Tutto, per i contadini, ha un doppio senso. La donna-vacca, l’uomo-lupo, il Barone-leone, la capra-diavolo non sono che immagini particolarmente fissate e rilevan-ti: ma ogni persona, ogni albero, ogni animale, ogni oggetto, ogni parola partecipa di questa ambiguità. La ragione soltanto ha un senso univoco, e, come lei, la religione e la storia. Ma il senso dell’esistenza, come quello dell’arte e del linguaggio e dell’amore, è molteplice, all’infinito. Nel mondo dei contadini non c’è posto per la ragione, per la religione e per la storia. Non c’è posto per la religione, appunto perché tutto partecipa della divinità, perché tutto è, realmente e non simbolica-mente, divino, il cielo come gli animali, Cristo come la capra. Tutto è magía naturale. Anche le cerimonie della chiesa diventano dei riti pagani, celebratori della indiffe-renziata esistenza delle cose, degli infiniti terrestri dèi del villaggio.
Eravamo alla metà di settembre, la domenica della Madonna. Fin dal mattino le strade erano piene di contadini vestiti di nero, c’erano dei forestieri, i musicanti di Stigliano e gli artificieri di Sant’Arcangelo, venuti a disporre le bombe e i mortaretti. Il cielo era chiaro e leggero, e ogni tanto giungeva, per l’aria, con il suono funebre delle campane, lo sparo di qualche fucilata. I contadini, con i loro schioppi lucidi, inauguravano la festa. Il pomeriggio, dopo le ore del caldo, cominciò la processione. Uscí dalla chiesa, e percorse tutto il paese. Risalí dapprima fino al cimitero, poi ridiscese alla piazza, alla piazzetta, giú fino a Gagliano di Sotto e alla crollata Madonna degli Angeli, per tornare poi, per la stessa strada, al punto di partenza, e rientrare in chiesa. Davanti camminavano dei giovanotti con delle pertiche, su cui, a gui-sa di stendardi, erano attaccati dei panni, dei lenzuoli Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli bianchi, e li agitavano e sventolavano; e i suonatori della banda di Stigliano con le trombe lucenti e fragorose.
Poi, su un baldacchino retto da due lunghe stanghe, portato a turno da una dozzina di uomini, veniva la Madonna. Era una povera Madonna di cartapesta dipinta, una copia modesta della celebre e potentissima Madonna di Viggiano, e aveva, come quella, il viso nero: era tutta coperta di abiti di gala, di collane e di braccialetti.
Dietro la Madonna camminava don Trajella, con una stola bianca sulla vecchia sottana bisunta, e il suo solito aspetto stanco, smunto e annoiato; poi il podestà e il brigadiere, e poi i signori, e poi le donne, tutte insieme, con un grande ondeggiare di veli bianchi, i ragazzi e i contadini. Si era levato un gran vento fresco, che alzava nuvole di polvere, e faceva volare le sottane, i veli e le bandiere: forse sarebbe venuta la pioggia, in tanti mesi di arsura invano invocata e desiderata. Al passaggio della processione, scoppiava con fragore una doppia fila di mortaretti, disposti lungo tutta la strada. Le micce si ac-cendevano, le strisce di polvere prendevano fuoco, le bombe detonavano, i contadini si affacciavano sulle soglie con i fucili, e sparavano in aria. Il crepitio, il frastuono erano continui, interrotti soltanto dal rumore improvviso di qualche carica piú grossa, che rimbombava e svegliava gli echi dei burroni. In questo chiasso di battaglia non si vedeva, negli occhi delle persone, felicità o estasi religiosa, ma una specie di follia, una pagana smo-deratezza, e come uno stordimento a cui si lasciavano andare. Tutti erano eccitati. Gli animali correvano spa-ventati, le capre saltavano, gli asini ragliavano, i cani abbaiavano, i ragazzi urlavano, le donne cantavano. Sugli usci di tutte le case i contadini aspettavano la processione con in mano un cesto di grano, e al suo passaggio ne buttavano piene manciate sulla Madonna, perché si ri-cordasse dei raccolti e portasse la buona fortuna. I chicchi volavano per l’aria, cadevano sulle pietre del selciato Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli e rimbalzavano con un rumore leggero, come di grandine. La Madonna dal viso nero, tra il grano e gli animali, gli spari e le trombe, non era la pietosa Madre di Dio, ma una divinità sotterranea, nera delle ombre del grembo della terra una Persefone contadina, una dea inferna-le delle messi.
