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"Se mi dice un'altra volta che sono un idiota gli dò un pugno che te lo attacco al muro. E ora come cazzo ci vado su... "Si è bloccato e si è ricordato che c'ero pure io. Mi ha afferrato per la maglietta e mi ha sollevato e mi ha appiccicato il naso in faccia. "Non raccontare a nessuno quello che ti ho detto, capito? Se scopro che hai spifferato una parola sola ti taglio il pesce e me lo mangio con i broccoli... "Ha preso dalla tasca un coltello. La lama è schizzata fuori a due centimetri dalla punta del mio naso. "Capito?

Ho balbettato. "Capito.

Mi ha gettato a terra. "A nessuno! Ora sparisci". E si è messo a girare per il capannone.

Ho preso la torta e sono filato via.

La famiglia Scardaccione era la più ricca di Acqua Traverse.

Il padre di Salvatore, l'avvocato Emilio Scardaccione, aveva molti terreni.

Tanta gente, soprattutto quando era periodo di mietitura, faticava per lui. Arrivavano da fuori. Da lontano. Sopra i camion. A piedi.

Anche papà, per molti anni, prima di diventare camionista, era andato a lavorare a stagione per l'avvocato Scardaccione.

Per entrare in casa di Salvatore si passava per un cancello di ferro battuto, poi attraversavi un cortile con i cespugli quadrati, la palma lunga lunga e una fontana di pietra con i pesci rossi, salivi una scala di marmo con i gradini alti ed eri arrivato.

Appena entravi ti trovavi in un corridoio scuro, senza finestre, così lungo che ci potevi andare in bicicletta. Da un lato c'era una fila di stanze da letto sempre chiuse, dall'altro il salone. Era uno stanzone con gli angeli dipinti sul soffitto e un tavolo grande e lucido con le sedie intorno. Tra due quadri con le cornici d'oro c'era una vetrina con dentro delle tazze e dei bicchieri preziosi e delle fotografie di uomini in divisa. Vicino alla porta d'ingresso c'era l'armatura medievale con in mano una mazza con una palla piena di chiodi. L'aveva comprata l'avvocato nella città di Gubbio. Non si poteva toccare perché cadeva.

Durante il giorno le persiane non si aprivano mai. Neanche d'inverno. Odorava di chiuso, di legno antico. Sembrava di stare in chiesa.

La signora Scardaccione, la madre di Salvatore, era una grassona alta un metro e mezzo e portava la rete sui capelli. Aveva le gambe gonfie come salsicce che le facevano sempre male e usciva solo a Natale e a Pasqua per andare dal parrucchiere a Lucignano. Passava la vita in cucina, l'unica stanza luminosa della casa, insieme alla sorella, zia Lucilia, tra vapori e odori di ragù.

Sembravano due foche. Piegavano la testa insieme, ridevano insieme, battevano le mani insieme.

Due grosse foche ammaestrate con la permanente.

Se ne stavano tutto il giorno su due poltrone consumate a controllare che Antonia, la cameriera, non sbagliava qualcosa, non si riposava troppo.

Tutto doveva essere in ordine per quando rientrava l'avvocato Scardaccione dalla città. Ma l'avvocato non rientrava mai. E quando rientrava se ne voleva andare.

"Lucilia! Lucilia, guarda chi c'è!" ha detto Letizia Scardaccione quando mi ha visto entrare in cucina.

Zia Lucilia ha sollevato la testa dalla macchina da cucire e ha sorriso. Sul naso aveva dei fondi di bottiglia che le facevano gli occhi piccoli come piom-bini. "Michele! Michele bello! Che hai portato, la torta?

"Si, signora. Eccola". Gliel'ho consegnata.

"Dalla ad Antonia.

Antonia stava imbottendo i peperoni seduta al tavolo.

Antonia Ammirati aveva diciotto anni, era magra ma non tanto. Aveva i capelli rossi e gli occhi blu e quando era piccola le erano morti i genitori in un incidente stradale.

Sono andato da Antonia e le ho dato la torta. Lei mi ha carezzato la testa con il dorso della mano.

Antonia mi piaceva molto, era bella e mi sarebbe piaciuto fidanzarmi con lei, ma era troppo grande e aveva il ragazzo a Lucignano che montava le an-tenne della televisione.

"Quant'è brava la tua mamma, eh?" ha detto Letìzia Scardaccione.

"E quant'è bella?" ha aggiunto zia Lucilia.

"E anche tu sei proprio un bel bambino. E vero, Lucilia?

"E' proprio bello.

"Antonia, non è bello Michele? Se fosse grande non te lo sposeresti?

Antonia ha riso. "Subito me lo sposerei.

Zia Lucilia mi ha acchiappato una guancia e me l'ha quasi staccata. "E tu te la piglieresti Antonia?

Sono diventato tutto rosso e ho fatto no con la testa.

E le due sorelle si sono messe a ridere tutte contente e non la finivano più.

Poi Letìzia Scardaccione ha preso un sacchetto. "Qua ci sono dei vestiti che a Salvatore vanno piccoli. Prenditeli. Se i pantaloni sono troppo lunghi te li accorcio. Prenditeli, fammi questo favore. Guarda come vai combinato.

Mi sarebbe piaciuto. Erano come nuovi. Ma mamma diceva che noi non ac-cettavamo l'elemosina da nessuno. Soprattutto da quelle due. Diceva che i miei vestiti andavano benissimo. E che quando era ora di cambiarli, lo deci-deva lei. "Grazie, signora. Ma non posso.

Zia Lucilia ha aperto una scatola di latta e ha battuto le mani. "Guarda che tengo qui. Le caramelle al miele! Ti piacciono le caramelle al miele?

"Molto, signora.

"Accomodati pure.

Queste le potevo prendere. Mamma non poteva scoprirlo perché me le mangiavo tutte. Ne ho fatto una bella scorta. Mi sono riempito le tasche.

E Letizia Scardaccione ha aggiunto: "E dàlle anche a tua sorella. La prossima volta che vieni porta pure lei.

Ho ripetuto come un pappagallo. "Grazie, grazie, grazie...

"Prima di andartene vai a salutare Salvatore.

Sta in camera sua. Mi raccomando però, non rimanere assai che deve suonare. Oggi ha la lezione.

Sono uscito dalla cucina e ho attraversato quel corridoio tetro, con quei mobili neri e tristi. Sono passato davanti alla camera di Nunzio. La porta era chiusa a chiave.

Una volta l'avevo trovata aperta ed ero entrato.

Non c'era niente, tranne un letto alto con le ringhiere di ferro e delle cin-ghie di cuoio. Al centro, le mattonelle del pavimento erano tutte rigate e rovi-nate. Quando passavi sotto il palazzo vedevi Nunzio che camminava avanti e indietro, dalla porta alla finestra.

L'avvocato aveva provato ogni cosa per farlo guarire, una volta lo aveva pure portato da padre Pio, ma Nunzio si era attaccato a una Madonna e l'aveva fatta cadere e i frati lo avevano cacciato dalla chiesa. Da quando stava in manicomio non era più tornato ad Acqua Traverse.

Dovevo andare da Filippo, glielo avevo promesso. Gli dovevo portare la torta e le caramelle.

Ma faceva caldo. Poteva aspettare. Tanto non gli cambiava niente. E poi avevo voglia di stare un po' con Salvatore.

Ho sentito il pianoforte attraverso la porta della sua stanza. Ho bussato.

Are sens