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In quella solitudine, in quella libertà passavo delle ore.

Quando il mio cane era stanco di rincorrere le lucertole sul muro assolato, si affacciava sull’orlo della fossa e mi guardava interrogativo, poi rotolava per la scaletta, si ac-cucciava ai miei piedi, e non tardava ad addormentarsi.

E anch’io, ascoltando il suo respiro, finivo per lasciar cadere di mano il libro, e chiudevo gli occhi.

Ci svegliava una strana voce senza sesso, né timbro, né età, che pronunciava parole incomprensibili. Un vecchio si sporgeva dal bordo della tomba, e mi parlava attraverso le sue gengive sdentate. Lo vedevo contro il cielo, alto e un po’ curvo, con delle lunghissime braccia magre, come le ali di un mulino. Aveva quasi novant’an-ni, ma il suo viso era fuori del tempo, rugoso e sformato come una mela vizza: fra le pieghe della carne risecchita brillavano due occhi chiarissimi, azzurri e magnetici.

Non un pelo di barba né di baffi gli cresceva, né gli era mai cresciuto, sul mento, e questo dava alla sua vecchia Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli pelle un carattere bizzarro. Parlava un dialetto che non era quello di Gagliano, un miscuglio di linguaggi, perché aveva girato molti paesi, ma vi prevaleva la parlata di Pisticci, dove era nato in tempi remotissimi. Per questo, e per la mancanza dei denti che gli impastava le parole, e per il modo sentenzioso e rapido del suo discorso, dapprincipio mi riusciva oscuro: poi ci facevo l’orecchio, e si conversava a lungo. Ma non ho mai capito se egli veramente mi ascoltasse, o se seguisse soltanto il misterioso gomitolo dei suoi pensieri, che parevano uscirà dalla indeterminata antichità di un mondo animalesco. Questo essere indefinibile indossava una carnicia sudicia strappata, aperta sul petto, e anche qui non aveva peli, ma uno sterno sporgente come quello degli uccelli. Sul capo aveva un berretto rossastro, a visiera, che indicava forse una delle sue molte funzioni pubbliche: egli era insieme il becchino e il banditore comunale. Era lui che passava a tutte le ore per le vie del paese, suonan-do una trombetta e battendo su un tamburo che portava a tracolla, e con quella sua voce disumana annunciava le novità del giorno, il passaggio di un mercante, l’uccisio-ne di una capra, gli ordini del podestà, l’ora di un fune-rale. Ed era lui che portava i morti al cimitero, che scavava le fosse e li seppelliva. Queste erano le sue attività normali, ma dietro ad esse c’era un’altra vita, piena di una oscura potenza impenetrabile. Le donne scherzava-no con lui, quando passava, perché non aveva barba, e si diceva che in vita sua non avesse mai fatto all’amore. –

Ci vieni stasera a letto con me? – gli dicevano dagli usci, e ridevano, nascondendo il viso dietro la mani. – Perché mi lasci dormire sola? – Scherzavano, ma ne avevano rispetto, e quasi paura. Perché quel vecchio aveva un potere arcano, era in rapporti con le forze sotterranee, conosceva gli spiriti, domava gli animali. Il suo antico mestiere, prima che gli anni e le vicende lo avessero fis-sato qui a Gagliano, era l’incantatore di lupi. Egli pote-Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli va, secondo che volesse, far scendere i lupi nei paesi, o allontanarli: quelle belve non potevano resistergli, e dovevano seguire la sua volontà. Si raccontava che, quando egli era giovane, girava per i paesi di queste montagne, seguito da mandre di lupi feroci. Perciò egli era temuto e onorato, e, negli inverni pieni di neve, i paesi lo chiamavano perché tenesse lontani gli abitatori dei boschi, che il gelo e la fame spingevano negli abitati. Ma anche tutte le altre bestie subivano il suo fascino, che non poteva rivolgersi alle donne; e non solo le bestie, ma gli ele-menti della natura e gli spiriti che sono nell’aria. Si sapeva che, nella sua gioventú, quand’egli falciava un campo di grano, faceva in un giorno il lavoro di cinquanta uomini: c’era qualcuno d’invisibile che lavorava per lui. Al-la fine della giornata, quando gli altri contadini erano sporchi di sudore e di polvere, e avevano le schiene rotte dalla fatica e la testa rintronata dal sole, l’incantatore di lupi era piú fresco e riposato che al mattino.

