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Vedevo che l’argomento lo disgustava, e per confor-tarlo portai il discorso sulla musica. Sperava di poter scrivere delle canzonette, di vincere qualche concorso, qualche premio: in questo caso avrebbe lasciato l’esattoria. Intanto suonava il clarinetto nella banda di Stigliano. Gli chiesi com’erano le canzoni popolari di queste parti, e se avesse potuto insegnarmene qualcuna, e magari, poiché egli era cosí abile, trascrivermela. Mi disse se volevo la musica di «Faccetta nera» o di qualche altra canzonetta in voga. No, non era questo, volevo le canzoni dei contadini. Rimase un po’ a riflettere, come ad un argomento per lui nuovo, a cui non avesse mai pensato.

Scrivermi le note di una canzone avrebbe potuto, cer-candole ad una ad una sul clarinetto. Ma non gli veniva fatto di ricordarsi di nessuna canzone cantata dai contadini. A Viggiano cantavano e suonavano. Ma da queste parti, no. C’era forse qualche canto di chiesa, si sarebbe informato. Altro non conosceva. Anch’io avevo notato, a Grassano, la stessa cosa. Né il mattino quando partono per il lavoro, né il meriggio sotto il sole, né la sera, nelle lunghe file nere che tornano, con gli asini e le capre; verso le case sul monte, nessuna voce rompe il silenzio della terra. Soltanto una volta avevo sentito, verso il Basento, il lamento di un flauto di canna, a cui un altro flauto rispondeva dalla collina di faccia: erano due pastori forestieri che andavano col gregge di paese in paese, e si richiamavano di lontano. I contadini non cantano.

Il mio compagno non rispondeva piú: sentivo il suo respiro regolare e fischiante, nel ronzio continuato delle mosche eccitate dal caldo. Un tenue chiarore veniva, attraverso i vetri chiusi, da un cielo pallido per una falce di luna: sul muro, in faccia a me, distinguevo a quel bar-Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli lume, sul berretto appeso al chiodo. le grandi lettere rosse: «U. E.». Le fissavo nell’oscurità, finché mi si chiu-sero gli occhi, e mi addormentai.

Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli Non mi svegliarono, di primo mattino, le campanelle dei greggi, come a Grassano, perché qui non vi sono pastori, né pascoli, né erba; ma il rumore continuato degli zoccoli degli asini sulle pietre della strada, e il belar delle capre. È l’emigrazione quotidiana: i contadini si levano a buio, perché devono fare chi due, chi tre, chi quattro ore di strada per raggiungere il loro campo, verso i greti malsani dell’Agri e dei Sauro, o sulle pendici dei monti lontani. La stanza era piena di luce: il berretto con le iniziali non c’era piú. Il mio compagno doveva essere uscito all’alba, per portare i conforti della Legge nelle case dei contadini, prima che quelli partissero per la campagna; e a quest’ora forse già correva, col cappello sfavillante sotto il sole, e il clarinetto, e una capra al guinzaglio, sulla strada di Stigliano. Dall’uscio mi giungeva un suono di voci femminili e un pianto di bambino.

Una diecina di donne, con i bimbi in collo o per mano, aspettavano, pazienti, la mia levata. Volevano mostrarmi i loro figli, perché li curassi. Erano tutti pallidi, magri, con dei grandi occhi neri e tristi nei visi cerei, con le pance gonfie e tese come tamburi sulle gambette storte e sottili. La malaria, che qui non risparmia nessuno, si era già insediata nei loro corpi denutriti e rachitici.

Io avrei voluto evitare di occuparmi di malati, perché non era il mio mestiere, perché conoscevo la mia poca competenza, e sapevo che, facendolo, sarei entrato, e la cosa non mi sorrideva, nel mondo stabilito e geloso degli interessi dei signori del paese. Ma capii subito che non avrei potuto resistere a lungo nel mio proposito. Si ripeté la scena del giorno precedente. Le donne mi pre-gavano, mi benedivano, mi baciavano le mani. Una speranza, una fiducia assoluta era in loro. Mi chiedevo che cosa avesse potuto generarle. Il malato di ieri era morto, e io non avevo potuto far nulla per evitarne la morte: ma le donne dicevano che avevano visto che io non ero, co-me gli altri, un medicaciucci, ma ero un cristiano bono e Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli avrei guarito i loro figliuoli. Era forse il prestigio naturale del forestiero che viene da lontano, e che è perciò co-me un dio; o piuttosto si erano accorte che, nella mia impotenza, mi ero tuttavia sforzato di far qualcosa per il moribondo e l’avevo guardato con interesse, e con reale dispiacere? Ero stupito e vergognoso di questa fiducia, tanto piena quanto immeritata. Congedai le donne con qualche consiglio, ed uscii, dietro a loro, dalla stanza ombrosa nella luce abbagliante del mattino. Le ombre delle case erano nere e ferme, il vento caldo che saliva dai burroni sollevava nuvole di polvere: nella polvere si spidocchiavano i cani.

