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"Chi è?

"Michele.

"Michele?" Mi ha aperto, si è guardato intorno come un ricercato, mi ha spinto dentro e ha chiuso a chiave.

La camera di Salvatore era grande, spoglia e con i soffitti alti. Contro una parete c'era un pianoforte verticale. Su un'altra un letto così alto che dovevi prendere uno scaletto per salirci. E una lunga libreria con dentro tanti libri disposti secondo i colori delle copertine. I giochi erano conservati in un casset-tone. Una tenda bianca e pesante lasciava filtrare un raggio di luce in cui danzava la polvere.

In mezzo alla stanza, sul pavimento, c'era il panno verde del Subbuteo.

Schierate sopra, la Juventus e il Torino.

Mi ha chiesto: "Che ci fai qua?

"Niente. Ho portato una torta. Posso rimanere? Tua madre ha detto che hai la lezione...

"Sì, rimani," ha abbassato il tono della voce, "ma se si accorgono che non suono non mi lasciano più in pace". Ha preso un disco e lo ha messo sul gira-dischi. "Così credono che suono". E ha aggiunto tutto serio. "E' Chopin.

"Chi è Chopin?

"E' uno bravo.

Io e Salvatore avevamo la stessa età, però mi sembrava più grande. Un po'

perché era più alto di me, un po' perché aveva le camicie bianche sempre pulite e i pantaloni lunghi e con la piega. Un po' per il tono pacato che usava.

Lo obbligavano a suonare, un insegnante veniva una volta alla settimana da Lucignano a fargli lezione, e lui, anche se odiava la musica, non si lamentava e aggiungeva sempre: "Ma quando sono grande smetto.

"Ti va di fare una partita?" gli ho chiesto.

Il Subbuteo era il mio gioco preferito. Non ero molto bravo, ma mi piaceva da morire. D'inverno con Salvatore facevamo tornei infiniti, passavamo pome-

riggi interi a dare schicchere a quei piccoli calciatori di plastica. Salvatore giocava anche da solo. Si spostava da una parte all'altra. Se non giocava con il Subbuteo allora incolonnava migliaia di soldatini per la stanza e copriva tutto il pavimento fino a che non c'era più posto nemmeno per mettere i piedi. E

quando finalmente erano ordinati in schiere geometriche cominciava a spo-starli uno per uno. Passava ore in silenzio a disporre eserciti per poi, quando arrivava Antonia a dire che la cena era servita, rimetterli tutti nelle scatole da scarpe.

"Guarda," mi ha detto, e ha tirato fuori da un cassetto otto scatolette di cartone verde. Ognuna conteneva una squadra di calcio. "Guarda che mi ha regalato papà. Me le ha portate da Roma.

"Tutte queste?" Le ho prese in mano. Doveva essere veramente ricco l'avvocato per spendere tutti quei soldi.

Ogni anno che Dio mandava, alla mia festa e a Natale, chiedevo a papà e a Gesù Bambino di regalarmi il Subbuteo, ma non c'era verso, nessuno dei due ci sentiva. Mi bastava una squadra. Senza il campo e le porte. Pure di serie B.

Mi sarebbe piaciuto andare da Salvatore con la mia squadra perché, ne ero sicuro, se era mia avrei giocato meglio, non avrei perso così tanto. Avrei voluto bene a quei giocatori, ne avrei avuto cura e avrei battuto Salvatore.

Lui ne aveva già quattro. E ora il padre gliene aveva comprate altre otto.

Perché a me niente?

Perché a mio papà non gli fregava niente di me, diceva che mi voleva bene ma non era vero. Mi aveva regalato una stupida barca di Venezia da mettere sopra il televisore. E non potevo neanche toccarla.

Ne volevo una. Se suo padre gliene avesse regalate quattro non dicevo niente, ma erano otto.

In tutto ora ne aveva dodici.

Con una in meno che gli cambiava?

Mi sono schiarito la voce e ho sussurrato. "Me ne regali una?

Salvatore ha aggrottato le sopracciglia e ha cominciato a girare per la stanza. Poi ha detto: "Mi dispiace, io te la darei pure, ma non posso. Se papà sa che te l'ho data si arrabbia.

Non era vero. Quando mai suo padre controllava le squadre. Salvatore era tirchio.

"Ho capito.

"Tanto che ti cambia? Ci puoi venire a giocare quando vuoi.

Se avessi avuto qualcosa da scambiare forse una me la dava. Ma io non avevo niente.

No, una cosa da scambiare ce l'avevo.

"Se ti dico un segreto, me ne dai una?

Salvatore mi ha guardato di sbieco. "Che segreto?

"Un segreto incredibile.

"Non c'è segreto che vale una squadra.

"Il mio sì". Mi sono baciato gli indici. "Te lo giuro.

"E se poi è una fregatura?

"Non lo è. Ma se dici che è una fregatura ti ridò la squadra.

"Non mi interessano i segreti.

"Lo so. Ma questo è bello. Non l'ho detto a nessuno. Se il Teschio lo viene a sapere, fa i salti di gioia...

"Dillo al Teschio allora.

Ma ormai ero disposto a tutto. "Mi prendo anche il Lanerossi Vicenza.

Salvatore ha sgranato gli occhi. "Anche il Lanerossi Vicenza?

"Sì.

Il Lanerossi Vicenza lo odiavamo. Era iellato.

Se ci giocavi perdevi sempre. Nessuno dei due aveva mai vinto con quella squadra. E aveva un giocatore decapitato, un altro attaccato con la colla e il portiere tutto piegato.

Are sens