Davanti alla porta di alcune case, qua e là dove la strada si allargava, erano preparati dei tavoli coperti da una tovaglia bianca, come dei piccoli rustici altari. La processione faceva sosta qui davanti, don Trajella biascica-va qualche benedizione, e i contadini e le donne correvano a portare le offerte. Attaccavano agli abiti della Madonna delle monete, dei biglietti da cinque e da dieci lire, e perfino dei dollari, avanzo geloso delle fatiche americane.
Ma i piú le appendevano al collo grandi collane di fichi secchi, o posavano ai suoi piedi frutta e uova, e correvano con altre offerte quando già la processione si era rimessa in cammino, e si univano alla folla e allo strepito delle trombe, degli spari e delle grida. Piú la processione avanzava, piú si faceva numerosa e tumultuante, finché, ripercorso tutto il paese, non rientrò nella chiesa. Cadeva qualche grossa goccia di pioggia, ma presto il vento spazzò le nubi, il temporale si allontanò e tornò il sereno, con le prime stelle della sera. Cosí non si sarebbe sciupato lo spettacolo dei fuochi. Tutti mangiarono un boccone in fretta: appena buio tutto il paese si riversò ai bordi del burrone, di dove, qualche metro piú in basso, dovevano partire le bombe. Fu allora che vidi dei gruppi di giovanotti salire sul tetto del monumento della piazzetta, per meglio godere, di là, lo spettacolo. In onore della Madonna anche noi confinati potevamo restare un’ora di piú fuori di casa. Era la grande giornata, la festa dei raccolti, la sera del fuoco. Si erano spese tremila lire per i fuochi artificiali, e questa era un’annata cattiva: altre volte si era arrivati anche alle cinque e alle seimila: i Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli paesi piú grandi consumano, nel giorni dei loro santi, cifre anche molto piú grosse. Tremila lire, per Gagliano, sono una somma enorme, il risparmio totale di mezza annata, ma per i fuochi si buttano volentieri, e nessuno le rimpiange. Si erano consultati, a gara, gli artificieri piú noti della provincia: se si avesse avuto piú denaro si sarebbero scelti quelli di Montemurro o quelli di Ferrandina, ma ci si era dovuti accontentare dei santarcangelesi, che, del resto, erano buonissimi. Ed ecco, fra gli applausi, le grida di spavento e di ammirazione delle donne e dei bambini, la prima candela romana saliva diritta verso il cielo pieno di stelle e poi un’altra, e un’altra ancora, e poi le girandole, i bengala, le bombe, le grandi piogge d’oro: uno spettacolo meraviglioso.
Erano le dieci, e dovevo rientrare. Dalla mia terrazza, con Barone che guardava eccitato in aria e abbaiava agli spari, rimasi ancora a lungo a contemplare le luci che salivano e ricadevano sfriggendo sull’argilla del Timbone, e ad ascoltare il rimbombo degli scoppi. Poi ci fu il lancio accelerato di venti fuochi, e il gran colpo finale; e udii a poco a poco la gente disperdersi, i passi sulle pietre, lo sbattere degli usci. Il giorno della festa contadina era finito, con la sua agitazione frenetica e infocata; gli animali dormivano, e sul paese buio era tornato il silenzio e l’oscurità vuota del cielo.
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli La pioggia non venne neppure nei giorni seguenti, malgrado la processione, le invocazioni di don Trajella e le speranze dei contadini. La terra era troppo dura per lavo-rarla, le olive cominciavano a risecchire sugli Oberi asseta-ti; ma la Madonna dal viso nero rimase impassibile, lontana dalla pietà, sorda alle preghiere, indifferente natura.
