Scende su di noi, dal monte Pollino, l’ombra della se-ra. I contadini sono ormai tutti rientrati in paese, si ac-cendono i fuochi nelle case, giungono da ogni parte vo-ci, rumore di asini e di capre. La piazza è ormai piena di tutti i signori del luogo. Il nemico del podestà, il medico che passeggia solitario, ha certo una grande curiosità di conoscermi. Egli ci gira intorno in cerchi sempre piú stretti, come un nero can barbone diabolico. È un uomo anziano, grosso, panciuto, impettito, con una barba grigia a punta e dei baffi che piovono su una bocca larghis-sima, piena zeppa di denti gialli e irregolari. L’espressione del suo viso è quella di una diffidenza astiosa, e di un’ira continua e mal repressa. Porta gli occhiali, una specie di cilindro nero in capo, ma redingote nera spelacchiata, e dei vecchi pantaloni neri lisi e consumati.
Brandisce un grosso ombrello nero di cotone, quell’ombrello che gli vedrò poi portare sempre aperto, con sussiego, in modo perfettamente verticale, estate e inverno, con la pioggia e col sole, come il sacro baldacchino sul tabernacolo della propria autorità. Il dottor Gibilisco è furente. La sua autorità, ahimè, pare assai scossa. – I contadini non ci dànno retta. Non ci chiamano quando sono malati, – mi dice con l’aria velenosa e collerica di un pontefice che stigmatizzi un’eresia. – Oppure non Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli vogliono pagare. Vogliono essere curati, ma pagare, niente. Ma se ne accorgeranno. Ha visto oggi, quel tale, non ci aveva chiamati. È andato a Stigliano. Ha chiamato lei. È morto e gli sta bene –. Su questo punto per quanto con piú moderazione, era d’accordo anche il dottor Milillo, che confermava: – Sono ostinati come muli. Eh! Eh! Vogliono fare di testa propria. Si dà il chinino, si dà il chinino, ma non lo vogliono prendere. Non c’è nulla da fare –. Cerco di rassicurare anche Gibilisco sulle mie intenzioni di non fargli concorrenza: ma i suoi occhi sono pieni di diffidenza e di sospetto, e la sua ira non è sbollita. – Non si fidano di noi: non si fidano della farmacia. Si sa, non ci può esser tutto; ma si può soppe-rire. Se manca la morfina, si può usare l’apomorfina –.
Anche Gibilisco, come Milillo, ci tiene a mostrarmi la sua sapienza. Ma mi accorgo presto che la sua ignoranza è molto peggiore di quella del vecchio. Egli non sa assolutamente nulla, e parla a caso. Una sola cosa egli sa, che i contadini esistono unicamente perché Gibilisco li visi-ti, e si faccia dare denaro e cibo per le visite; e quelli che gli capitano sotto devono pagarla per gli altri che gli sfuggono. L’arte medica per lui non è che un diritto, un diritto feudale di vita e di morte sui cafoni; e perché i poveri pazienti si sottraggono volentieri a questo jus ne-cationis, un continuo furore, un odio di bestia feroce contro il povero gregge contadino. Se le conseguenze non sono spesso mortali, non è certo mancanza di buone intenzioni, ma soltanto il fatto che, per uccidere con arte un cristiano, ci vuol pure una qualche briciola di scienza. Usare questa o quella medicina gli è indifferente: egli non ne conosce e non si cura di conoscerne nessuna, esse sono per lui null’altro che le armi del suo diritto: un guerriero può cingersi, per farsi rispettare, a suo solo arbitrio, di archi o di spadoni o di scimitarre o di pistolacci o magari di kriss malesi. Il diritto di Gibilisco è ereditario: suo padre era medico, suo nonno an-Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli che. Suo fratello, morto l’anno prima, era, naturalmente, farmacista. La farmacia non ha trovato successori e avrebbe dovuto esser chiusa; ma è stato ottenuto attraverso qualche amico alla Prefettura di Matera che essa possa continuare a funzionare, per il bene della popolazione, fino a esaurimento delle scorte, ad opera delle due figlie del farmacista, che non hanno fatto studi e non potrebbero perciò essere autorizzate alla vendita dei veleni. Le scorte, naturalmente, non finiranno mai; un po’ di qualche polvere indifferente viene messa nei barattoli mezzi vuoti: cosí si diminuisce il pericolo degli errori nelle pesate. Ma i contadini sono ostinati e diffidenti. Non vanno dal medico, non vanno alla farmacia, non riconoscono il diritto. E la malaria, giustamente, li ammazza.
