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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli no colorato, le grandi distese desolate delle argille sembravano ondulare nell’aria calda come sospese al cielo; e sopra il loro monotono biancore passava l’ombra mute-vole delle nubi estive. Le lucertole stavano immobili sul muro assolato; una, due cicale si rispondevano a tratti, come provando un canto, e poi tacevano improvvise.

Poiché di qui mi era vietato continuare, mi volsi al ritorno, scendendo rapido al paese per la strada percorsa; ripassai davanti alla chiesa, alla casa della vedova, e, giú per la discesa, arrivai all’ufficio postale, e al muretto della Fossa del Bersagliere. Il podestà, maestro di scuola, era in quel momento nell’esercizio delle sue funzioni di insegnante. Stava seduto al balcone della sua classe, e fumava guardando la gente sulla piazza, e interpellando democraticamente tutti i passanti. Aveva in mano delle lunghe canne, con le quali, ogni tanto, ristabiliva l’ordine senza muoversi dalla seggiola attraverso la finestra aperta, colpendo, con un colpetto abilissimo e ben ag-giustato, la testa o le mani dei ragazzi che, lasciati soli, facevano troppo chiasso. – Bella giornata, dottore! – mi gridò dal suo arengo, quando mi vide comparire sulla piazza. Di lassú, con le sue bacchette in mano, egli si sentiva veramente il padrone del paese, un padrone affa-bile, popolare e giusto; e nulla poteva sfuggire alla sua vista. – Non l’avevo ancora veduto, stamattina. Dov’è stato? A passeggiare? Su, fino al cimitero? Bravo, bravo, passeggi, passeggi! Si diverta. E si trovi qua in piazza dopo colazione, alle cinque e mezzo. Prima dormirà, credo. Le voglio far conoscere mia sorella. Dove va? A Gagliano di Sotto? A cercare alloggio? Mia sorella glielo troverà, non si preoccupi. Per un uomo come lei non ci vuole una casa di contadini. Ma le troveremo meglio, dottore! E buona passeggiata!

Dopo la piazza, la strada risaliva, superava un costo-ne, e ridiscendeva in un’altra minuscola piazzetta, cir-condata di case basse. In mezzo alla piazza si ergeva uno Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli strano monumento, alto quasi quanto le case, e, nell’an-gustia del luogo, solenne ed enorme. Era un pisciatoio: il piú moderno, sontuoso, monumentale pisciatoio che si potesse immaginare; uno di quelli di cemento armato, a quattro posti, con il tetto robusto e sporgente, che si sono costruiti soltanto in questi ultimi anni nelle grandi città. Sulla sua parete spiccava come una epigrafe un no-me familiare al cuore dei cittadini: «Ditta Renzi - Torino». Quale bizzarra circostanza, o quale incantatore o quale fata poteva aver portato per l’aria, dai lontani paesi del nord, quel meraviglioso oggetto, e averlo lasciato cadere, come un meteorite, nel bel mezzo della piazza di questo villaggio, in una terra dove non c’è acqua né im-pianti igienici di nessuna specie, per centinaia di chilometri tutto attorno? Era l’opera del regime, del podestà Magalone. Doveva essere costato, a giudicare dalla sua mole, le entrate di parecchi anni del comune di Gagliano. Mi affacciai al suo interno: da un lato un maiale stava bevendo l’acqua ferma nel fondo del vaso, dall’altra due ragazzi ci buttavano barche di carta. Nel corso di tutto l’anno non lo vidi mai adibito ad altra funzione, né abitato da altri che non fossero maiali, cani, galline, o bambini; se non la sera della festa della Madonna di settembre, in cui alcuni contadini si arrampicarono sul suo tetto per meglio godere, da quell’altezza, lo spettacolo dei fuochi artificiali. Una sola persona lo usò spesso per l’uso per cui era stato costruito; e quella persona ero io: e non l’usavo, debbo confessarlo, spinto dal bisogno, ma mosso dalla nostalgia.