Eppure gli omaggi non le mancano: ma sono assai piú simili all’omaggio dovuto alla Potenza, che a quello offerto alla Carità. Questa Madonna nera è come la terra; può far tutto, distruggere e fiorire; ma non conosce nessuno, e svolge le sue stagioni secondo una sua volontà incomprensibile. La Madonna nera non è, per i contadini, né buona né cattiva; è molto di piú. Essa secca i raccolti e lascia morire, ma anche nutre e protegge; e bisogna adorarla. In tutte le case, a capo del letto, attaccata al muro con quattro chiodi, la Madonna di Viggiano assiste, con i grandi occhi senza sguardo nel viso nero, a tutti gli atti della vita.
Le case dei contadini sono tutte uguali, fatte di una sola stanza che serve da cucina, da camera da letto e quasi sempre anche da stalla per le bestie piccole, quando non c’è per quest’uso, vicino alla casa, un casotto che si chiama in dialetto, con parola greca, il catoico. Da una parte c’è il camino, su cui si fa da mangiare con pochi stecchi portati ogni giorno dai campi: i muri e il soffitto sono scuri pel fumo. La luce viene dalla porta. La stanza è quasi interamente riempita dall’enorme letto, assai piú grande di un comune letto matrimoniale: nel letto deve dormire tutta la famiglia, il padre, la madre, e tutti i figliuoli. I bimbi piú piccini, finché prendono il latte, cioè fino ai tre o quattro anni, sono invece tenuti in piccole culle o cestelli di vimini, appesi al soffitto con delle corde, e penzolanti poco piú in alto del letto. La madre per allattarli non deve scendere, ma sporge il braccio e se li porta al seno; poi li rimette nella culla, che con un solo colpo della mano fa dondolare a lungo come un pendo-lo, finché essi abbiano cessato di piangere.
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli Sotto il letto stanno gli animali: lo spazio è cosí diviso in tre strati: per terra le bestie, sul letto gli uomini, e nell’aria i lattanti. Io mi curvavo sul letto, quando dovevo ascoltare un malato, o fare una iniezione a una donna che batteva i denti per la febbre e fumava per la malaria; col capo toccavo le culle appese, e tra le gambe mi passavano improvvisi i maiali o le galline spaventate. Ma quello che ogni volta mi colpiva (ed ero stato ormai nella maggior parte delle case) erano gli sguardi fissi su di me, dal muro sopra il letto, dei due inseparabili numi tu-telari. Da un lato c’era la faccia negra ed aggrondata e gli occhi larghi e disumani della Madonna di Viggiano: dall’altra, a riscontro, gli occhietti vispi dietro gli occhiali lucidi e la gran chiostra dei denti aperti nella risata cordiale del Presidente Roosevelt, in una stampa colora-ta. Non ho mai visto, in nessuna casa, altre immagini: né il Re, né il Duce, né tanto meno Garibaldi, o qualche altro grand’uomo nostrano, e neppure nessuno dei santi, che pure avrebbero avuto qualche buona ragione per esserci: ma Roosevelt e la Madonna di Viggiano non man-cavano mai. A vederli, uno di fronte all’altra, in quelle stampe popolari, parevano le due facce del potere che si è spartito l’universo: ma le parti erano giustamente in-vertite: la Madonna era, qui, la feroce, spietata, oscura dea arcaica della terra, la signora saturniana di questo mondo: il Presidente, una specie di Zeus, di Dio bene-volo e sorridente, il padrone dell’altro mondo. A volte, una terza immagine formava, con quelle due, una sorta di trinità: un dollaro di carta, l’ultimo di quelli portati di laggiú, o arrivato in una lettera del marito o di un parente, stava attaccato al muro con una puntina sotto alla Madonna o al Presidente o tra l’uno e l’altro, come uno Spirito Santo, o un ambasciatore del cielo nel regno dei morti.
Per la gente di Lucania, Roma non è nulla: è la capitale dei signori, il centro di uno Stato straniero e malefico.
