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"Vai in porta," mi ha urlato Salvatore.

Mi ci sono messo. A nessuno piaceva fare il portiere. A me sì. Forse perché con le mani ero più bravo che con i piedi. Mi piaceva saltare, tuffarmi, roto-larmi nella polvere. Parare i rigori.

Gli altri invece volevano solo fare gol.

Quella mattina ne ho presi tanti. La palla mi sfuggiva o arrivavo tardi. Ero distratto.

Salvatore mi si è avvicinato. "Michele, che hai?

"Che ho?

"Stai giocando malissimo.

Mi sono sputato nelle mani, ho allargato le braccia e le gambe e ho stretto gli occhi come Zoff.

"Adesso paro. Paro tutto.

Il Teschio ha smarcato Remo, ha sparato una bordata tesa e centrale. Una palla forte, ma facile, di quelle che si possono respingere con un pugno, oppure stringere contro la pancia. Ho provato ad afferrarla ma mi è schizzata dalle mani.

"Gol!" ha urlato il Teschio, e ha sollevato un pugno in aria come se avesse segnato contro la Juventus.

La collina mi chiamava. Potevo andare. Papà e mamma non c'erano. Bastava tornare prima di pranzo.

"Non ho voglia di giocare," ho detto e me ne sono andato.

Salvatore mi ha rincorso. "Dove vai?

"Da nessuna parte.

"Andiamo a fare un giro?

"Dopo. Adesso ho da fare una cosa.

Ero scappato e avevo lasciato tutto così.

La lastra buttata da una parte insieme al materasso, il buco scoperto e la corda che ci pendeva dentro.

Se i guardiani del buco erano venuti, avevano visto che il loro segreto era stato scoperto e me l'avrebbero fatta pagare.

E se non c'era più?

Dovevo farmi coraggio e guardare.

Mi sono affacciato.

Era arrotolato nella coperta.

Mi sono schiarito la voce. "Ciao... Ciao...

Ciao... Sono quello di ieri. Sono sceso, ti ricordi?

Nessuna risposta.

"Mi senti? Sei sordo?" Era una domanda stupida. "Stai male? Sei vivo?

Ha piegato il braccio, ha sollevato una mano e ha bisbigliato qualche cosa.

"Come? Non ho capito.

"Acqua.”

"Acqua? Hai sete?

Ha sollevato il braccio.

"Aspetta.

Dove la trovavo l'acqua? C'erano un paio di secchi per la vernice, ma erano vuoti. Nel lavatoio ce n'era un po', ma era verde e pullulava di larve di zanzara.

Mi sono ricordato che quando ero entrato dentro per prendere la corda avevo visto un bidone pieno d'acqua.

"Torno subito," gli ho detto, e mi sono infilato nella chiostrina sopra la porta.

Il bidone era mezzo pieno, ma l'acqua era limpida e non aveva odore.

Sembrava buona.

In un angolo buio, sopra un'asse di legno, c'erano dei barattoli, dei mozziconi di candela, una pentola e delle bottiglie vuote. Ne ho presa una, ho fatto due passi e mi sono fermato. Sono tornato indietro e ho preso in mano la pentola.

Era una pentola bassa, smaltata di bianco, con il bordo e i manici dipinti di blu e intorno c'erano disegnate delle mele rosse ed era uguale a quella che avevamo noi a casa. La nostra l'avevamo comprata con la mamma al mercato di Lucignano, l'aveva scelta Maria da un mucchio di pentole sopra un banco perché le piacevano le mele.

Questa sembrava più vecchia. Era stata lavata male, sul fondo c'era ancora un po' di roba appiccicata. Ci ho passato l'indice e l'ho avvicinato al naso.

Salsa di pomodoro.

L'ho rimessa a posto e ho riempito la bottiglia d'acqua e l'ho chiusa con un tappo di sughero, ho preso il cestino e sono uscito fuori.

Ho afferrato la corda, ci ho legato il cestino e ci ho poggiato dentro la bottiglia.

"Te la calo," ho detto. "Prendila.

Con la coperta addosso, a tentoni, ha cercato la bottiglia nel cestino, l'ha stappata e l'ha versata nel pentolino senza farne cadere neanche un po', poi l'ha rimessa nel paniere e ha dato uno strattone alla corda.

Come una cosa che faceva sempre, tutti i giorni. Siccome non me la ripren-devo ha dato un secondo strattone e ha grugnito qualcosa arrabbiato.

Appena l'ho tirata su, ha abbassato la testa e senza sollevare il pentolino ha cominciato a bere, a quattro zampe, come un cane. Quando ha finito si è ac-coccolato da una parte e non si è più mosso.

Era tardi.

Are sens