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Stava arrivando il temporale.

E se Filippo era morto?

Un cadavere bianco accucciato in fondo a un buco. Coperto di mosche e gonfio di larve e vermi, le mani rinsecchite e le labbra dure e grigie.

No, non era morto.

E se non mi riconosceva? Se non mi voleva più parlare?

«Filippo, sono Michele. Sono tornato. Te lo avevo giurato, sono tornato».

«Tu non sei Michele. Michele è morto. E sta in un buco come me. Vattene».

Davanti a noi si è schiusa la valletta. Era cupa e silenziosa. Gli uccelli e i grilli tacevano.

Quando siamo passati tra le querce una goccia grossa e pesante mi ha colpito la fronte, un'altra il braccio e un'altra la spalla e il temporale ci si è rove-sciato addosso. Ha cominciato a piovere fitto e teso. L'acquazzone sferzava le cime degli alberi e il vento soffiava tra i rami, fischiava tra le foglie e la terra si succhiava l'acqua come una spugna secca e le gocce rimbalzavano contro la terra asciutta e sparivano e i fulmini cadevano sui campi.

"Ripariamoci!" ha urlato il Teschio. "Corriamo.

Correvamo, ma tanto eravamo già zuppi. Ho ral entato, se vedevo la 127 o qualcosa di strano, me la davo a gambe.

Macchine non ce n'erano e non ho notato niente di strano.

Si sono infilati dentro la stalla. Il buco era là, dietro i rovi, volevo correre e scoperchiarlo e vedere Filippo, ma mi sono costretto a seguirli.

Gli altri erano in piedi e saltavano, eccitati dal temporale. Ci siamo tolti le magliette e le abbiamo strizzate. Barbara era obbligata a tirarsi in avanti la camicia, sennò le si vedevano le tette.

Tutti ridevano nervosi e si massaggiavano le braccia infreddolite, e guardavano fuori. Sembrava che il cielo si fosse bucato. Nel fragore dei tuoni, i lampi univano le nuvole con la terra. Il piazzale, in pochi minuti, si è riempito di pozzanghere e dai fianchi della valle colavano rigagnoli sporchi di terra rossa.

Filippo doveva morirsi di paura. Tutta quell'acqua si infilava dentro il buco e se non smetteva presto poteva annegarlo. Il rumore della pioggia sulla lastra lo stava assordando.

Dovevo andare da lui.

"Sopra c'è una moto," ho sentito che diceva la mia voce.

Si sono girati tutti a guardarmi.

"Sì, c'è una moto...

Il Teschio è saltato in piedi come se si fosse seduto su un formicaio. "Una motocicletta?

"Sì.

"Dove sta?

"Al piano di sopra. Nell'ultima stanza.

"E che ci fa?

Ho sollevato le spalle. "Non lo so.

"Secondo te va ancora?

"Potrebbe.

Salvatore mi ha guardato, aveva un sorriso beffardo sulle labbra. "E perché non ce lo hai detto mai?

Il Teschio ha storto la testa. "Giusto! Perché non ce lo hai detto, eh?

Ho inghiottito. "Perché non mi andava. Avevo fatto la penitenza.

Un lampo di comprensione gli ha attraversato gli occhi. "Andiamola a vedere. Pensa se funziona...

Il Teschio, Salvatore e Remo si sono gettati fuori dalla stalla, di corsa, ripa-randosi la testa con le mani e spintonandosi dentro le pozzanghere.

Barbara si è avviata, ma si è fermata sotto la pioggia. "Tu non vieni?

"Arrivo. Tu vai.

L'acqua le aveva lisciato i capelli che le cadevano giù come spaghetti sporchi. "Non vuoi che ti aspetto?

"No, vai. Arrivo subito.

"Va bene". Si è messa a correre.

Ho fatto il giro della casa e sono passato tra i rovi. Il cuore mi batteva nei timpani e le gambe mi si piegavano. Sono entrato nel piazzale. Si era tra-sformato in un pantano frustato dalla pioggia.

Il buco era aperto.

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