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Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

Quali fioretti dal notturno gelo

chinati e chiusi, poi che 'l sol li 'mbianca, si drizzan tutti aperti in loro stelo, tal mi fec' io di mia virtude stanca, e tanto buono ardire al cor mi corse, ch'i' cominciai come persona franca:

«Oh pietosa colei che mi soccorse!

e te cortese ch'ubidisti tosto

a le vere parole che ti porse!

Tu m'hai con disiderio il cor disposto sì al venir con le parole tue,

ch'i' son tornato nel primo proposto.

Or va, ch'un sol volere è d'ambedue: tu duca, tu segnore e tu maestro».

Così li dissi; e poi che mosso fue, intrai per lo cammino alto e silvestro.

CANTO III

[Canto terzo, nel quale tratta de la porta e de l'entrata de l'inferno e del fiume d'Acheronte, de la pena di coloro che vissero sanza opere di fama degne, e come il demonio Caron li trae in sua nave e come elli parlò a l'auttore; e tocca qui questo vizio ne la persona di papa Cilestino.]

'Per me si va ne la città dolente, per me si va ne l'etterno dolore, per me si va tra la perduta gente.

Giustizia mosse il mio alto fattore; fecemi la divina podestate,

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Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

la somma sapïenza e 'l primo amore.

Dinanzi a me non fuor cose create se non etterne, e io etterno duro.

Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate'.

Queste parole di colore oscuro

vid' ïo scritte al sommo d'una porta; per ch'io: «Maestro, il senso lor m'è duro».

Ed elli a me, come persona accorta:

«Qui si convien lasciare ogne sospetto; ogne viltà convien che qui sia morta.

Noi siam venuti al loco ov' i' t'ho detto che tu vedrai le genti dolorose

c'hanno perduto il ben de l'intelletto».

E poi che la sua mano a la mia puose con lieto volto, ond' io mi confortai, mi mise dentro a le segrete cose.

Quivi sospiri, pianti e alti guai risonavan per l'aere sanza stelle, per ch'io al cominciar ne lagrimai.

Diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d'ira,

voci alte e fioche, e suon di man con elle facevano un tumulto, il qual s'aggira sempre in quell' aura sanza tempo tinta, come la rena quando turbo spira.

E io ch'avea d'error la testa cinta, dissi: «Maestro, che è quel ch'i' odo?

e che gent' è che par nel duol sì vinta?».

Ed elli a me: «Questo misero modo tegnon l'anime triste di coloro

che visser sanza 'nfamia e sanza lodo.

Mischiate sono a quel cattivo coro 11

Dante Alighieri - La Divina Commedia ____________________________________________________

de li angeli che non furon ribelli né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro.

Caccianli i ciel per non esser men belli, né lo profondo inferno li riceve, ch'alcuna gloria i rei avrebber d'elli».

E io: «Maestro, che è tanto greve a lor che lamentar li fa sì forte?».

Rispuose: «Dicerolti molto breve.

Are sens

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