Mi faccio dare qualche indicazione sui signori che passeggiano o siedono in gruppi silenziosi sul muretto.
Ecco passare corrusco il brigadiere dei carabinieri. È un bel giovane bruno, un pugliese, dai capelli impomatati, con un viso cattivo; stretto in un’elegante uniforme attil-lata, dalla vita sottile; con stivali lucenti, profumato, frettoloso e sprezzante. Con lui dirò pochissime parole; egli mi guarda in distanza come un delinquente da tenere a bada. È qui da tre anni, e ha già messo da parte, mi dicono, quarantamila lire, frutto, a dieci lire per volta, dell’uso sagace dell’autorità sui contadini. È l’amante della levatrice, una donna alta e secca e un po’ storta, dagli occhioni romantici, lucidi e pieni di languore, con un lungo viso da cavallo; mal vestita, indaffarata, con dei gesti e degli accenti sentimentali ed eccessivi come una diva da caffè-concerto di provincia. Il brigadiere si ferma un momento a parlare sottovoce col podestà: è il suo braccio secolare, e li vedrò poi sempre confabulare a lungo in tono misterioso, forse sui mezzi migliori per tener l’ordine e aumentare il prestigio dell’autorità. Ma già si allontana, e squadrandoci dall’alto, senza salutare, Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli si avvia alla porticina della sua amica, là in fondo. O non andrà forse invece, come si sussurra, dalla bella mafiosa, la confinata siciliana che abita dietro la casa della levatrice, una splendida creatura nera e rosa, che nessuno vede mai perché tiene celato in casa, secondo gli usi del suo paese, il mistero della sua bellezza, e ha ottenuto, per meglio salvare la sua ritrosia, di non andare che una volta sola alla settimana, anziché tutti i giorni, a firmare il registro del Municipio? Pare che il brigadiere le faccia una corte altrettanto galante quanto minacciosa. Per quanto la pudica siciliana abbia fama d’essere inattacca-bile, e si dica che laggiú nell’isola ci siano parecchi uomini pronti a vendicarne l’onore, sarà difficile che la sua grazia velata possa a lungo resistere alla potenza incar-nata della legge. Questi tre signori vestiti di nero, con panciotti a doppia fila di bottoni, a foggia antica, che fumano in silenzio vicino a noi, sono tre proprietari pieni di sussiego e di tristezza. Ma quell’altro che sta solo in disparte, quel vecchio sottile dal viso intelligente, è l’uo-mo piú ricco del paese, l’avvocato S. È un uomo buono e triste, pieno di sfiducia e di disprezzo per il mondo do-ve gli tocca vivere. L’anno scorso gli è morto l’unico figlio maschio, e le sue due belle figlie, Concetta e Maria, da allora non sono mai piú uscite di casa, neppure per andare a messa. È l’usanza di qui, almeno tra i signori: se muore il padre le figlie restano tre anni recluse, un anno se muore il fratello. Quel vecchio dalla lunga barba bianca che gli scende sul petto, che fuma vicino all’avvocato, è l’ex ricevitore postale a riposo, compare di San Giovanni del dottor Gibilisco. Si chiama Poerio, l’unico resto di un ramo gaglianese della famosa famiglia di pa-trioti. È sordo e malato. Non può orinare, e si è fatto magrissimo. Morirà certamente tra poco.
Queste notizie mi venivano date dall’avvocato P., un giovanotto allegro che si era unito al nostro gruppo. Co-me mi raccontò subito, si era laureato qualche anno pri-Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli ma a Bologna. Non che avesse nessuna tendenza agli studi, né ambizione professionale, tutt’altro. Uno zio gli aveva lasciato in eredità tutti i suoi poderi e la sua casa in paese, a condizione che lui prendesse una laurea: perciò lui era andato a Bologna. La vita goliardica di quegli anni era stata la sua grande avventura. Laureatosi e tornato in paese a godersi in pace l’eredità, aveva sposato una donna piú vecchia di lui, e non aveva piú potuto ripartire. Non faceva assolutamente nulla, se non cercare di continuare, nell’ambiente paesano, la sua vita di studente. Come passare tutte le ore del giorno, tutti i giorni dell’anno? La passatella, il gioco delle carte, qualche chiacchierata sulla piazza; e le sere trascinate qua e là nelle grotte del vino. L’eredità dello zio l’aveva in buona parte perduta al gioco, a Bologna, prima ancora di esser-ne entrato in possesso; ora i poderi erano tutti ipotecati, le entrate erano magre, la famiglia cresceva. Ma il buon ragazzo era pur sempre uno studente di Bologna, allegro e scapigliato. Quello che fa tanto chiasso dall’altra parte della piazza, è un suo compagno di bevute e di passatella, maestro supplente alla scuola elementare. È ubriaco questa sera, come quasi sempre, fin dal mattino. Ma ha il vino cattivo, e diventa feroce, collerico, rissoso. I suoi urli, quando fa scuola, si sentono in fondo al paese.
