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Respiravo e sentivo il cuore placarsi, il fiato tornare normale e improvvisamente mi è venuto sonno. Mi sono sdraiato. Ho chiuso gli occhi sotto le palpebre era tutto rosso. La paura c'era ancora, ma era appena un bruciore in fondo allo stomaco. Il sole mi scaldava le braccia gelate. I grilli mi strillavano nelle orecchie. Il ginocchio mi pulsava.

Quando ho riaperto gli occhi delle grosse formiche nere mi camminavano addosso.

Quanto avevo dormito? Potevano essere cinque minuti come due ore.

Sono salito sulla Scassona e ho ripreso la strada di casa. Mentre pedalavo continuavo a vedere il bambino morto che si sollevava e stendeva le mani verso di me. Quella faccia scavata, quegli occhi chiusi, quella bocca spalancata continuavano a balenarmi davanti.

Ora mi appariva come un sogno. Un incubo che non aveva più forza.

Era vivo. Aveva fatto finta di essere morto.

Perché?

Forse era malato. Forse era un mostro.

Un lupo mannaro

Di notte diventava un lupo. Lo tenevano incatenato lì perché era pericoloso.

Avevo visto alla televisione un film di un uomo che nelle notti di luna piena si trasformava in lupo e assaliva la gente.

I contadini preparavano una trappola e il lupo ci finiva dentro e un cacciatore gli sparava e il lupo moriva e tornava uomo. Era il farmacista. E il cacciatore era il figlio del farmacista.

Quel bambino lo tenevano incatenato sotto una lastra coperta di terra per non esporlo ai raggi della luna.

I lupi mannari non si possono curare. Per ucciderli bisogna avere una pallottola d'argento.

Ma i lupi mannari non esistevano.

«Piantala con questi mostri, Michele. I mostri non esistono. I fantasmi, i lu-pi mannari, le streghe sono fesserie inventate per mettere paura ai creduloni come te. Devi avere paura degli uomini, non dei mostri», mi aveva detto pa-pà un giorno che gli avevo chiesto se i mostri potevano respirare sott'acqua.

Ma se lo avevano nascosto lì ci doveva essere una ragione.

Papà mi avrebbe spiegato tutto.

"Papà! Papà... "Ho spinto la porta e mi sono precipitato dentro. "Papà! Ti devo dire... "Il resto mi si è spento tra le labbra.

Stava sulla poltrona, il giornale tra le mani e mi guardava con gli occhi da rospo. I peggiori occhi da rospo che mi era capitato di vedere dal giorno in cui mi ero bevuto l'acqua di Lourdes pensando che era l'acqua con le bollici-ne. Ha schiacciato la cicca nella tazzina del caffè.

Mamma era seduta sul divano a cucire, ha alzato la testa e l'ha riabbassata.

Papà ha preso aria con il naso e ha detto: "Dove sei stato tutto il giorno?"

Mi ha squadrato da capo a piedi. "Ma ti sei visto? Dove cazzo ti sei rotolato?"

Ha fatto una smorfia. "Nella merda?

Puzzi come un maiale! Hai rotto pure i sandali!

Ha guardato l'orologio. "Lo sai che ore sono?

Sono rimasto in silenzio.

"Te lo dico io. Le tre e venti. A pranzo non ti sei fatto vedere. Nessuno sapeva dove stavi. Ti sono andato a cercare fino a Lucignano. Ieri l'hai passata liscia, oggi no.

Quando era così infuriato papà non urlava, parlava a bassa voce. Questo mi terrorizzava. Ancora oggi non sopporto le persone che non sfogano la loro rabbia.

Mi ha indicato la porta. "Se vuoi fare quello che ti pare è meglio che te ne vai. Io non ti voglio.

Vattene.

"Aspetta, ti devo dire una cosa.

"Tu non mi devi dire niente, devi uscire da quella porta.

Ho implorato. "Papà, è una cosa importante...

"Se non te ne vai entro tre secondi, mi alzo da questa poltrona e ti prendo a calci fino al cartello di Acqua Traverse". E improvvisamente ha alzato il to-no. "Vattene via!

Ho fatto di si con la testa. Mi veniva da piangere. Gli occhi mi si sono riem-piti di lacrime, ho aperto la porta e ho sceso le scale. Sono rimontato sulla Scassona e ho pedalato fino al torrente.

Il torrente era sempre secco, tranne d'inverno, quando pioveva forte. Si snodava tra i campi gialli come una lunga biscia albina. Un letto di sassi bianchi e appuntiti, di rocce incandescenti e ciuffi d'erba. Dopo un pezzo scosceso tra due colline, il torrente si allargava formando uno stagno che d'estate si asciugava fino a diventare una pozzanghera, nera.

Il lago, lo chiamavamo.

Dentro non c'erano pesci, né girini, solo larve di zanzara e insetti pattinato-ri. Se ci infilavi i piedi, li tiravi fuori coperti da un fango scuro e puzzolente.

Andavamo lì per il carrubo.

Are sens

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