A un angolo della piazzetta, dove quasi giungeva l’ombra lunga del monumento, uno zoppo, vestito di nero, con un viso secco, serio, sacerdotale, sottile come quello di una faina, soffiava come un mantice nel corpo di una capra morta. Mi fermai a guardarlo. La capra era stata ammazzata poco prima, lí sulla piazzetta, e sdraiata sopra un tavolaccio di legno su due cavalletti. Lo zoppo, Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli senza tagliarne altrove la pelle, aveva fatto una piccola incisione in una delle zampe di dietro, vicino al piede, e all’incisione aveva posto la bocca, e a forza di polmoni andava gonfiando la capra, staccandone la pelle dalla carne. A vederlo cosí attaccato all’animale, che andava a mano a mano mutando e crescendo, mentre l’uomo, senza mutare contegno, pareva assottigliarsi e svuotarsi di tutto il suo fiato, sembrava di assistere a una strana metamorfosi, dove l’uomo si versasse, a poco a poco, nella bestia. Quando la capra fu gonfia come una mon-golfiera, lo zoppo, stringendo con una mano la zampa, staccò finalmente la bocca dal piede dell’animale, e se la pulí con la manica; poi, rapidamente, si pose a rovescia-re la pelle della capra, come un guanto che si sfili, fino a che la pelle, intera, fu tutta sgusciata, e la capra, nuda e spelata come un santo, rimase sola sul tavolaccio a guardare il cielo,

– Cosí non si sciupa, si possono farne degli orci, – mi spiegò lo zoppo, pieno di sussiego, mentre un ragazzo docile e taciturno, suo nipote, lo aiutava a squartare la bestia. – Quest’anno c’è parecchio lavoro. I contadini ammazzano tutte le capre. Per forza. La tassa chi può pagarla? – Pare infatti che il governo avesse da poco scoperto che la capra è un animale dannoso all’agricoltura, poiché mangia i germogli e i rami teneri delle piante: e aveva perciò fatto un decreto valido ugualmente per tutti i comuni del Regno, senza eccezione, che imponeva una forte imposta su ogni capo, del valore all’incirca della bestia. Cosí, colpendo le capre, si salvavano gli alberi. Ma a Gagliano non ci sono alberi, e la capra è la sola ricchezza del contadino, perché campa di nulla, salta per le argille deserte e dirupate, bruca i cespugli di spine, e vive dove, per mancanza di prati, non si possono tenere né pecore né vitelli. La tassa sulle capre era dunque una sventura: e, poiché non c’era il denaro per pagarla, una sventura senza rimedio. Bisognava uccidere Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli le capre, e restare senza latte e senza formaggio. Lo zoppo era un proprietario decaduto, ma fiero tuttavia della sua posizione sociale, che per campare faceva molti mestieri; e fra l’altro era suo compito il sacrificio delle capre. Grazie al provvido decreto ministeriale potei, quell’anno, trovar spesso da lui della carne: negli anni precedenti, mi disse, mi sarei dovuto accontentare di mangiarla molto di rado. Egli si occupava anche di am-ministrare i beni di qualche proprietario che non abitava in paese, sorvegliava i contadini, faceva da sensale nelle vendite, metteva mano ai matrimoni, conosceva tutto e tutti; e non c’era avvenimento o fatterello dove non si vedesse comparire silenziosamente la sua gamba zoppa, il suo abito nero e il suo viso volpino. Era curiosissimo, ma, nelle parole, riservato: le sue frasi si fermavano a mezzo, a lasciare intendere che egli sapeva molto piú che non dicesse; e sempre con un che di solenne e digni-toso, e terribilmente serio, quasi a smentire il suo cogno-me, Carnovale. Come seppe che cercavo un alloggio e possibilmente abbastanza grande e luminoso da poterci dipingere, rifletté un poco, con aria concentrata, e mi disse che c’era il palazzo dei suoi cugini che io forse conoscevo, perché erano dei grandi dottori di Napoli.