Risalivo dalla mia fossa per parlare con lui: gli offrivo un mezzo toscano, che egli si affrettava ad accendere, in-filandolo in un bocchino fatto dell’osso della gamba posteriore destra di un lepre maschio, annerito dagli anni.

Si appoggiava alla vanga (egli scavava sempre nuove fosse) e si chinava a raccogliere, per terra, la scapola di un cristiano; la teneva un poco in mano, parlando, e poi la buttava in un canto. Il terreno era disseminato di ossa, che affíoravano dalle vecchie tombe, che le acque e i so-li avevano consumato; vecchie ossa bianche e calcinate.

Per il vecchio le ossa, i morti, gli animali e i diavoli erano cose familiari, legate, come lo sono del resto, qui, per tutti, alla semplice vita di ogni giorno. – Il paese è fatto delle ossa dei morti, – mi diceva, nel suo gergo oscuro, gorgogliante come un’acqua sotterranea che esca improvvisamente fra le pietre; e faceva, con quel buco sdentato che gli serviva di bocca, una smorfia che forse era un sorriso. Se cercavo di fargli spiegare che cosa in-Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli tendesse dire, non mi ascoltava, ma rideva, e ripeteva, senza mutarla, la stessa frase, rifiutando di aggiungere altro: – Proprio cosí, il paese è fatto delle ossa dei morti

–. Aveva ragione, il vecchio, in tutti i modi, sia che lo si dovesse intendere in modo figurato e simbolico, sia che lo si dovesse prendere alla lettera. Quando, qualche tempo dopo, il podestà fece fare, non lontano dalla casa della vedova, uno scavo per porre le fondamenta di una casetta, opera dei regime, da servire da sede dei balilla, a due palmi di profondità, invece di tetra si trovarono os-sa di morti, a migliaia, e per parecchi giorni il paese fu attraversato dai carretti carichi, che trasportavano le spoglie di quei nostri antichi parenti per essere buttate alla rinfusa giú nella Fossa del Bersagliere.

Piú recenti erano le ossa delle tombe sotto il pavimento della Madonna degli Angeli, la chiesa crollata; non ancor calcinate come quelle del cimitero; anzi molte portavano ancora attaccati dei brandelli secchi di carne o di pelle incartapecorita; e i cani le dissotterravano e se le disputavano, correndo con una tibia in bocca e abbaiando furiosi su per la via del paese. Qui, dove il tempo non scorre, è ben naturale che le ossa recenti, e meno recenti e antichissime, rimangano, ugualmente presenti, dinanzi al piede del. passeggero. I morti della Madonna degli Angeli sono i piú infelici nei loro sepolcri rovinati.

Non soltanto i cani e gli uccelli ne disperdono i resti, ma quella fossa paurosa e viscida dove sono scivolati sotto le macerie, è visitata da altre presenze, e piú spaventose.

Una notte, non molto tempo prima, qualche mese o qualche anno, non potei farglielo precisare, poiché le misure del tempo erano, pel vecchio incantatore, inde-terminate, egli tornava da Gaglianello, la frazione, e, giunto su un poggio, che è di fronte alla chiesa, il Timbone della Madonna degli Angeli, aveva sentito in tutto il corpo una strana stanchezza, e aveva dovuto sedersi in terra, sul gradino di una cappelletta. Gli era stato poi Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli impossibile alzarsi e proseguire: qualcuno lo impediva.

