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Add to favorite 🔥 🔥 "Il barone rampante" di Italo Calvino

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Comincia a gravitare attorno alla casa editrice Einaudi, vendendo libri a rate [Accr 60]. Pubblica su periodici («L’Unità», «Il Politecnico») numerosi racconti che poi confluiranno in Ultimo viene il corvo. In maggio comincia a tenere sull’«Unità» di Torino la rubrica

«Gente nel Tempo». Alla fine di dicembre vince (ex aequo con Marcello Venturi) il premio indetto dall’«Unità» di Genova, con il 6

racconto Campo di mine. Su esortazione di Pavese e di Giansiro Ferrata si dedica alla stesura di un romanzo, che conclude negli ultimi giorni di dicembre. Sarà il suo primo libro, Il sentiero dei nidi di ragno.

«Lo scrivere è però oggi il più squallido e ascetico dei mestieri: vivo in una gelida soffitta torinese, tirando cinghia e attendendo i vaglia paterni che non posso che integrare con quel migliaio di lire settimanali che mi guadagno a suon di collaborazioni» [Scalf 89].

1947

«Una dolce e imbarazzante bigamia» è l’unico lusso che si conceda

«in una vita veramente tutta di lavoro e tutta tesa ai miei obiettivi»

[Scalf 89]. Fra questi c’è anche la laurea, che consegue con una tesi su Joseph Conrad.

Nel frattempo Pavese aveva presentato a Einaudi il Sentiero, che, pubblicato nella collana «I coralli», riscuote un discreto successo di vendite e vince il Premio Riccione.

Presso Einaudi Calvino si occupa ora dell’ufficio stampa e di 7

pubblicità. Nell’ambiente della casa editrice torinese, animato dalla continua discussione tra sostenitori di diverse tendenze politiche e ideologiche, stringe legami di amicizia e di fervido confronto intellettuale non solo con letterati (i già citati Pavese e Vittorini, Natalia Ginzburg), ma anche con storici (Delio Cantimori, Franco Venturi) e filosofi, tra i quali Norberto Bobbio e Felice Balbo.

Durante l’estate partecipa come delegato al Festival mondiale della gioventù che si svolge a Praga.

1948

Lascia l’Einaudi per lavorare all’edizione torinese dell’«Unità», dove si occupa, per circa un anno, della redazione della terza pagina.

Comincia a collaborare al settimanale comunista «Rinascita» con racconti e note di letteratura.

1949

In agosto partecipa al Festival della gioventù di Budapest; scrive una serie di articoli per «L’Unità». Per diversi mesi cura anche la rubrica delle cronache teatrali ( Prime al Carignano). Dopo l’estate 8

torna all’Einaudi.

Esce la raccolta di racconti Ultimo viene il corvo. Rimane invece inedito il romanzo Il Bianco Veliero, sul quale Vittorini aveva espresso un giudizio negativo.

1950

Primo gennaio: assunto da Einaudi come redattore stabile, si occupa dell’ufficio stampa e dirige la parte letteraria della nuova collana

«Piccola Biblioteca Scientifico-Letteraria». Come ricorderà Giulio Einaudi, «furono suoi, e di Vittorini, e anche di Pavese, quei risvolti di copertina e quelle schede che crearono [...] uno stile nell’editoria italiana».

Il 27 agosto Pavese si toglie la vita. Calvino è colto di sorpresa:

«Negli anni in cui l’ho conosciuto, non aveva avuto crisi suicide, mentre gli amici più vecchi sapevano. Quindi avevo di lui un’immagine completamente diversa. Lo credevo un duro, un forte, un divoratore di lavoro, con una grande solidità. Per cui l’immagine del Pavese visto attraverso i suicidi, le grida amorose e di disperazione del diario, l’ho scoperta dopo la morte» [D’Er 79]. Dieci anni dopo, con la commemorazione Pavese: essere e fare traccerà un bilancio della sua 9

eredità morale e letteraria. Rimarrà invece allo stato di progetto (documentato fra le carte di Calvino) una raccolta di scritti e interventi su Pavese e la sua opera.

Per la casa editrice è un momento di svolta: dopo le dimissioni di Balbo, il gruppo einaudiano si rinnova con l’ingresso, nei primi anni

‘50, di Giulio Bollati, Paolo Boringhieri, Daniele Ponchiroli, Renato Solmi, Luciano Foà e Cesare Cases. «Il massimo della mia vita l’ho dedicato ai libri degli altri, non ai miei. E ne sono contento, perché l’editoria è una cosa importante nell’Italia in cui viviamo e l’aver lavorato in un ambiente editoriale che è stato di modello per il resto dell’editoria italiana, non è cosa da poco» [D’Er 79].

Collabora con «Cultura e realtà», rivista fondata da Felice Balbo con altri esponenti della sinistra cristiana (Fedele D’Amico, Augusto Del Noce, Mario Motta).

1951

Conclude la travagliata elaborazione di un romanzo d’impianto realistico-sociale, I giovani del Po, che apparirà solo più tardi in rivista (su «Officina», tra il gennaio ‘57 e l’aprile ‘58), come documentazione di una linea di ricerca interrotta. In estate, pressoché 0

di getto, scrive Il visconte dimezzato.

Fra ottobre e novembre compie un viaggio in Unione Sovietica («dal Caucaso a Leningrado»), che dura una cinquantina di giorni. La corrispondenza («Taccuino di viaggio in URSS di Italo Calvino»), pubblicata sull’«Unità» nel febbraio-marzo dell’anno successivo, gli varrà il Premio Saint-Vincent. Rifuggendo da valutazioni ideologiche generali, coglie della realtà sovietica soprattutto dettagli di vita quotidiana, da cui emerge un’immagine positiva e ottimistica («Qui la società pare una gran pompa aspirante di vocazioni: quel che ognuno ha di meglio, poco o tanto, se c’è deve saltar fuori in qualche modo»), anche se per vari aspetti reticente.

Durante la sua assenza (il 25 ottobre) muore il padre. Qualche anno dopo ne ricorderà la figura nel racconto autobiografico La strada di San Giovanni.

1952

Il visconte dimezzato, pubblicato nella collana «I gettoni» di Vittorini, ottiene un notevole successo e genera reazioni contrastanti nella critica di sinistra.

In maggio esce il primo numero del «Notiziario Einaudi», da lui 1

redatto, e di cui diviene direttore responsabile a partire dal numero 7

di questo stesso anno.

Estate: insieme a Paolo Monelli, inviato della «Stampa», segue le Olimpiadi di Helsinki scrivendo articoli di colore per l’«Unità».

«Monelli era molto miope, ed ero io che gli dicevo: guarda qua, guarda là. Il giorno dopo aprivo “La Stampa” e vedevo che lui aveva scritto tutto quello che gli avevo indicato, mentre io non ero stato capace di farlo. Per questo ho rinunciato a diventare giornalista» [Nasc 84].

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