Tutti si alzano d’un tratto, e si muovono verso la posta. Si vede infatti arrivare, in cima alla strada, la vecchia procaccia con il sacco dei giornali e della corrispondenza, che ogni giorno un mulo va a prendere al bivio sul Sauro, al passaggio dell’autobus sgangherato che porta i disgraziati viaggiatori, attraverso migliaia di giravolte e di traballoni, dalla lontanissima Matera alla valle dell’Agri. Tutti corrono all’ufficio postale e aspettano che don Cosimino, un gobbetto dal viso arguto, abbia aperto i pacchi e fatto lo spoglio. È la cerimonia serale a cui nessuno manca, e a cui anch’io parteciperò poi, ogni giorno, per tutto l’anno. Tutti restano fuori dell’ufficio, Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli in attesa: ma il podestà e il brigadiere entrano, e, con la scusa della posta d’ufficio, controllano curiosamente le lettere di tutti. Ma questa sera la posta è in ritardo, cala la notte e non mi è lecito restare ancora all’aperto. Vedo arrivare zoppicante l’Arciprete, piccolo e magro, col grande pendaglio rosso sul cappello: nessuno lo saluta.
Io debbo ormai partire. Fischio al mio cane Barone, che mi precede a grandi balzi, estasiato dei nuovi odori, dei nuovi cani e pecore e capre ed uccelli di questo suo nuovo paese, e mi avvio lentamente, per la salita, alla casa della vedova.
La Fossa del Bersagliere è piena d’ombre, e l’ombra avvolge i monti viola e neri che stringono d’ognintorno l’orizzonte. Brillano le prime stelle, scintillano di là dall’Agri i lumi di Sant’Arcangelo, e piú lontano, appena visibili, quelli di qualche altro paese ignoto, Noepoli forse, o Senise. La strada è stretta, sulle porte stanno seduti i contadini, nel buio che sale. Dalla casa del morto giungono i lamenti delle donne. Un brusio indistinto mi gira attorno in grandi cerchi, e di là c’è un profondo silenzio. Mi par d’essere caduto dal cielo, come una pietra in uno stagno.
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli
«Questo è dunque un paese di galantuomini!» pensavo attendendo la cena nella casa della vedova. Il fuoco era acceso sotto la pentola, perché la buona donna aveva immaginato che io fossi stanco del viaggio e che mi ab-bisognasse qualcosa di caldo. Di solito non si fa fuoco, la sera, neppure nelle case dei ricchi, dove bastano gli avanzi del mattino, un po’ di pane e formaggio, qualche oliva, e i soliti fichi secchi. Quanto ai poveri, essi man-giano pan solo, tutto l’anno, condito qualche volta con un pomodoro crudo spiaccicato con cura, o con un po’
d’aglio e olio, o con un peperone spagnolo, di quelli che bruciano, un diavolesco. «Questo è un paese di galantuomini!» Non potevo ancora precisare le mie impressioni, né penetrare ancora tutti i segreti della politica e delle passioni paesane; ma mi avevano colpito il sussiego, le maniere dei signori sulla piazza, e piú ancora il to-no generale di astio, disprezzo e diffidenza reciproca nella conversazione a cui avevo assistito, la facilità con cui si manifestavano degli odi elementari, senza il naturale ritegno verso un forestiero appena arrivato, che aveva fatto sí che io fossi messo subito al corrente da ciascuno dei vizi o delle debolezze degli altri. Per quanto non potessi ancora determinarlo con esattezza, era chiaro che anche qui, come a Grassano, gli odi reciproci di tutti contro tutti si cristallizzavano in due partiti. Qui, co-me a Grassano, come in tutti gli altri paesi della Lucania, dove i galantuomini che non hanno potuto, per incapacità o povertà, o matrimoni precoci, o interessi da tutelare, o per una qualunque necessità del destino, emi-grare ai paradisi di Napoli o di Roma, trasformano la propria delusione e la propria noia mortale in un furore generico, in un odio senza soste, in un perenne risorgere di sentimenti antichi, e in una lotta continua per affermare, contro tutti, il loro potere nel piccolo angolo di terra dove sono costretti a vivere. Gagliano è un picco-lissimo paese, e lontano dalle strade e dagli uomini: le Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli passioni vi sono perciò piú elementari, piú semplici, ma non meno intense che altrove; e non sarà difficile, immaginavo, averne presto la chiave.