Avrei forse potuto averne una parte, due o tre stanze: avrebbe subito scritto in città: sarebbe stata per me una fortuna, era la sola casa che potesse convenirmi. Era vuota, ma un letto e gli altri mobili necessari me li avrebbe potuti affittare lui. Se intanto volevo visitarlo, mi avrebbe subito fatto accompagnare dal nipote con le chiavi. Mi avviai col ragazzo, anche lui nero, triste e compassato come lo zio. La strada scendeva ancora do-po la piazzetta, finché arrivava ad un punto dove i due burroni di destra e di sinistra non lasciavano piú posto per le case, e lí scorreva sullo stretto ciglione fra due muretti bassi, al di là dei quali l’occhio si perdeva nel vuoto. Era un intervallo di un centinaio di metri fra Ga-Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli gliano alta e Gagliano bassa; e qui, fra le due gole, il vento soffiava violento in perpetuità. Verso il mezzo di questo intervallo, in un punto dove il ciglione si allarga un poco, c’era una delle due sole fontanelle del paese: l’altra l’avevo vista in alto, vicino alla chiesa. La fontanella, che dava l’acqua per tutta Gagliano di Sotto e per buona metà di Gagliano di Sopra, era allora affollata di donne, come la vidi poi sempre, in tutte le ore del giorno. Stavano in gruppo, attorno alla fontana, alcune in piedi, altre sedute per terra, giovani e vecchie, tutte con una botti-cella di legno sul capo, e la brocca di terra di Ferrandina. Ad una ad una si avvicinavano alla fontana, e aspettavano pazienti che l’esile filo d’acqua riempisse gorgogliando la botte: l’attesa era lunga. Il vento muoveva i veli bianchi sui loro dorsi diritti, tesi con naturalezza nell’equlibrio del peso. Stavano immobili nel sole, come un gregge alla pastura; e di un gregge avevano l’odore.

Mi giungeva il suono confuso e continuo delle voci, un sussurrare ininterrotto. Al mio passaggio nessuna si mosse, ma mi sentii colpito da diecine di sguardi neri, che mi seguirono fermi e intensi, finché, superato l’intervallo, ricominciai a salire per giungere alle case di Gagliano di Sotto, che ridiscende poi fino alla chiesa diroccata e al precipizio. Giungemmo in breve al palazzo: e davvero era la sola costruzione, in paese, che potesse portare questo nome. Di fuori aveva un aspetto tetro con i suoi muri nerastri e le piccole finestre ferrate, e i segni di un secolare abbandono. Era la vecchia dimora di una famiglia nobile che da molto tempo aveva emi-grato. Era stata poi adibita a caserma dei carabinieri, che l’avevano lasciata per la nuova sede modernizzante.

Del passaggio dei militi serbava nell’interno i ricordi, nella sporcizia e nello squallore delle pareti. C’erano ancora le celle di sicurezza, ricavate dividendo un salone, buie, con le bocche di lupo alle finestrelle e i grandi catenacci alle porte. Ma le porte, gonfiate dall’acqua e dai Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli geli, non chiudevano piú; i vetri delle finestre erano tutti rotti, uno spesso strato di polvere, portata dal vento, copriva ogni cosa. Dal soffitto, dorato e dipinto, pendevano lembi di pittura e ragnatele; i pavimenti di pietra bianca e nera a disegno erano sconnessi, e qualche grigio filo d’erba cresceva negli interstizi. Al nostro ingresso nelle sale eravamo accolti da un rumore rapido e furtivo, come di animali che corressero impauriti nei loro nascondigli. Spalancai una porta-finestra, mi affacciai a un balcone, dalla pericolante ringhiera settecentesca di ferro, e, venendo dall’ombra dell’interno, rimasi quasi accecato dall’improvviso biancore abbagliante. Sotto di me c’era il burrone; davanti, senza che nulla si frappo-nesse allo sguardo, l’infinita distesa delle argille aride, senza un segno di vita umana, ondulanti nel sole a perdita d’occhio, fin dove, lontanissime, parevano sciogliersi nel cielo bianco. Nessun’ombra svariava questo immobile mare di terra, divorato da un sole a picco. Era mezzogiorno, ora di rientrare.

