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Ha allungato il collo, ha sollevato la testa e un sorriso si è aperto sulle labbra martoriate. Gli erano diventati tutti i denti neri.

Mi sono tolto la maglietta e l'ho bagnata con l'acqua e ho cominciato a pu-lirgli sul viso.

Dove passavo rimaneva la pelle bianca, così bianca che sembrava trasparente, come la carne di un pesce bollito. Prima sulla fronte, poi sulle guance.

Quando gli ho bagnato gli occhi ha detto: "Piano, fa male.

"Faccio piano.

Non riuscivo a sciogliere le croste. Erano dure e spesse. Ma sapevo che erano come le croste dei cani. Quando gliele stacchi i cani riprendono a vedere. Ho continuato a bagnargliele, ad ammorbidirle fino a quando una palpe-bra si è sollevata e subito si è richiusa. Un istante solo, sufficiente perché un raggio di luce gli ferisse l'occhio.

"Aaahhhaa!" ha urlato e ha infilato la testa nella coperta come uno struzzo.

L'ho sbatacchiato. "Lo vedi? Lo vedi? Non sei cieco! Non sei cieco per niente!

"Non posso tenerli aperti.

"E' perché stai sempre al buio. Però ci vedi, vero?

"Si! Sei piccolo.

"Non sono piccolo. Ho nove anni.

"Hai i capelli neri.

"Sì.

Era molto tardi. Dovevo tornare a casa. "Ora però devo andare. Domani torno.

Con la testa sotto la coperta ha detto: "Promesso?

"Promesso.

Quando il vecchio è entrato nella mia camera mi stavo organizzando per fregare i mostri.

Da piccolo sognavo sempre i mostri E anche ora, da adulto, ogni tanto, mi capita, ma non riesco più a fregarli.

Aspettavano solo che mi addormentassi per impaurirmi.

Fino a quando, una notte, ho inventato un sistema per non fare brutti sogni.

Ho trovato un posto dove rinchiudere quegli esseri deformi e spaventosi e dormire sereno.

Mi rilassavo e aspettavo che le palpebre diventassero pesanti e quando stavo per cadere addormentato, proprio in quel momento esatto, mi immaginavo di vederli camminare, tutti insieme, su per una salita. Come nella proces-sione della Madonna di Lucignano.

La strega Bistrega gobba e rugosa. Il lupo mannaro a quattro zampe, con i vestiti strappati e le zanne bianche. L'uomo nero, un'ombra che scivolava

come una serpe tra le pietre. Lazzaro, un mangiacadaveri divorato dagli insetti e avvolto da una nube di mosche. L'orco, un gigante con gli occhi piccoli e il gozzo, le scarpe enormi e un sacco sulle spalle pieno di bambini. Gli zingari, delle specie di volpi che camminavano su zampe di gallina. L'uomo con il cerchio, un tipo con una tuta blu elettrico e un cerchio di luce che poteva lan-ciare lontanissimo. L'uomo pesce che viveva nelle profondità del mare e reggeva la madre sulle spalle. Il bambino polpo, nato con i tentacoli al posto delle gambe e delle braccia.

Avanzavano tutti insieme. Verso un posto imprecisato. Erano terrificanti. E

infatti nessuno si fermava a guardarli.

A un tratto appariva un pullman, tutto dorato, con i campanelli e le lucette colorate. Sul tetto c'era un megafono che strillava. «Signore e signori, salite sul pullman dei desideri! Salite su questo pullman magnifico che vi porterà tutti al circo senza tirare fuori una lira! Oggi gratis al circo! Salite! Salite!»

I mostri, felici di quella insperata occasione, salivano sul pullman. A quel punto m'immaginavo che la mia pancia si apriva, un lungo taglio si spalancava e loro ci entravano dentro tutti tranquilli.

Quegli scemi credevano che era il circo. Io richiudevo la ferita e loro rimanevano fregati. Ora bastava addormentarsi con le mani sulla pancia per non fare brutti sogni.

Li avevo appena intrappolati, quando il vecchio è entrato, mi sono distratto, ho tolto le mani e loro sono fuggiti. Ho chiuso gli occhi e ho fatto finta di dormire.

Il vecchio faceva un sacco di rumori. Trafficava nella valigia. Tossiva. Soffiava.

Mi sono coperto la testa con un braccio e ho guardato che combinava.

Un raggio di luce rischiarava uno spicchio di stanza. Il vecchio stava seduto sul letto di Maria.

Secco, gobbo e scuro. Fumava. E quando aspirava vedevo quel naso a becco e gli occhi incavati tingersi di rosso. Sentivo l'odore del fumo e l'odore della colonia. Ogni tanto faceva no con la testa. Poi sbuffava come se stesse litigando con qualcuno.

Ha incominciato a spogliarsi. Si è tolto gli stivaletti, le calze, i pantaloni, la camicia. E' rimasto in mutande. Aveva la pelle flaccida, appesa a quelle ossa lunghe come se l'avessero cucita sopra. Ha buttato la sigaretta dalla finestra.

La cicca è scomparsa nella notte, come un lapillo infuocato. Si è sciolto i capelli e sembrava un vecchio Tarzan malato. Si è sdraiato sul letto.

Ora non lo vedevo più, ma era vicino. A meno di mezzo metro dai miei piedi. Se allungava un braccio mi acchiappava una caviglia. Mi sono chiuso come un riccio.

Non dovevo dormire. Se mi addormentavo mi poteva prendere. Dovevo in-ventarmi qualcosa.

Mettermi i chiodi nel letto. Così non avrei dormito.

Si è raschiato la gola. "Si schiatta di caldo qua dentro. Come fai a starci?

Ho smesso di respirare.

"Lo so che non stai dormendo.

Mi voleva fregare.

"Sei un furbetto tu... Non ti piaccio, eh?

No, non mi piaci! Avrei voluto rispondere. Ma non potevo. Stavo dormendo.

E anche da sveglio non avrei mai avuto il coraggio di dirglielo.

"Pure ai miei figli non piacevo". Ha raccolto da terra una bottiglia che mamma aveva messo apposta per lui e ha preso un paio di sorsi. "E' calda come piscio," si è lamentato. "Due ne avevo. Uno è vivo, ma è come se fosse morto. L'altro è morto, ma è come se fosse vivo. Quello vivo si chiama Giulia-no. E' più grande di te. Non vive più in Italia. Se n'è andato. In India... Cinque anni fa. Sta in una comunità. Gli hanno riempito il cervello di stronzate.

Si è rapato. Si veste tutto di arancione e si crede indiano pure lui. E crede che si vive un sacco di volte. Si droga come un cane e ci morirà come un cane, là.

Certo io non vado laggiù a riprenderlo...

Are sens