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli Napoli potrebbe essere la loro capitale, e lo è davvero, la capitale della miseria, nei visi pallidi, negli occhi febbrili dei suoi abitatori, nei «bassi» dalla porta aperta pel caldo, l’estate, con le donne discinte che dormono a un tavolo, nei gradoni di Toledo; ma a Napoli non ci sta piú, da gran tempo, nessun re; e ci si passa soltanto per im-barcarsi. Il Regno è finito: il regno di queste genti senza speranza non è di questa terra. L’altro mondo è l’America. Anche l’America ha, per i contadini, una doppia natura. È una terra dove si va a lavorare, dove si suda e si fatica, dove il poco denaro è risparmiato con mille stenti e privazioni, dove qualche volta si muore, e nessuno piú ci ricorda; ma nello stesso tempo, e senza contraddizione, è il paradiso, la terra promessa del Regno.
Non Roma o Napoli, ma New York sarebbe la vera capitale dei contadini di Lucania, se mai questi uomini senza Stato potessero averne una. E lo è, nel solo modo possibile per loro, in un modo mitologico. Per la sua doppia natura, come luogo di lavoro essa è indifferente: ci si vive come si vivrebbe altrove, come bestie legate a un carro, e non importa in che strade lo si debba tirare; come paradiso, Gerusalemme celeste, oh! allora, quella non si può toccare, si può soltanto contemplarla, di là dal mare, senza mescolarvisi. I contadini vanno in America, e rimangono quello che sono: molti vi si fermano, e i loro figli diventano americani: ma gli altri, quelli che ritornano, dopo vent’anni, sono identici a quando erano partiti. In tre mesi le poche parole d’inglese sono dimen-ticate, le poche superficiali abitudini abbandonate, il contadino è quello di prima, come una pietra su cui sia passata per molto tempo l’acqua di un fiume in piena, e che il primo sole in pochi minuti riasciuga. In America, essi vivono a parte, fra di loro: non partecipano alla vita americana, continuano per anni a mangiare pan solo, come a Gagliano, e risparmiano i pochi dollari: sono vicini al paradiso, ma non pensano neppure ad entrarci.
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli Poi, tornano un giorno in Italia, col proposito di restarci poco, di riposarsi e salutare i compari e i parenti: ma ec-co, qualcuno offre loro una piccola terra da comperare, e trovano una ragazza che conoscevano bambina e la sposano, e cosí passano i sei mesi dopo i quali scade il loro permesso di ritorno laggiú, e devono rimanere in patria. La terra comperata è carissima, hanno dovuto pagarla con tutti i risparmi di tanti anni di lavoro americano, e non è che argilla e sassi, e bisogna pagare le tasse, e il raccolto non vale le spese, e nascono i figli, e la moglie è malata, e in pochissimo tempo è tornata la miseria, la stessa eterna miseria di quando, tanti anni prima, erano partiti. E con la miseria torna la rassegnazione, la pazienza, e tutti i vecchi usi contadini: in breve questi americani non si distinguono piú in nulla da tutti gli altri contadini, se non per una maggiore amarezza, il rimpianto, che talvolta affiora, d’un bene perduto. Gagliano è piena di questi emigranti ritornati: il giorno del ritorno è considerato da loro tutti un giorno di disgrazia. Il 1929 fu l’anno della sventura, e ne parlano tutti come d’un cataclisma. Era l’anno della crisi americana, il dollaro cadeva, le banche fallivano: ma questo, in generale, non colpiva i nostri emigrati, che avevano l’abitudine di mettere i loro risparmi in banche italiane, e di cambiarli subito in lire. Ma a New York c’era il Panico, e c’erano i propagandisti del nostro governo, che, chissà perché, andavano dicendo che in Italia c’era lavoro per tutti e ricchezza e sicurezza, e che dovevano tornare.
Cosí moltissimi, in quell’anno di lutto, si lasciarono con-vincere, abbandonarono il lavoro, presero il piroscafo, tornarono al paese, e vi restarono invischiati come mosche in una ragnatela. Eccoli di nuovo contadini, con l’asino e la capra, eccoli partire ogni mattina per i lontani bordi di malaria. Altri conservano invece il mestiere che facevano in America; ma qui, al paese, non c’è lavoro, e si fa la fame. – Maledetto il 1929, e chi mi ha fatto Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli tornare! – mi diceva Giovanni Pizzilli, il sarto, mentre mi prendeva le misure in pollici, con complicati e originali e moderni sistemi americani per l’abbassamento della spalla, e non so che altro, per un vestito alla cacciatora. Era un artigiano intelligente, abilissimo nel suo mestiere, come se ne trovano pochi nelle piú celebrate sartorie di città, e mi fece, per cinquanta lire di fattura, il piú bell’abito di velluto che io abbia mai portato. In America guadagnava bene, ora era in miseria, aveva già quattro o cinque figli, non sperava piú di risollevarsi, e sul suo viso ancor giovane era scomparsa ogni traccia di energia e di fiducia, per lasciarvi una continua, disperata espressione di angoscia.