Come avrei potuto vivere in questa rovina nobiliare?

Tuttavia il luogo aveva un suo triste incanto: avrei potuto passeggiare sulle pietre sconnesse dei saloni, e preferivo, per compagnia delle mie notti, i pipistrelli agli uffi-ciali esattoriali e alle cimici della vedova. Forse, pensavo, avrei potuto far rimettere i vetri, farmi arrivare da Torino una zanzariera per proteggermi dalla malaria, e ridar vita ai muri arcigni e cadenti del palazzo. Dissi al-lo zoppo che mi aspettava sulla piazzetta con la sua capra squartata, che scrivesse a Napoli, e risalii verso casa.

Arrivato al muretto della Fossa del Bersagliere, sulla piazza, vidi un giovane biondo, alto e aitante, con una camicia cittadina dalle maniche corte, uscire dall’usciolo di una catapecchia portando in mano un piatto di spaghetti fumanti, traversare la piazza, posare il piatto sul muretto lanciando un fischio di richiamo, e rientrare poi rapidamente di dove era venuto. Mi fermai incuriosito a Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli guardare di lontano quella pastasciutta abbandonata.

Subito, da una casa di faccia, uscí un giovane alto, bruno questo, e bellissimo, con un viso pallido e malinconico, vestito di un abito grigio di taglio elegante. Andò al muretto, prese il piatto degli spaghetti e ritornò sui suoi passi. Giunto sulla soglia, lanciò un’occhiata circospetta alle finestre e alla piazza deserta, si volse verso di me, sorrise, mi fece con la mano un amichevole cenno di saluto, e subito, chinandosi per passare nella porticina bassa, scomparve in casa. Don Cosimino, il gobbetto della posta, stava chiudendo il suo ufficio, e dal suo angolo nascosto aveva visto tutto come me. Si accorse del mio stupore, e mi fece col capo un cenno d’intesa; io lessi la simpatia nei suoi occhi tristi e arguti. – Questa scena, – mi disse, – avviene tutti i giorni a quest’ora. Sono due confinati come lei. Quello biondo è un muratore comunista di Ancona, un ottimo ragazzo. L’altro è uno studente di scienze politiche di Pisa. Era ufficiale della Milizia, e comunista anche lui. È di famiglia modesta, ma non gli dànno il sussidio perché sua madre e sua sorella sono maestre, e perciò, dicono, hanno i mezzi per mantenerlo. Prima i confinati potevano stare assieme, ma da qualche mese don Luigi Magalone ha dato l’ordine che non debbano neppure vedersi. Quei due, che facevano cucina comune per economia, ora sono costretti a preparare il pranzo a turno, un giorno per uno, e a portare i piatti sul muretto, dove l’altro li va a prendere quando il primo è già rientrato in casa. Se no, se si in-contrassero, chissà che pericolo per lo Stato! – C’eravamo incamminati insieme su per la salita: don Cosimino abitava non lontano dalla casa della vedova, con la moglie e parecchi bambini. – Don Luigi ci bada molto a queste cose. Lui è per la disciplina. Le pensano insieme, lui e il brigadiere. Con lei spero sarà diverso. Ma ad ogni modo non se la prenda, dottore! – Don Cosimino mi guardava di sotto in su, consolatore. – Hanno la mania Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli di fare i poliziotti, e vogliono saper tutto, Il muratore ha avuto anche delle noie. Parlava con dei contadini, e cercava di spiegare le teorie di Darwin, che l’uomo deriva dalla scimmia. Io già non sono darwinista, – e don Cosimino sorrideva arguto, – ma non ci vedo nulla di male, se qualcuno ci crede. Don Luigi lo è venuto a sapere, naturalmente. E ha fatto una scenata terribile. L’avesse sentito gridare! Ha detto al muratore che le teorie di Darwin sono contro la religione cattolica, che il cattoli-cismo e il fascismo sono una cosa sola, e che perciò parlare di Darwin è fare dell’antifascismo. E ha scritto anche a Matera, alla questura, che il muratore faceva propaganda sovversiva. Ma i contadini gli vogliono be-ne. È gentile e sa far di tutto –. Eravamo arrivati a casa sua. – Stia di buon umore, – mi disse. – Lei è appena arrivato, e si deve abituare. Ma tutto questo passerà.

