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Tutto intorno e dentro il padiglione pullulava di zecche. Faceva venire il vol-tastomaco. Con quelle loro testine affondate nella pelle, con le loro zampette nere e il ventre marrone scuro, gonfio e tondo come un ovetto di cioccolata.

"Hai visto? Gli succhiano il sangue.

Ho storto il naso. "E con il fango se ne vanno?

"Alla televisione Tarzan ha detto che gli elefanti si fanno il bagno nel fango per levarsi gli animaletti di dosso.

"Ma Togo non è un elefante.

"Che c'entra? E' sempre un animale.

"Secondo me bisogna tirargliele via," ho detto. "Con il fango non se ne vanno.

"E come?

"Con le mani.

"E chi lo fa? A me fa senso.

"Ci provo io". Con due dita ne ho presa una bella gonfia, ho chiuso gli occhi e ho tirato forte.

Togo ha mugolato, ma il mostro è venuto via. L'ho messo su un sasso e l'abbiamo osservato. Agitava le zampette ma non riusciva a muoversi per quanto era gonfio di sangue.

"Muori, vampiro! Muori!" Barbara l'ha schiacciato con una pietra trasfor-mandolo in un impiastro rosso.

Gliene ho staccate come minimo una ventina.

Barbara mi teneva il cane fermo. Dopo un po' mi sono stufato. Anche Togo non ce la faceva più.

Guaiva appena lo sfioravo. "Le altre gliele leviamo un altro giorno. Va bene?

"Va bene". Barbara si è guardata in giro. "Io me ne vado. Tu che fai?

"Resto un altro po' qui". Appena si allontanava, prendevo la Scassona e andavo da Filippo.

Ha rimesso lo spago intorno al collo di Togo.

"Allora ci vediamo dopo?" ha detto mentre si avviava.

"Sì.

Si è fermata. "C'è uno a casa tua. Con quella macchina grigia. E' un tuo parente?

"No.

"Oggi è venuto pure a casa mia.

"Che voleva?

"Non lo so. Parlava con papà. Poi sono partiti. Mi sa che c'era pure tuo padre. Sulla macchinona.

E certo. Andavano a tagliare le orecchie a Filippo.

Ha fatto una smorfia e mi ha domandato: "A te quello là piace?

"No.

"A me nemmeno.

E' rimasta in silenzio. Sembrava che non se ne volesse più andare. Si è girata e ha sussurrato un grazie.

"Per cosa?

"Per l'altro giorno... Quando hai fatto la penitenza al posto mio.

Ho alzato le spalle. "Niente.

"Senti... "E' diventata tutta rossa. Mi ha guardato per un secondo e ha detto: "Ti vorresti fidanzare con me?

La faccia mi è diventata bollente. "Come?

Si è piegata a carezzare Togo. "Fidanzarci.

"Io e te?

"Si.

Ho abbassato la testa e mi sono guardato la punta dei piedi. "Ecco... Non tanto.

Ha lasciato andare un sospiro trattenuto. "Non fa niente. Non abbiamo neanche gli stessi anni".

Si è passata la mano tra i capelli. "Ciao, allora.

"Ciao.

Se n'è andata tirandosi dietro Togo.

Mi è venuta paura delle vipere, così, all'improvviso.

Fino a quel giorno, quando salivo sulla collina, non ci avevo pensato mai al-le vipere.

Continuava a balenarmi davanti l'immagine di quel bracco che ad aprile era stato morso sul naso da una vipera. La povera bestia era stesa in un angolo del capannone, ansimante, con l'occhio fisso, la schiuma bianca sulle gengive e la lingua di fuori.

"Oramai non c'è più niente da fare". Aveva detto il padre del Teschio. "Il veleno gli è entrato nel cuore.

Stavamo tutti in cerchio a guardarlo.

"Portiamolo a Lucignano. Dal dottore degli animali," avevo proposto.

Are sens