– Laggiú avevo un salone, e quattro lavoranti. Nel ’29
sono venuto per sei mesi, ma ho preso moglie e non so-no piú partito: e ora son ridotto a questa botteguccia e a combattere con la miseria, – mi diceva il barbiere, un uomo coi capelli già grigi sulle tempie, con l’aria seria e triste. A Gagliano c’erano tre botteghe di barbiere, e questa dell’americano, in alto, vicino alla chiesa, sotto alla casa della vedova, era la sola che fosse sempre aperta, quella dove si rasavano i signori. Quella di Gagliano di Sotto, tenuta dall’albino, l’amante di Giulia, serviva i contadini poveri, ed era quasi sempre chiusa: l’albino aveva anche da coltivare la terra, e adoperava il rasoio la mattina dei giorni di festa, e soltanto di quando in quando, durante la settimana. A metà del paese, verso la piazza, c’era la terza bottega, e anche questa era sempre chiusa, perché il suo padrone era in giro in continue faccende. In questa bottega la gente entrava con aria misteriosa, e chiedeva del padrone a bassa voce. Era un biondo, col viso astuto di una volpe, agile nei movimenti, con gli occhietti brillanti, intelligente, attivo e sempre in moto. Era stato, da militare, caporale di sanità, durante la grande guerra, e aveva imparato cosí a fare il medico.
Il suo mestiere ufficiale era il barbiere, ma le barbe e i Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli capelli dei cristiani erano l’ultima delle sue occupazioni.
Oltre a tosare le capre, a curare le bestie, e dar la purga agli asini, a visitare i maiali, la sua specialità era quella di cavare i denti. Per due lire «tirava una mola» senza troppo dolore né inconvenienti. Era una vera fortuna che ci fosse lui in paese: perché io non avevo la minima idea dell’arte del dentista, e i due medici ne sapevano ancor meno di me. Il barbiere faceva le iniezioni, anche quelle endovenose, che i due medici non sapevano neppure che cosa fossero: sapeva mettere a posto le articolazioni lussate, ridurre una frattura, cavar sangue, tagliare un ascesso: e per di piú conosceva le erbe, gli empiastri e le pomate: insomma, questo figaro sapeva far tutto, e si rendeva prezioso. I due dottori lo odiavano, anche perché egli non nascondeva, all’occasione, il suo giudizio sulla loro ignoranza, ed era amato dai contadini; ogni volta che passavano davanti alla sua bottega lo minaccia-vano di denunciarlo per esercizio abusivo della profes-sione medica. Siccome non si limitavano alle minacce, ma ogni tanto partiva realmente qualche lettera anoni-ma, e lo facevano chiamare dal brigadiere per una diffida, il barbiere doveva usare mille astuzie, nascondere il suo lavoro sotto pretesti, e non lasciarsi vedere. Dapprincipio diffidava anche di me, ma poi si accorse che io non l’avrei tradito, e mi divenne amico. Aveva davvero una certa abilità, e io lo chiamavo perché mi aiutasse nei piccoli interventi chirurgici, o lo incaricavo di andare a fare le iniezioni. Che cosa importava se non era autorizzato? Le faceva benissimo: ma doveva agire di nascosto, perché l’Italia è il paese dei diplomi, delle lauree, della cultura ridotta soltanto al procacciamento e alla spa-smodica difesa dell’impiego. Molti contadini cammina-no ancora, a Gagliano, che sarebbero rimasti zoppi, ad opera della scienza ufficiale, per tutta la vita, grazie a questo figaro-contrabbandiere dall’aspetto furtivo, mez-Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli zo stregone e mezzo medicone, in guerra con l’autorità e coi carabinieri, col piede lesto e l’anima scaltra.