Lazzaro non aveva paura di niente.
Lo vedrai, mi sono detto.
Nella notte Lazzaro era luminoso. Si accendeva e si spegneva come l'insegna del bar La Perla di Lucignano. E quando si accendeva si vedevano le formiche camminargli nelle vene. Non andava veloce, di questo ero sicuro, e se si fosse messo a correre sarebbe caduto a pezzi. L'importante era passargli a lato, senza fermarsi, senza rallentare.
"Filippo... sto arrivando... Filippo... arrivo... "mi ripetevo ansimando di fatica.
Mentre mi avvicinavo alla fattoria un terrore nuovo, ancora più soffocante, mi cresceva dentro.
Sulla nuca avevo i capelli dritti come aghi.
I maiali di Melichetti.
I signori delle colline e compagnia bella mi terrorizzavano, ma sapevo che non esistevano, che me li inventavo io, che non ne potevo parlare con nessuno perché mi avrebbero preso in giro, dei maiali invece ne potevo parlare benissimo perché esistevano veramente ed erano affamati.
Di carne viva.
«Il bassotto ha provato a scappare, ma i maiali non gli hanno dato scampo.
Massacrato in due secondi». Così aveva detto il Teschio.
Forse di notte Melichetti li lasciava liberi. Si aggiravano intorno alla fattoria, enormi, cattivi, con le zanne affilate e i nasi all'aria.
Più mi ci tenevo lontano da quelle bestiacce e meglio era.
In lontananza una luce fioca è apparsa nelle tenebre.
La fattoria.
Ero quasi arrivato.
Ho frenato. Il vento non c'era più. L'aria era ferma e calda. Dalla gravina poco distante arrivava il suono dei grilli. Sono sceso dalla bicicletta e l'ho buttata tra i rovi, accanto alla strada.
Non si vedeva niente.
Avanzavo veloce respirando appena, e continuavo a gettarmi occhiate alle spalle. Temevo che l'artiglio affilato di un mostro mi affondasse nel collo. Ora che ero a piedi c'erano un sacco di rumori, fruscii, tonfi, suoni strani. Intorno avevo una massa nera e compatta che premeva contro la strada.
Mi sono bagnato le labbra secche, avevo un sapore amaro in bocca. Il cuore mi martellava in gola.
Ho poggiato la suola del sandalo su una roba viscida, ho sobbalzato, ho lanciato un gridolino strozzato e sono finito a terra grattugiandomi un ginocchio.
"Chi è? Chi è?" ho balbettato e mi sono appallottolato, aspettandomi di essere avviluppato dai tentacoli gelatinosi e urticanti di una medusa.
Due tonfi sordi e un «Bua bua bua».
Un rospo! Avevo pestato un rospo del grano.
Quel cretino si era messo in mezzo alla strada.
Mi sono rialzato e zoppicando ho proseguito verso la lucina.
Non mi ero portato neanche una torcia. Avrei potuto prendere quella che stava nel camion di papà.
Quando sono arrivato ai bordi del cortile, mi sono nascosto dietro un albero.
La casa era a un centinaio di metri. Le finestre erano buie. Solo una lampadina pendeva di fianco alla porta e illuminava un pezzo di muro scrostato e il dondolo arrugginito.
Poco oltre, nell'oscurità, c'erano i recinti dei maiali. Già da lì sentivo l'odore ributtante dei loro escrementi.
Dove poteva stare Filippo?
Giù nella gravina, aveva detto Salvatore. Dentro quel lungo canalone c'ero andato un paio di volte d'inverno con papà, a cercare i funghi. Era tutto rocce, buchi e pareti di pietra.
Se passavo per i campi, arrivavo sul bordo della gravina e da lì potevo scendere sul fondo senza dovermi avvicinare troppo alla casa.
Era un buon piano.
Ho attraversato il campo di corsa. Avevano tagliato il grano. Di giorno, senza le spighe, mi avrebbero visto, ma ora, senza la luna, ero al sicuro.
Mi sono fermato sul pizzo del burrone. Sotto era così nero che non mi rendevo conto di quanto era scoscesa la roccia, se era liscia o se c'erano degli appigli.
Continuavo a maledirmi per non essermi portato la torcia. Non potevo scendere di lì. Rischiavo di farmi male.
L'unica era avvicinarsi alla casa, in quel punto la gravina era più bassa, e c'era una stradina che andava giù tra le rocce. Ma lì c'erano anche i maiali.
Ero coperto di sudore.
«I maiali hanno il migliore odorato del mondo, altro che i segugi», diceva il padre del Teschio, che era cacciatore.