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Avevo il vuoto in testa. Mi ripetevo tutta la frutta che conoscevo e ci attaccavo dietro pezzi di animali e non ne usciva niente.

"Il Susinello?

"No.

"Il Perana?

"No.

"Non lo so. Mi arrendo. Qual è?

"Non te lo dico.

"Ora me lo devi dire.

"Vabbe', te lo dico. Il coccodrillo.

Mi sono dato uno schiaffo sulla fronte. "E' vero! Il cocco drillo! Era facilissimo. Che cretino...

"Buona notte," mi ha detto Maria.

"Buona notte," le ho risposto.

Ho provato a dormire, ma non avevo sonno, mi rigiravo nel letto.

Mi sono affacciato alla finestra. La luna non era più una palla perfetta e c'erano stelle da tutte le parti. Quella notte il bambino non poteva trasformarsi in lupo. Ho guardato verso la collina. E per un istante, ho avuto l'impressione che una lucina baluginasse sulla cima.

Chissà cosa succedeva nella casa abbandonata.

Forse c'erano le streghe, nude e vecchie, che stavano intorno al buco a ridere senza denti e forse tiravano fuori dal buco il bambino e lo facevano bal-lare e gli tiravano il pesce. Forse c'era l'orco e gli zingari che se lo cucinavano sulla brace.

Non sarei andato là sopra di notte per tutto l'oro del mondo. Mi sarebbe piaciuto trasformarmi in un pipistrello e volare sopra la casa. O mettermi

l'armatura antica che il papà di Salvatore teneva all'ingresso di casa e salire sulla collina. Con quella addosso le streghe non mi potevano fare niente.

3.

La mattina mi sono svegliato tranquillo, non avevo fatto sogni brutti. Sono rimasto un po' a letto, a occhi chiusi, ad ascoltare gli uccelli. Poi ho cominciato a rivedere il bambino che si sollevava e allungava le braccia.

"Aiuto!" ho detto.

Che stupido! Per quello si era alzato. Mi chiedeva aiuto e io ero scappato via.

Sono uscito in mutande dalla stanza. Papà stava avvitando la macchinetta del caffè. Il padre di Barbara era seduto a tavola.

"Buon giorno," ha detto papà. Non era più arrabbiato.

"Ciao, Michele," ha detto il padre di Barbara. "Come stai?

"Bene.

Pietro Mura era un uomo basso e tozzo, con un paio di baffoni neri che gli coprivano la bocca e un testone quadrato. Indossava un completo nero con le righine bianche e sotto la canottiera. Per tanti anni aveva fatto il barbiere a Lucignano, ma gli affari non erano mai andati bene e quando avevano aperto un nuovo salone con la manicure e i tagli moderni aveva chiuso bottega e ora faceva il contadino. Ma ad Acqua Traverse lo continuavano a chiamare il barbiere.

Se ti dovevi tagliare i capelli andavi a casa sua.

Ti faceva sedere in cucina, al sole, accanto alla gabbia con i cardellini, apriva un cassetto e tirava fuori un panno arrotolato, dentro ci teneva i pettini e le forbici ben oliate.

Pietro Mura aveva le dita grosse e corte come sigari toscani che entravano appena nelle forbici, e prima di cominciare a tagliare allargava le lame e te le passava sulla testa, avanti e indietro, come un rabdomante. Diceva che in quel modo poteva sentirti i pensieri, se erano buoni o cattivi.

E io, quando faceva così, cercavo di pensare solo a cose belle come i gelati, le stelle cadenti o a quanto volevo bene a mamma.

Mi ha guardato e ha detto: "Che vuoi fare, il capellone?

Ho fatto segno di no con la testa.

Papà ha versato il caffè nelle tazzine buone.

"Ieri mi ha fatto arrabbiare. Se continua così lo mando dai frati.

Il barbiere mi ha chiesto: "Lo sai come si tagliano i capelli ai frati?

"Con il buco al centro.

"Bravo. Ti conviene ubbidire, quindi.

"Forza, vestiti e fai colazione," mi ha detto papà. "Mamma ti ha lasciato il pane e il latte.

"Dov'è andata?

"A Lucignano. Al mercato.

"Papà, ti devo dire una cosa. Una cosa importante.

Si è messo la giacca. "Me la dici stasera. Adesso sto uscendo. Sveglia tua sorella e scalda il latte". Con un sorso si è finito il caffè.

Il barbiere si è bevuto il suo e sono usciti tutti e due di casa.

Dopo aver preparato la colazione a Maria sono sceso in strada.

Il Teschio e gli altri giocavano a calcio sotto il sole.

Togo, un bastardino bianco e nero, rincorreva la palla e finiva tra le gambe di tutti.

Togo era apparso ad Acqua Traverse all'inizio dell'estate ed era stato adot-tato da tutto il paese.

Si era fatto la cuccia nel capannone del padre del Teschio. Tutti gli davano resti ed era diventato un grassone con una pancia gonfia come un tamburo.

Era un cagnolino buono, quando gli facevi le carezze o lo portavi dentro ca-sa si emozionava e si accucciava e faceva pipì.

Are sens