, lo chiamerebbero oggi su una rivista di viaggi.

Nessuno sapeva perché quel posto si chiamava così, neanche il vecchio Tronca. Acqua non ce n'era, se non quella che portavano con l'autocisterna ogni due settimane.

C'era la villa di Salvatore, che chiamavamo il Palazzo. Un casone costruito nell'Ottocento, lungo e grigio e con un grande portico di pietra e un cortile in-terno con una palma. E c'erano altre quattro case. Non per modo di dire.

Quattro case in tutto. Quattro misere case di pietra e malta con il tetto di tegole e le finestre piccole. La nostra. Quella della famiglia del Teschio. Quella della famiglia di Remo che la divideva col vecchio Tronca. Tronca era sordo e gli era morta la moglie, e viveva in due stanze che davano sull'orto. E c'era la casa di Pietro Mura, il padre di Barbara. Angela, la moglie, di sotto aveva lo spaccio dove potevi comprare il pane, la pasta e il sapone. E potevi telefona-re.

Due case da una parte, due dall'altra. E una strada, sterrata e piena di buche, al centro. Non c'era una piazza. Non c'erano vicoli. C'erano però due panchine sotto una pergola di uva fragola e una fontanella che aveva il rubi-netto con la chiave per non sprecare acqua. Tutto intorno i campi di grano.

L'unica cosa che si era guadagnata quel posto dimenticato da Dio e dagli uomini era un bel cartello blu con scritto in maiuscolo ACQUA TRAVERSE.

"E' arrivato papà!" ha gridato mia sorella. Ha buttato la bicicletta ed è corsa su per le scale.

Davanti a casa nostra c'era il suo camion, un Lupetto Fiat con il telone verde.

A quel tempo papà faceva il camionista e stava fuori per molte settimane.

Prendeva la merce e la portava al Nord.

Aveva promesso che una volta mi ci avrebbe portato pure a me al Nord.

Non riuscivo tanto bene a immaginarmi questo Nord. Sapevo che il Nord era ricco e che il Sud era povero. E noi eravamo poveri. Mamma diceva che se papà continuava a lavorare così tanto, presto non saremmo stati più poveri, saremmo stati benestanti. E quindi non dovevamo lamentarci se papà non c'era. Lo faceva per noi.

Sono entrato in casa con il fiatone.

Papà era seduto al tavolo in mutande e canottiera. Aveva davanti una bottiglia di vino rosso e tra le labbra una sigaretta con il bocchino e mia sorella appollaiata su una coscia.

Mamma, di spalle, cucinava. C'era odore di cipolle e salsa di pomodoro. Il televisore, uno scatolone Grundig in bianco e nero che aveva portato papà qualche mese prima, era acceso. Il ventilatore ronzava.

"Michele, dove siete stati tutto il giorno? Vostra madre stava impazzendo.

Non pensate a questa povera donna che deve già aspettare il marito e non può aspettare pure voi? Che è successo agli occhiali di tua sorella?

Non era arrabbiato veramente. Quando si arrabbiava veramente gli occhi gli uscivano fuori come ai rospi. Era felice di essere a casa.

Mia sorella mi ha guardato.

"Abbiamo costruito una capanna al torrente, "ho tirato fuori dalla tasca gli occhiali. "E si sono rotti.

Ha sputato una nuvola di fumo. "Vieni qua.

Fammeli vedere.

Papà era un uomo piccolo, magro e nervoso.

Quando si sedeva alla guida del camion quasi scompariva dietro il volante.

Aveva i capelli neri, tirati con la brillantina. La barba ruvida e bianca sul mento. Odorava di Nazionali e acqua di colonia.

Glieli ho dati.

"Sono da buttare". Li ha poggiati sul tavolo e ha detto: "Niente più occhiali.

Io e mia sorella ci siamo guardati.

"E come faccio?" ha chiesto Maria preoccupata.

"Stai senza. Così impari.

Are sens

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