Volevo riconoscere i miei confini, che erano stretta-mente quelli dell’abitato: fare un primo viaggio di cir-cumnavigazione della mia isola: le terre, attorno, dovevano restare, per me, uno sfondo non raggiungibile oltre le colonne d’Ercole podestarili. La casa della vedova è all’estremità alta del paese su uno slargo che termina, in fondo, alla chiesa, una piccola chiesetta bianca, appena piú grande delle case. Sull’uscio stava l’Arciprete, occupato a minacciare con un bastone un gruppo di ragazzi che, a qualche passo di distanza, gli facevano boccacce e sberleffi, e si chinavano a terra, nell’atto di volergli get-tare delle pietre. Al mio arrivo i ragazzi scapparono co-me passeri; il prete li seguí con lo sguardo corrucciato, brandendo il bastone e gridando: – Maledetti, eretici, scomunicati! È un paese senza grazia di Dio, questo, –

disse poi, rivolgendosi a me. – In chiesa ci vengono i ragazzi, per giocare. Ha visto? Se no, non ci viene nessuno. La messa la dico ai banchi. Neppure battezzati, so-no. E i frutti di quelle poche terre, non c’è verso di farseli pagare. Non ho ancora avuti quelli dell’anno passato. Sono tutti fior di galantuomini, davvero, in questo paese, se ne accorgerà.

Era un vecchio piccolo e magro, con degli occhiali di ferro a stanghetta su un naso affilato, all’ombra del pen-Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli daglio rosso che scendeva dal cappello, e dietro agli occhiali degli occhietti pungenti, che passavano rapidamente da una fissità ossessionata a un brillare brusco di arguzia. La bocca sottile gli cascava in una piega di abituale amarezza. Sotto all’abito sporco e sdrucito, pieno di frittelle e sbottonato, spuntavano gli stivali scalcagna-ti e pieni di polvere. Da tutto il suo aspetto spirava un’aria stanca di miseria mal sopportata; come le rovine di una catapecchia incendiata, nera e piena di erbacce.

Don Giuseppe Trajella non era amato da nessuno in paese, e dai signori del luogo, l’avevo sentito la sera prima nella loro conversazione, era addirittura esecrato.

Gli facevano ogni sorta di villanie, gli aizzavano contro i ragazzi, si lagnavano di lui col prefetto e col Vescovo. –

L’Arciprete, se ne guardi, – mi aveva detto il podestà. –

È una disgrazia per il nostro paese: una profanazione della casa di Dio. È sempre ubriaco. Non ci è ancora stato possibile liberarcene, ma speriamo di poterlo presto cacciar via. Almeno a Gaglianello, la frazione che è la sua vera sede. È qui da parecchi anni, per punizione. Lo hanno mandato a Gaglianello, lui che era professore di Seminario, per castigo. Si permetteva certe libertà con gli allievi, lei mi capisce. A Gagliano ci sta per abuso, perché non ce n’è un altro. Ma è un castigo per noi –.

Povero don Trajella! Se anche il diavolo lo aveva tentato nei suoi giovani anni, questa era ormai una cosa antica e dimenticata. Ora egli non si reggeva quasi in piedi, non era che un povero vecchio perseguitato e inasprito, una pecora nera e malata in un gregge di lupi. Ma, lo si capi-va anche nella sua decadenza, ai bei tempi in cui insegnava teologia al Seminario di Melfí e a quello di Napoli, don Giuseppe Trajella da Tricarico doveva essere stato un uomo buono, intelligente, pieno di spirito e di risorse. Scriveva vite di santi, dipingeva, scolpiva, si occupava vivacemente delle cose del mondo. L’improvvisa disgrazia lo aveva colpito, lo aveva staccato da tutto e Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli l’aveva buttato, come un relitto, su quella lontana spiag-gia inospitale. Egli si era lasciato cadere a picco, goden-do amaramente di fare piú grande la propria miseria.

Non aveva piú toccato un libro né un pennello. Gli anni erano passati, e di tutte le antiche passioni una sola era rimasta, e aveva preso il carattere della fissazione: il ran-core. Trajella odiava il mondo, perché il mondo lo per-seguitava. Si era ridotto a vivere solo, senza parlare con nessuno, nella sola compagnia di sua madre, una vecchia di novant’anni, inebetita e impotente. Il suo solo conforto (oltre alla bottiglia, forse) era di passare il giorno a scrivere epigrammi latini contro il podestà, i carabinieri, le autorità e i contadini. – È un paese di asini, questo, non di cristiani, – mi disse, invitandomi a entrare con lui nella chiesa. – Lei sa il latino, vero?

Gallianus, Gallianellus

Asinus et asellus

Nihil aliud in sella

Nisi Joseph Traiella.

La chiesa non era che uno stanzone imbiancato a calce, sporco e trasandato, con in fondo un altare disador-no su un palco di legno, e un piccolo pulpito addossato a una parete. I muri, pieni di crepe, erano ricoperti da vecchi quadri secenteschi dalle tele scrostate e piene di strappi, malamente appesi in disordine in parecchie file.

