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Niccolò Ammaniti,

Io non ho paura.

Copyright 2001 Giulio Einaudi editore.

L'estate più calda del secolo. Quattro case sperdute nel grano. I grandi so-no tappati in casa. Sei bambini, sulle loro biciclette, si avventurano nella campagna rovente e abbandonata. In mezzo a quel mare di spighe c'è un segreto pauroso, un segreto che cambierà per sempre la vita di uno di loro.

Dopo ti prendo e ti porto via, Niccolò Ammaniti in questo romanzo va al cuore della sua narrativa, con una storia tesa e dal ritmo serrato, un conge-gno a orologeria che si carica fino a una conclusione sorprendente e mette in scena la paura stessa.

Michele Amitrano, nove anni, si trova di colpo a fare i conti con un segreto così grande e terribile da non poterlo nemmeno raccontare e per affrontarlo dovrà trovare la forza proprio nelle sue fantasie di bambino, mentre il lettore assiste a una doppia storia quella vista con gli occhi di Michele e quella, tragi-ca, che coinvolge i grandi di Acqua Traverse, misera frazione dispersa tra i campi di grano.

Il risultato è un racconto potente e di assoluta felicità narrativa, dove si re-spirano atmosfere che vanno da Olive Barker alle Avventure di Tom Sawyer, alle Fiabe italiane di Calvino.

La storia è ambientata nell'estate torrida del 1978 nella campagna di un Sud dell'Italia non identificato, ma evocato con rara forza descrittiva. In questo paesaggio dominato dal contrasto tra la luce abbagliante del sole e il buio della notte. Ammaniti alterna, a colpi di scena sapienti, la commedia, il mondo dei rapporti infantili, la lingua e la buffa saggezza dei bambini, la loro te-nacia, la forza dell'amicizia e il dramma del tradimento e insieme tratteggia un indimenticabile campionario di adulti.

Romanzo della scoperta di se attraverso il rischio più estremo, e la necessi-tà di affrontarlo, io non ho paura diventa un addio struggente all'età dei giochi e dello stupore, all'energia magica che ci fa lottare contro i mostri. E si insinua sotto pelle in ciascuno di noi, come una tenera pugnalata nel petto.

Niccolò Ammaniti e nato a Roma nel 1966. Ha esordito con il romanzo Branchie (Ediesse 1994, Einaudi Stile libero 1997) Nel 1996 ha pubblicato la raccolta di racconti Fango (Mondadori) e nel 1999 il romanzo Ti prendo e ti

porto via (Mondadori) I suoi libri sono tradotti in francese, tedesco, spagnolo, greco, russo e polacco

Io non ho paura è un'opera di fantasia. Personaggi, situazioni, luoghi sono creazioni dell'autore. Ogni riferimento a fatti o persone vive o morte è pura-mente casuale.

Questo solo capì. Di essere caduto nella tenebra.

E nell'istante in cui seppe, cessò di sapere.

JACK LONDON.

1.

Stavo per superare Salvatore quando ho sentito mia sorella che urlava. Mi sono girato e l'ho vista sparire inghiottita dal grano che copriva la collina.

Non dovevo portarmela dietro, mamma me l'avrebbe fatta pagare cara.

Mi sono fermato. Ero sudato. Ho preso fiato e l'ho chiamata. "Maria? Maria?

Mi ha risposto una vocina sofferente. "Michele!

"Ti sei fatta male?

"Si, vieni.

"Dove ti sei fatta male?

"Alla gamba.

Faceva finta, era stanca. Vado avanti, mi sono detto. E se si era fatta male davvero?

Dov'erano gli altri?

Vedevo le loro scie nel grano. Salivano piano, in file parallele, come le dita di una mano, verso la cima della collina, lasciandosi dietro una coda di steli abbattuti.

Quell'anno il grano era alto. A fine primavera aveva piovuto tanto, e a metà giugno le piante erano più rigogliose che mai. Crescevano fitte, cariche di spighe, pronte per essere raccolte.

Ogni cosa era coperta di grano. Le colline, basse, si susseguivano come onde di un oceano dorato. Fino in fondo all'orizzonte grano, cielo, grilli, sole e caldo.

Non avevo idea di quanto faceva caldo, uno a nove anni, di gradi centigradi se ne intende poco, ma sapevo che non era normale.

Quella maledetta estate del 1978 è rimasta famosa come una delle più calde del secolo. Il calore entrava nelle pietre, sbriciolava la terra, bruciava le piante e uccideva le bestie, infuocava le case. Quando prendevi i pomodori nell'orto, erano senza succo e le zucchine piccole e dure. Il sole ti levava il respiro, la forza, la voglia di giocare, tutto. E la notte si schiattava uguale.

Ad Acqua Traverse gli adulti non uscivano di casa prima delle sei di sera. Si tappavano dentro, con le persiane chiuse. Solo noi ci avventuravamo nella campagna rovente e abbandonata.

Mia sorella Maria aveva cinque anni e mi seguiva con l'ostinazione di un bastardino tirato fuori da un canile.

«Voglio fare quello che fai tu», diceva sempre.

Mamma le dava ragione.

«Sei o non sei il fratello maggiore?» E non c'erano santi, mi toccava portarmela dietro.

Nessuno si era fermato ad aiutarla.

Normale, era una gara.

"Dritti, su per la collina. Niente curve. E' vietato stare uno dietro l'altro. E'

vietato fermarsi.

“Chi arriva ultimo paga penitenza". Aveva deciso il Teschio e mi aveva concesso: "Va bene, tua sorella non gareggia. E' troppo piccola.

"Non sono troppo piccola!" aveva protestato Maria. "Voglio fare anch'io la gara!" E poi era caduta.

Peccato, ero terzo.

Primo era Antonio. Come sempre.

Antonio Natale, detto il Teschio. Perché lo chiamavamo il Teschio non me lo ricordo. Forse perché una volta si era appiccicato sul braccio un teschio, una di quelle decalcomanie che si compravano dal tabaccaio e si attaccavano con l'acqua. Il Teschio era il più grande della banda. Dodici anni.

Ed era il capo. Gli piaceva comandare e se non obbedivi diventava cattivo.

Non era una cima, ma era grosso, forte e coraggioso. E si arrampicava su per quella collina come una dannata ruspa.

Secondo era Salvatore.

Salvatore Scardaccione aveva nove anni, la mia stessa età. Eravamo in classe insieme. Era il mio migliore amico. Salvatore era più alto di me. Era un ragazzino solitario. A volte veniva con noi ma spesso se ne stava per i fatti suoi. Era più sveglio del Teschio, gli sarebbe stato facilissimo spodestarlo, ma non gli interessava diventare capo. Il padre, l'avvocato Emilio Scardaccione, era una persona importante a Roma. E aveva un sacco di soldi in Svizzera.

Questo si diceva.

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