Sono rimasto a lungo con gli occhi puntati sul soffitto prima di riaddormen-tarmi.
Papà non ripartiva.
Era tornato per restare. Aveva detto a mamma che non voleva vedere l'au-tostrada per un po' e si sarebbe occupato di noi.
Forse, prima o poi, ci portava a mare a fare il bagno.
2.
Quando mi sono svegliato mamma e papà dormivano ancora. Ho buttato giù il latte e il pane con la marmellata, sono uscito e ho preso la bicicletta.
"Dove vai?
Maria era sulle scale di casa, in mutande, e mi guardava.
"A fare un giro.
"Dove?
"Non lo so.
"Voglio venire con te.
'
"No.
"Io lo so dove vai... Vai sulla montagna.
"No. Non ci vado. Se papà o mamma ti chiedono qualcosa digli che sono andato a fare un giro e che torno subito.
Un altro giorno di fuoco.
Alle otto della mattina il sole era ancora basso, ma già cominciava ad arrostire la pianura. Percorrevo la strada che avevamo fatto il pomeriggio prima e non pensavo a niente, pedalavo nella polvere e negli insetti e cercavo di arrivare presto. Ho preso la via dei campi, quella che costeggiava la collina e raggiungeva la val e. Ogni tanto dal grano si sol evavano le gazze con le loro code bianche e nere. Si inseguivano, si litigavano, si insultavano con quei versacci striduli. Un falco volteggiava immobile, spinto dalle correnti calde. E
ho visto pure una lepre rossa, con le orecchie lunghe, sfrecciarmi davanti.
Avanzavo a fatica, spingendo sui pedali, le ruote slittavano sui sassi e le zolle aride. Più mi avvicinavo alla casa, più la collina gialla cresceva di fronte a me, più un peso mi schiacciava il petto, togliendomi il respiro.
E se arrivavo su e c'erano le streghe o un orco?
Sapevo che le streghe si riunivano la notte nelle case abbandonate e facevano le feste e se partecipavi diventavi pazzo e gli orchi si mangiavano i bambini.
Dovevo stare attento. Se un orco mi prendeva, buttava anche me in un bu-co e mi mangiava a pezzi. Prima un braccio, poi una gamba e così via. E nessuno sapeva più niente. I miei genitori avrebbero pianto disperati. E tutti a di-re: «Michele era tanto buono, come ci dispiace». Sarebbero venuti gli zii e mia cugina Evelina, con la Giulietta blu. Il Teschio non si sarebbe messo a piangere, figuriamoci, e neanche Barbara. Mia sorella e Salvatore, sì.
Non volevo morire. Anche se mi sarebbe piaciuto andare al mio funerale.
Non ci dovevo andare lassù. Ma che mi ero impazzito?
Ho girato la bicicletta e mi sono avviato verso casa. Dopo un centinaio di metri ho frenato.
Cos'avrebbe fatto Tiger Jack al mio posto?
Non tornava indietro neanche se glielo ordinava Manitù in persona.
Tiger Jack.
Quella era una persona seria. Tiger Jack, l'amico indiano di Tex Willer.
E Tiger Jack su quella collina ci saliva pure se c'era il convegno internazio-nale di tutte le streghe, i banditi e gli orchi del pianeta perché era un indiano navajo, ed era intrepido e invisibile e silenzioso come un puma e sapeva ar-rampicarsi e sapeva aspettare e poi colpire con il pugnale i nemici.
Io sono Tiger, anche meglio, io sono il figlio italiano di Tiger, mi sono detto.
Peccato che non avevo un pugnale, un arco o un fucile Winchester.
Ho nascosto la bicicletta, come avrebbe fatto Tiger con il suo cavallo, mi sono infilato nel grano e sono avanzato a quattro zampe, fino a quando non ho sentito le gambe dure come pezzi di legno e le braccia indolenzite. Allora ho cominciato a zompettare come un fagiano, guardandomi a destra e a sinistra.
Quando sono arrivato nella valle, sono rimasto qualche minuto a riprendere aria, spalmato contro un tronco. E sono passato da un albero all'altro, come un'ombra sioux. Con le orecchie drizzate a qualsiasi voce o rumore sospetto.
Ma sentivo solo il sangue che pulsava nei timpani.
Acquattato dietro un cespuglio ho spiato la casa.
Era silenziosa e tranquilla. Niente sembrava cambiato. Se erano passate le streghe avevano rimesso tutto a posto.
Mi sono infilato tra i rovi e mi sono ritrovato nel cortile.
Nascosto sotto la lastra e il materasso ci stava il buco.