Grassano è invece piuttosto grande, su una via di passaggio, non lontano dal capoluogo della provincia: non c’è, come qui, il contatto continuo di tutti con tutti; le passioni possono perciò essere piú nascoste, prendere una forma piú mediata, vestirsi di aspetti piú complessi.
I segreti di Grassano mi erano stati rivelati fin dai primi giorni del mio arrivo da uno dei loro piú appassionati protagonisti. Quelli di Gagliano, come li conoscerò? A Gagliano dovrò passare tre anni, un tempo infinito. Il mondo è chiuso: gli odi e le guerre dei signori sono il so-lo avvenimento quotidiano: e ho già visto sui loro volti come esse siano radicate e violente, miserabili ma intense come quelle di una tragedia greca. Bisognerà pure che, come un eroe di Stendhal, io faccia i miei piani, e non commetta errori. A Grassano, il mio informatore era stato il capo della Milizia, il tenente Decunto. Chi lo sarà quaggiú?
Quando il tenente Decunto, capo della Milizia di Grassano, mi aveva mandato a chiamare con un ordine perentorio, il giorno dopo il mio arrivo da Regina Coeli, quando non mi ero ancora ambientato, né avevo ancora saputo precisamente che cosa capitasse nel mondo, né che umori ci fossero in paese per la prossima guerra d’Africa, avevo temuto qualche nuova noia. Avevo invece trovato, in una stanzetta che gli serviva di ufficio, un piccolo giovane biondo, gentile, con una bocca amara e degli occhietti azzurro-chiari, sfuggenti, dagli sguardi che si posavano di fianco alle cose, ritrosi, piú che per paura, per una specie di vergogna o di ribrezzo. Mi aveva chiamato perché io ero ufficiale in congedo, e lo era anche lui, e voleva fare la mia conoscenza. Ci teneva subito a dirmi che lui comandava la Milizia, ma non aveva nulla a che fare né con la questura, né coi carabinieri, né Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli con il podestà, né con il segretario del fascio. Quest’ultimo, soprattutto, era un delinquente; e tutti gli altri, una banda degna di lui. La vita a Grassano era impossibile, e non c’era rimedio. Tutti ambiziosi, ladri, disonesti, vio-lenti. Egli doveva assolutamente togliersi di qui: si moriva. Perciò aveva fatto domanda di andare volontario in Africa; e pazienza se tutto andrà in rovina. C’è poco da rimpiangere. – Giochiamo il tutto per il tutto, – mi disse, guardando lontano di fianco a me. – Questa è la fine, mi capisce? La fine. Se vincessimo, forse si potrà cambiare qualcosa, chissà? Ma l’Inghilterra non lo permetterà. Ci spaccheremo la testa. Questa è la nostra ultima carta. E se ci va male... – E qui un gesto, come a dire: è la fine del mondo. – Andrà male, vedrà. Ma non importa. Cosí non si può piú continuare. Lei resterà qui qualche tempo. Lei è straniero alle nostre questioni, e potrà giudicare. Quando avrà visto che cos’è la vita in questo paese, mi dirà che avevo ragione –. Io tacevo, perché diffidavo. Ma dovevo poi riconoscere, nei giorni seguenti, che il tenente Decunto, anche se forse mi sorvegliava, era tuttavia sincero, e il suo pessimismo non era una finzione. Mi aveva preso in simpatia perché ero forestiero, e con me poteva sfogare i suoi risentimenti. Ogni volta che io salivo alla chiesa, in cima al paese, e mi fermavo, nel vento, a contemplare il paesaggio desolato, me lo vedevo comparire vicino, biondo e grigiastro come uno spettro, e senza guardarmi, mi parlava. Egli non era che l’ultimo anello di una catena di odî che risalivano per le generazioni: cent’anni, di piú, duecento, chissà, forse sempre. Egli partecipava di questa passione ereditaria.
Non c’era nulla da fare, e se ne rodeva. Si erano odiati per secoli qui, e sempre si odieranno, fra queste stesse case, davanti agli stessi sassi bianchi del Basento e alle stesse grotte di Irsina. Oggi erano tutti fascisti, si sa. Ma questo non voleva dir nulla. Prima erano nittiani o sa-landrini, e risalendo nel tempo, giolittiani o antigiolittia-Letteratura italiana Einaudi
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli ni, della Destra o della Sinistra, per i briganti o contro i briganti, borbonici o liberali, e prima ancora, chissà. Ma questa era la vera origine: c’erano i galantuomini e c’erano i briganti, i figli dei galantuomini e i figli dei briganti.
