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Non aveva più niente di umano.

Dovevo vedergli la faccia. La faccia è la cosa più importante. Dalla faccia si capisce tutto.

Ma scendere lì dentro mi faceva paura. Potevo girarlo con una mazza. Ci voleva una mazza bella lunga. Sono entrato nella stalla e lì ho trovato un pa-lo, ma era corto. Sono tornato indietro. Sul cortile si affacciava una porticina chiusa a chiave. Ho provato a spingerla, ma anche se era malmessa, resisteva. Sopra la porta c'era una finestrella. Mi sono arrampicato puntellandomi sugli stipiti e, di testa, mi sono infilato dentro. Bastavano un paio di chili in più, o il culo di Barbara, e non ci sarei passato.

Mi sono ritrovato nella stanza che avevo visto mentre attraversavo il ponte.

C'erano i pacchi di pasta. I barattoli di pelati aperti. Bottiglie di birra vuote. I resti di un fuoco. Dei giornali. Un materasso. Un bidone pieno d'acqua. Un cestino. Ho avuto la sensazione del giorno prima, che li ci veniva qualcuno.

Quella stanza non era abbandonata come il resto della casa.

Sotto una coperta grigia c'era uno scatolone.

Dentro ho trovato una corda che finiva con un uncino di ferro.

Con questa posso andare giù, ho pensato.

L'ho presa e l'ho buttata dalla finestrella e sono uscito.

Per terra c'era il braccio arrugginito di una gru.

Ci ho legato intorno la corda. Ma avevo paura che si scioglieva e io rimanevo nel buco insieme al morto. Ho fatto tre nodi, come quelli che faceva papà al telone del camion. Ho tirato con tutta la forza, resisteva. Allora l'ho gettata nel buco.

"Io non ho paura di niente," ho sussurrato per farmi coraggio, ma le gambe mi cedevano e una voce nel cervello mi urlava di non andare.

I morti non fanno niente, mi sono detto, mi sono fatto il segno della croce e sono sceso.

Dentro faceva più freddo.

La pelle del morto era sudicia, incrostata di fango e merda. Era nudo. Alto come me, ma più magro. Era pelle e ossa. Le costole gli sporgevano. Doveva avere più o meno la mia età.

Gli ho toccato la mano con la punta del piede, ma è rimasta senza vita. Ho sollevato la coperta che gli copriva le gambe. Intorno alla caviglia destra aveva una grossa catena chiusa con un lucchetto. La pelle era scorticata e rosa.

Un liquido trasparente e denso trasudava dalla carne e colava sulle maglie ar-rugginite della catena attaccata a un anello interrato.

Volevo vedergli la faccia. Ma non volevo toccargli la testa. Mi faceva impressione.

Alla fine, tentennando, ho allungato un braccio e ho afferrato con due dita un lembo della coperta e stavo cercando di levargliela dal viso quando il morto ha piegato la gamba.

Ho stretto i pugni e ho spalancato la bocca e il terrore mi ha afferrato le palle con una mano gelata.

Poi il morto ha sollevato il busto come fosse vivo e a occhi chiusi ha allungato le braccia verso di me.

I capelli mi si sono rizzati in testa, ho cacciato un urlo, ho fatto un salto indietro e sono inciampato nel secchio e la merda si è versata ovunque.

Sono finito schiena a terra urlando.

Anche il morto ha cominciato a urlare.

Mi sono dimenato nella merda. Poi finalmente con uno scatto disperato ho preso la corda e sono schizzato fuori da quel buco come una pulce impazzita.

Pedalavo, mi infilavo tra buche e cunette rischiando di spezzarmi la schiena, ma non frenavo.

Il cuore mi esplodeva, i polmoni mi bruciavano.

Ho preso un dosso e mi sono ritrovato in aria. Sono atterrato male, ho stru-sciato un piede a terra e ho tirato i freni, ma è stato peggio, la ruota davanti si è inchiodata e sono scivolato nel fosso a lato della strada. Mi sono rimesso in piedi con le gambe che mi tremavano e mi sono guardato. Un ginocchio era sbucciato a sangue, la maglietta era tutta sporca di merda, una striscia di cuoio del sandalo si era spezzata.

Respira, mi sono detto.

Respiravo e sentivo il cuore placarsi, il fiato tornare normale e improvvisamente mi è venuto sonno. Mi sono sdraiato. Ho chiuso gli occhi sotto le palpebre era tutto rosso. La paura c'era ancora, ma era appena un bruciore in fondo allo stomaco. Il sole mi scaldava le braccia gelate. I grilli mi strillavano nelle orecchie. Il ginocchio mi pulsava.

Quando ho riaperto gli occhi delle grosse formiche nere mi camminavano addosso.

Quanto avevo dormito? Potevano essere cinque minuti come due ore.

Sono salito sulla Scassona e ho ripreso la strada di casa. Mentre pedalavo continuavo a vedere il bambino morto che si sollevava e stendeva le mani verso di me. Quella faccia scavata, quegli occhi chiusi, quella bocca spalancata continuavano a balenarmi davanti.

Ora mi appariva come un sogno. Un incubo che non aveva più forza.

Era vivo. Aveva fatto finta di essere morto.

Perché?

Forse era malato. Forse era un mostro.

Un lupo mannaro

Di notte diventava un lupo. Lo tenevano incatenato lì perché era pericoloso.

Avevo visto alla televisione un film di un uomo che nelle notti di luna piena si trasformava in lupo e assaliva la gente.

I contadini preparavano una trappola e il lupo ci finiva dentro e un cacciatore gli sparava e il lupo moriva e tornava uomo. Era il farmacista. E il cacciatore era il figlio del farmacista.

Quel bambino lo tenevano incatenato sotto una lastra coperta di terra per non esporlo ai raggi della luna.

I lupi mannari non si possono curare. Per ucciderli bisogna avere una pallottola d'argento.

Ma i lupi mannari non esistevano.

«Piantala con questi mostri, Michele. I mostri non esistono. I fantasmi, i lu-pi mannari, le streghe sono fesserie inventate per mettere paura ai creduloni come te. Devi avere paura degli uomini, non dei mostri», mi aveva detto pa-pà un giorno che gli avevo chiesto se i mostri potevano respirare sott'acqua.

Ma se lo avevano nascosto lì ci doveva essere una ragione.

Papà mi avrebbe spiegato tutto.

"Papà! Papà... "Ho spinto la porta e mi sono precipitato dentro. "Papà! Ti devo dire... "Il resto mi si è spento tra le labbra.

Stava sulla poltrona, il giornale tra le mani e mi guardava con gli occhi da rospo. I peggiori occhi da rospo che mi era capitato di vedere dal giorno in cui mi ero bevuto l'acqua di Lourdes pensando che era l'acqua con le bollici-ne. Ha schiacciato la cicca nella tazzina del caffè.

Are sens