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Non sapevo che fare. "Io non sono cattivo. Io non c'entro niente. Non piangere, per favore.

Ha continuato a scalciare. "Vattene. Vattene via.

"Ascoltami...

"Vai via!

Sono scattato in piedi. "Io sono venuto fino a qua per te, ho fatto tutta la strada, due volte, e tu mi cacci via. Va bene, io me ne vado, ma se me ne vado non torno più. Mai più. Rimarrai qui, da solo, per sempre e ti taglieran-no tutte e due le orecchie".

Ho afferrato la corda e ho cominciato a risalire. Lo sentivo piangere. Sembrava che stesse soffocando.

Sono uscito dal buco e gli ho detto: "E non sono il tuo angelo custode!

"Aspetta...

"Che vuoi?

"Rimani...

"No. Hai detto che me ne devo andare e ora me ne vado.

"Ti prego. Rimani.

"No!

"Ti prego. Solo per cinque minuti.

"Va bene. Cinque minuti. Ma se fai il pazzo me ne vado.

"Non lo faccio.

Sono sceso giù. Mi ha toccato un piede.

"Perché non esci da quella coperta?" gli ho domandato e mi sono rannicchiato vicino a lui.

"Non posso, sono cieco...

"Come sei cieco?

"Gli occhi non si aprono. Voglio aprirli ma rimangono chiusi. Al buio ci vedo.

Al buio non sono cieco". Ha avuto un'esitazione. "Lo sai, me lo avevano detto che tornavi.

"Chi?

"Gli orsetti lavatori.

"Basta con questi orsetti lavatori! Papà mi ha detto che non esistono. Hai sete?

"Sì.

Ho aperto la cartella e ho tirato fuori la bottiglia. "Ecco.

"Vieni". Ha sollevato la coperta.

Ho fatto una smorfia. "Lì sotto?" Mi faceva un po' schifo. Ma così potevo vedere se aveva ancora le orecchie al loro posto.

Ha cominciato a toccarmi. "Quanti anni hai?

Mi passava le dita sul naso, sulla bocca, sugli occhi.

E'ro paralizzato. "Nove. E tu?

"Nove.

"Quando sei nato?

"Il dodici settembre. E tu?

"Il venti novembre.

"Come ti chiami?

"Michele. Michele Amitrano. Tu che classe fai?

"La quarta. E tu?

"La quarta.

"Uguale.

"Uguale.

"Ho sete.

Gli ho dato la bottiglia.

Ha bevuto. "Buona. Vuoi?

Ho bevuto pure io. "Posso alzare un po' la coperta?" Stavo crepando di caldo e di puzza.

"Poco.

L'ho tirata via quel tanto che bastava a prendere aria e a guardargli la faccia.

Era nera. Sudicia. I capelli biondi e sottili si erano impastati con la terra formando un groviglio duro e secco. Il sangue rappreso gli aveva sigillato le palpebre. Le labbra erano nere e spaccate. Le narici otturate dal moccio e dalle croste.

"Posso lavarti la faccia?" gli ho domandato.

Are sens