Il fascismo non aveva cambiato le cose. Anzi, prima, con i partiti, la gente per bene poteva state tutta da una parte, sotto una bandiera particolare, e distinguersi dagli altri e lottare sotto una veste politica. Ora non ci resta che le lettere anonime, e le pressioni e le corruzioni in Prefettura. Perché nel fascismo ci stanno tutti. – Io, vede, sono di una famiglia di liberali. I miei bisnonni sono stati in prigione, sotto i Borboni. Ma il segretario del fascio, sa chi è? È il figlio di un brigante. Proprio il figlio di un brigante. E tutti gli altri che gli tengono bordone, e che adesso comandano il paese, sono tutti della stessa risma. E a Matera è la stessa cosa. Il consigliere nazionale N., di qui, è di una famiglia che teneva mano ai briganti. Anche il barone di Collefusco, il padrone di tutte le terre qui attorno, il proprietario del palazzo sulla piazza, chi è? Lui sta a Napoli, si sa, e da queste parti non ci viene mai. Non lo conosce? I baroni di Collefusco sono stati, di nascosto, i veri capi del brigantaggio, nel ’6o, da queste parti. Erano loro che li pagavano, che li armavano –. Gli occhietti azzurri scintillavano d’odio.
– Lei spesso si siede, l’ho visto tante volte, sulla panchina di pietra che è davanti al palazzo del barone.
Cent’anni fa, anzi piú di cent’anni fa, su quella stessa panchina si sedeva ogni sera, come fa ora lei, a prendere il fresco, il bisnonno del barone di adesso, e usava tenere in braccio un suo bambino di pochi anni. Proprio quel bambino fu poi il nonno del barone, e deputato, e manutengolo dei briganti. Su quella panchina il vecchio fu ammazzato, da un parente dei miei bisnonni. Era un farmacista, fratello di un dottore, Palese. Noi Decunto, qui a Grassano, siamo della stessa famiglia. A Potenza ci sono ancora parecchi nipoti del dottore. Ecco come fu.
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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli C’era in quel tempo, qui da noi, una vendita carbonara, e ne facevano parte i due fratelli Palese, un Lasala, degli stessi Lasala del falegname che lei conosce, un Ruggiero, un Bonelli, e molti altri; e con loro c’era anche il barone di Collefusco, che faceva il liberale. Ma il barone era una spia; ci si era messo in mezzo per denunciarli tutti. Infatti un bel giorno fanno una seduta, per non so quale azione da farsi di lí a poco. Appena finita, il barone va al palazzo, chiama un suo servitore fidato, gli fa sellare il miglior cavallo, e gli dà un biglietto, con l’elenco di tutti i cospiratori, da portare al Governatore di Potenza. Ma la partenza del servo non passa inosservata. Si aveva già qualche sospetto: che cosa andava a fare quel servo sulla strada di Potenza, a quell’ora, col miglior cavallo del paese? Non bisognava perde tempo; inseguirlo, fermar-lo, appurare il tradimento. Quattro carbonari partono a cavallo: ma il cavallo del barone era migliore dei loro, ed era in vantaggio di un’ora. I quattro si buttano per le scorciatoie e i sentieri, e tanto corrono tutta la notte che riescono a raggiungere il servo proprio alle porte di Potenza, sul margine d’un bosco. Tirano da lontano, ga-loppando, sul cavallo, e il cavallo cade; prendono il servo, lo legano a un albero, lo frugano e gli trovano il biglietto del barone. Lo lasciano là legato, senza ucciderlo; e tornano a briglia sciolta a Grassano. Bisogna punire il traditore: i carbonari si radunano e tirano a sorte chi debba uccidere il barone. Tocca al dottor Palese, ma suo fratello il farmacista è miglior tiratore, è sca-polo, e chiede e ottiene di sostituirlo. Allora, di fronte al palazzo, non c’erano case come ora, ma cominciava la campagna e c’era una grossa quercia. Era sera. Il farmacista si nascose col suo fucile dietro la quercia, e aspettò che il barone uscisse a prendere il fresco. C’era la luna piena. Il barone uscí, ma aveva in braccio il bambino, e si sedette sulla panchina di pietra a farlo saltare sulle ginocchia. Il farmacista aspettò a tirare, non voleva colpire Letteratura italiana Einaudi