Quasi timoroso di aver detto troppo, questo angelo gobbo mi salutò bruscamente e mi lasciò.

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli Il podestà era sulla piazza, il pomeriggio, per condur-mi dalla sorella. Donna Caterina. Magalone Cuscianna ci aspettava, aveva preparato il caffè e dei dolci di farina fatti con le sue mani. Mi accolse con grande cordialità sull’uscio, mi condusse in salotto, una stanza dai mobi-letti modesti, piena di ninnoli a buon mercato, di cuscini con il Pierrot e di bamboline di panno, si informò della mia famiglia, commiserò la mia solitudine, mi assicurò che avrebbe fatto il possibile per rendere meno sgradevole il mio soggiorno: fu, insomma, l’amabilità in persona. Era una donna di una trentina d’anni, piccola e gras-soccia. Di viso assomigliava al fratello, ma con un aspetto piú volontario e appassionato. Gli occhi aveva nerissimi, come i capelli; la pelle lucida e giallastra e i denti guasti le davano un aspetto malsano. Era vestita da donna di casa in faccende, con gli abiti in disordine per il lavoro e per il caldo. Parlava con una voce alta, stridu-la, sempre tesa e esagerata. – Vedrà, dottore, qui si troverà bene. Per la casa me ne occuperò subito. Ora non ce ne sono, ma presto se ne faranno delle libere. Lei de-ve avere un buon alloggio, e una stanza per ricevere i malati. Le troverò anche una serva. Assaggi queste focacce, lei sarà abituato a cose piú fini. La sua mamma ne farà di migliori. Queste sono all’uso del paese. Ma come mai l’hanno mandato al confino? Certamente è stato uno sbaglio. Mussolini non può essere informato di tutto, c’è chi magari crede di far bene, e fa delle cose ingiu-ste. E poi, in città, si possono avere dei nemici. Da queste parti ci sono anche dei fascisti confinati. C’è Arpinati, il federale di Bologna, in un paese qua vicino: lui però può viaggiare come gli pare. Ora avremo la guerra. Mio marito è andato volontario. Capisce, con la sua carica, doveva dare l’esempio. Non importano le idee, ma la Patria. Anche lei è per l’Italia, non è vero?

Certo, l’hanno mandata qui per errore. Ma per noi è una grande fortuna che lei sia arrivato! – Don Luigi, con Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli l’aria di chi non si vuol compromettere, taceva; e di lí a poco, dicendo che aveva da fare, se ne andò. Rimasti so-li, donna Caterina, mentre mi versava il caffè nella tazzi-na giapponese, e mi invitava ad assaggiare una marmel-lata di cotogne fatta in casa, continuava, sullo stesso tono eccessivo, a lodarmi e a promettermi il suo aiuto in quanto potesse occorrermi. Era cordialità naturale, o gusto femminile e materno di protezione, o piacere di mostrare la sua autorità nel paese e la sua abilità di donna di casa a un signore del nord? C’era tutto questo, c’era la cordialità, c’era la maternità, c’era l’autorità politica, c’era l’abilità di cucina: donna Caterina sapeva fa-re veramente bene le marmellate le conserve, le torte, le olive al forno, i fichi secchi con le mandorle e le salsicce col peperone spagnolo. Ma, si sentiva, c’era anche dell’altro: una passione piú precisa e personale, nella quale il mio arrivo inaspettato si inseriva e prendeva posto; una passione che il mio arrivo rinforzava, come un vento improvviso, un fuoco sopito. – È una grande fortuna averla qui con noi! Deve starci tre anni? Capisco che lei vorrà andarsene prima, e glielo auguro, ma per noi vorrei che lei restasse. È un buon paese, tutti buoni italiani e fascisti, e poi, Luigino è podestà; mio marito era segretario del fascio, e nella sua assenza sono io che ne faccio le veci: non c’è molto da fare. Lei sarà come in famiglia. Finalmente avremo un medico, non ci toccherà piú fare un viaggio ogni volta che siamo malati. A proposito, le farò vedere mio suocero che sta qui con me.

