"La sai una cosa, tu sei cattivo, molto cattivo.
Sono salito sul letto e da lì sul davanzale.
"Che fai?
Ho guardato di sotto. "Vado da Filippo". Papà aveva parcheggiato il Lupetto sotto la nostra finestra, per fortuna.
"Chi è Filippo?
"E' un amico mio.
Era alto e il telone era marcio. Papà diceva sempre che ne doveva comprare uno nuovo. Se ci fossi caduto sopra di piedi si sarebbe strappato e mi sarei schiantato sul pianale del camion.
"Se lo fai lo dico a mamma.
L'ho guardata. "Stai tranquilla. C'è il camion.
Tu dormi. Se viene mamma... "Che doveva dirle?" Dille... Dille quello che ti pare.
"Ma si arrabbia.
"Non importa". Mi sono fatto il segno della croce, ho trattenuto il respiro, ho fatto un passo e mi sono lasciato cadere a braccia aperte.
Sono finito di schiena al centro del telone senza farmi neanche un graffio.
Reggeva.
Maria si è affacciata alla finestra. "Torna presto, ti prego.
"Torno subito. Non ti preoccupare". Sono salito sulla cabina di guida e da lì sono sceso a terra.
La strada era tetra, come quella notte senza stelle. Le case erano scure e silenziose. Le uniche finestre illuminate erano quelle di casa mia. Il lampione vicino alla fontana era circondato da una palla di moscerini.
Il cielo si era coperto di nuovo e Acqua Traverse era avvolta da una coltre nera e spessa di tenebre. Ci dovevo entrare dentro per arrivare alla fattoria di Melichetti.
Dovevo farmi coraggio.
Tiger Jack. Pensa a Tiger Jack.
L'indiano mi avrebbe aiutato. Prima di fare una mossa, dovevo pensare a cosa avrebbe fatto l'indiano al posto mio. Questo era il segreto.
Sono corso dietro casa a prendere la bicicletta.
Il cuore già mi martellava il petto.
Red Dragon era poggiata tutta spavalda e colorata sulla Scassona.
Stavo per prenderla, ma mi sono detto, che sono impazzito? Con questo trabiccolo cretino dove vado?
Volavo sulla vecchia Scassona.
Mi incitavo. "Vai, Tiger, vai.
Ero immerso nell'inchiostro. La strada la vedevo appena e quando non la vedevo, me la immaginavo. Ogni tanto il bagliore fiacco della luna riusciva a diffondersi nella trapunta di nuvole che copriva il cielo e allora scorgevo per qualche istante i campi e le sagome nere delle colline ai lati della carreggiata.
Stringevo i denti e contavo le pedalate.
Uno, due, tre, respiro...
Uno, due, tre, respiro...
Le gomme frusciavano sul pietrisco. Il vento mi si appiccicava in faccia co-me un panno caldo.
Il richiamo stridulo di una civetta, l'abbaio di un cane lontano. C'era silenzio. Ma sentivo lo stesso i loro bisbigli nelle tenebre.
Me li immaginavo ai bordi della strada, degli esseri piccoli, con le orecchie da volpe e gli occhi rossi, che mi osservavano e discutevano tra loro.
Guarda! Guarda, un ragazzino!
Che ci fa di notte da queste parti?
Pigliamolo!
Sì, sì, si, è buono... Pigliamolo!
E dietro c'erano i signori delle colline, i giganti di terra e spighe che mi seguivano, aspettando solo che finivo fuori strada per venirmi sopra e seppel-lirmi. Li sentivo respirare. Facevano lo stesso suono del vento nel grano.
Il segreto era rimanere al centro della strada, ma dovevo essere pronto a tutto.