– Questi vengono dalla vecchia chiesa: sono le uniche cose che abbiamo potuto salvare. Li guardi, lei, che è pittore. Ma non valgono molto. Questa d’ora non era che una cappella. La vera chiesa, la Madonna degli Angeli, era in basso, all’altra estremità del paese, dove c’è la frana. La chiesa è crollata improvvisamente, è cascata nel burrone, tre anni fa. Per fortuna era notte, l’abbiamo scampata bella. Qui ci sono continuamente le frane.

Quando piove, la terra cede e scivola, e le case precipita-no. Ne va giú qualcuna tutti gli anni. Mi fanno ridere con i loro muretti di sostegno. Fra qualche anno questo Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli paese non esisterà piú. Sarà tutto in fondo al precipizio.

Pioveva da tre giorni quando è caduta la chiesa. Ma tutti gli inverni è la stessa cosa: qualche disastro, piccolo o grosso, avviene tutti gli anni, qui come in tutti gli altri paesi della provincia. Non ci sono alberi né rocce, e l’argilla si scioglie, scorre in basso come un torrente, con tutto quello che c’è sopra. Vedrà quest’inverno, anche lei. Ma le auguro di non essere piú qui allora. La gente è peggio della terra. Profanum vulgus –. Gli occhi dell’Arciprete brillavano dietro gli occhiali. – Abbiamo dovuto accontentarci di questa vecchia cappella. Non c’è campanile, la campana è fuori, attaccata a un sostegno. Biso-gnerebbe anche rifare il tetto, ci piove. S’è dovuto anche puntellarla. Vede che crepe nei muri? Ma i denari, chi me li dà? La chiesa è povera, e il paese è poverissimo: e poi non sono cristiani, non hanno religione. Non mi portano nemmeno i regalucci d’uso, figuriamoci per fare il campanile. E il podestà, don Luigi, e gli altri, sono d’accordo a non lasciar far nulla. Loro fanno i farmacisti. Vedrà, vedrà, le loro opere pubbliche!

Il mio cane Barone, inconsapevole della maestà del luogo, si affacciava all’uscio, stanco di aspettarmi, abbaiando allegro, e non mi riusciva di scacciarlo o di farlo tacere. Presi allora congedo da don Trajella e mi avviai, per la stessa strada a sinistra della chiesa che avevo percorso il giorno prima arrivando, verso le prime case del paese. Era questa la zona che mi era apparsa, il giorno avanti, passando rapido in automobile, accogliente e quasi gentile d’alberi e di verde. Ma ora, sotto il sole crudo del mattino, pareva che il verde si fosse dissolto nel grigio abbagliante dei muri e della terra. Era un gruppo di case costruite in disordine ai lati della strada, con attorno degli orticelli stenti e qualche magro olivo.

Quasi tutte le case erano costituite da una sola stanza, senza finestre, che prendeva luce dalla porta. Le porte erano sbarrate, poiché i contadini erano nei campi: a Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli qualche soglia stavano sedute delle donne con i bambini in grembo, o delle vecchie che filavano la lana; e tutte mi salutavano con un gesto, e mi seguivano con i grandi occhi spalancati. Qua e là alcune case avevano invece un primo piano, e un balcone; e la porta di strada invece di essere di vecchio legno nero e consumato, brillava pre-tensiosamente di vernice, e si adornava di una maniglia di ottone. Erano le case degli «americani». In mezzo alle catapecchie contadine stava una casetta lunga e stretta, a un piano, costruita da poco nello stile cosiddetto moderno, quello dei sobborghi delle città: era la caserma dei carabinieri. Sulla strada e attorno alle case, nei mucchi di spazzature e di rifiuti, le scrofe, circondate dalle loro famiglie di maialini, dal viso di vecchietti avidi e li-bidinosi, grufolavano diffidenti e feroci, e Barone rin-ghiava rinculando, sollevando il labbro sulle gengive, coi peli ritti di uno strano orrore.

Dopo l’ultima casa del paese, dove la strada, superata una selletta, comincia a scendere verso il Sauro, c’era un breve spiazzo di terra disuguale, coperta a tratti di un’erba gialla e intristita. Era il campo sportivo, opera del podestà Magalone. Qui dovevano esercitarsi i ragazzi della Gil, e si dovevano fare le adunate di popolo. A sinistra un sentiero saliva ancora su un poggio poco di-stante coperto di ulivi e terminava a un cancelletto di ferro, aperto tra due pilastrini che si continuavano in un muretto basso di mattoni. Dietro il muretto spuntavano due sottili cipressi; attraverso il cancello si vedevano le tombe, bianche sotto il sole. Il cimitero era il limite estremo, in alto, del terreno che mi era concesso. La vista di lassú era piú larga che da ogni altro punto, e meno squallida. Non si vedeva tutto Gagliano, che sta nascosto come un lungo serpente acquattato fra le pietre; ma i tetti rosso-gialli della parte alta apparivano fra le fronde grige degli ulivi mosse dal vento, fuori della consueta immobilità, come cose vive; e, dietro questo primo pia-Letteratura italiana Einaudi

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