Lo zio Giuseppe, il dottor Milillo, è vecchio e si deve ritirare. E quell’altro, che avvelena tutto il paese con la farmacia delle sue nipoti, non avvelenerà piú nessuno, lui e quelle donnacce, lui e quelle puttane!

La voce di donna Caterina era ad un tratto arrivata al massimo dell’acutezza e dell’esasperazione: la passione sotterranea, e che non riusciva a nascondersi, non c’era dubbio, era l’odio; un odio concentrato, continuo come Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli una fissazione, e, nell’ozio di ogni altro sentimento, e nell’animo di una donna, pratico, creativo, combinato-rio. Donna Caterina odiava quelle «donnacce» della farmacia, odiava il loro zio, il dottor Concetto Gibilisco, odiava tutto il partito di parenti e di compari di San Giovanni che faceva capo a lui, odiava quelli che a Matera lo proteggevano. Io ero stato mandato dalla Provvidenza, e non importava quale fosse il pretesto politico del mio arrivo, unicamente perché potessi servire di strumento al suo odio. Io dovevo ridurre Gibilisco sul lastrico, e far chiudere la farmacia, o farla togliere alle sue nipoti. Donna Caterina era una donna attiva e im-maginativa. Era la vera padrona del paese. Molto piú intelligente del fratello, e piú volontaria, sapeva di poter fare di lui quello che voleva, pur di lasciargli l’apparenza dell’autorità. Che cosa fosse il fascio e il fascismo, non le interessava e non lo sapeva. Per lei, essere segretario del fascio era un meno qualunque per comandare. Appena saputo del mio arrivo, aveva subito immaginato un piano d’azione, lo aveva imposto al fratello e aveva ottenuto, per quanto con maggiore difficoltà, di farlo tollerare al vecchio zio. Essa supponeva che io ci tenessi a fare il medico, e a cavarne il massimo guadagno possibile: bisognava incoraggiarmi in questo proposito, e assicurar-mi che, grazie alla loro autorità, non me ne sarebbero venute delle noie; farmi capire che dipendeva da loro riuscire nel mio intento. Bisognava subito usarmi ogni cortesia e insieme farmi conoscere la sua potenza, per evitare che io potessi, magari inconsapevolmente, accor-darmi in qualche modo con i loro nemici. Don Luigino, abituato a molto rigore con i confinati, temeva di com-promettersi trattandomi con gentilezza, e non voleva in-vitarmi a casa sua: i suoi nemici avrebbero potuto denunciarlo; sarebbe stata dunque lei stessa ad agire, e a cercare di trarmi dalla loro parte. Questo suo odio era un aspetto dell’odio tradizionale fra i due gruppi di fa-Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli miglie dominanti il paese; e forse anche qui, come a Grassano, si sarebbe potuto risalire molto addietro. Si può supporre che i Gibilisco, famiglia di medici, fossero un secolo fa dei liberali, e i Magalone, di estrazione piú popolare e piú recente, avessero avuto a che fare coi borbonici e coi briganti; non potei mai appurare le cose.

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