La notte era nera, e il vecchio non poteva discernere nulla nel buio: ma dal burrone una voce bestiale lo chiamava per nome. Era un diavolo, installato là tra i morti, che gli vietava il passaggio. Il vecchio si fece il segno della croce, e il demonio cominciò a digrignare i denti e a urlare di spasimo. Nell’ombra il vecchio distinse per un momento una capra sulle rovine della chiesa saltare spaventosa, e scomparire. Il diavolo fuggí nel precipizio, ululando. – Uh! uh! – gridava dileguandosi: e il vecchio si sentí ad un tratto libero e riposato, e in pochi passi ritornò in paese. Avventure di questo genere, del resto, glien’erano successe infinite, e me ne raccontava, se lo interrogavo, senza dare ad esse nessuna importanza. La sua vita era cosí lunga, che questi incontri non potevano non essere stati numerosi. Egli era cosí vecchio che al tempo dei briganti era già un giovanotto. Non potei mai sapere con certezza né fargli dire precisamente, se an-ch’egli fosse stato, come è probabile, uno dei loro: ma certo aveva conosciuto il famoso Ninco Nanco, e mi de-scriveva come l’avesse vista ieri, la compagna di Ninco Nanco, la Brigantessa, Maria ’a Pastora, che come lui era di Pisticci. Questa Maria ’a Pastora era una donna bellissima, una contadina, e viveva con il suo amante, in giro per i boschi e le montagne depredando e combat-tendo, vestita da uomo, sempre a cavallo. La banda di Ninco Nanco era la piú crudele e la piú ardita della regione; Maria ’a Pastora partecipava a tutte le azioni, agli assalti alle cascine e ai paesi, alle imboscate, alle taglie, alle vendette. Quando Ninco Nanco strappava con le sue mani il cuore dal petto dei bersaglieri che aveva cat-turato, Maria ’a Pastora gli porgeva il coltello. Il vecchio affossatore la ricordava benissimo, e un’ombra di com-piacenza passava nella sua strana voce quando mi diceva come essa era bella, grande, bianca e rosata come un fiore, con le grandi trecce nere lunghe fino ai piedi, ritta in Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli arcione al suo cavallo. Ninco Nanco era stato ammazzato, ma il vecchio non mi sapeva dire come fosse finita Maria ’a Pastora, questa dea della guerra contadina.

Non era morta e non l’avevano presa, mi diceva; era stata vista a Pisticci, tutta vestita di nero: poi era scomparsa, col suo cavallo, nel bosco, e non s’era mai piú saputo nulla di lei.

Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli Nei dintorni del cimitero non andavo soltanto per ozio, in cerca di solitudine e di racconti. Era quello l’unico luogo, nello spazio consentito, dove non ci fossero case, e qualche albero variasse la geometria dei tuguri. Perciò lo scelsi come primo soggetto dei miei quadri: uscivo, quando il sole cominciava a declinare, con la tela e i colori, piantavo il mio cavalletto all’ombra di un tronco d’ulivo o dietro il muro del cimitero, e mi mettevo a dipingere. La prima volta, pochi giorni dopo il mio arrivo, questa mia occupazione parve sospetta al brigadiere, che ne avvertí subito il podestà, e mandò, ad ogni buon conto, uno dei suoi uomini a sorvegliarmi. Il carabiniere rimase impalato due passi dietro di me a contemplare il mio lavoro, dalla prima all’ultima pennellata. È noioso dipingere con qualcuno dietro le spalle, anche quando non si temono le malvage influenze, come pare avvenis-se a Cézanne: ma checché facessi, non ci fu verso di smuoverlo: aveva la sua consegna. Soltanto, il suo stupi-do viso mutò a poco a poco la sua espressione indagato-ria in una sempre piú interessata; ed egli finí per chiedermi se sarei stato capace di fare un ingrandimento a olio della fotografia della sua mamma morta: che è, per un carabiniere, il massimo punto d’arrivo della pittura.

Le ore passavano, il sole calava, le cose prendevano l’incanto del crepuscolo quando gli oggetti pare risplenda-no di luce propria, interna, non comunicata. Una grande luna esile, trasparente, irreale stava sopra gli ulivi grigi e le case, nell’aria rosata, come un osso di seppia corroso dal sale sulla riva del mare. Ero, in quel tempo, molto amico della luna, perché per molti mesi, chiuso in una cella, non avevo veduto la sua faccia, e il ritrovarla era per me un piacere nuovo. Perciò la dipinsi, in segno di saluto e di omaggio, rotonda e leggera in mezzo al cielo: con grande stupore del carabiniere. Ma già salivano, per controllare il mio lavoro, i dioscuri padroni del luogo, il brigadiere con la sciabola, azzimato e contegnoso, Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli e il podestà, tutto sorrisi, cerimonie e affettata benevolenza. Don Luigino era, naturalmente, un intenditore, e desiderava che io me ne accorgessi, e non lesinò le sue lodi alla mia tecnica. Eppoi, il suo orgoglio patriottico era lusingato che io avessi trovato Gagliano, il suo paese, degno di essere dipinto. Approfittai del suo compiaci-mento per insinuargli che mi sarebbe stato necessario, perché potessi meglio ritrarre le bellezze del luogo, potermi allontanare un po’ di piú dall’abitato. Il podestà e il brigadiere non volevano impegnarsi esplicitamente a questa infrazione ai regolamenti: ma a poco a poco, nelle settimane seguenti si venne a una specie di tacito accordo, per cui avrei potuto, e soltanto per dipingere, di-lungarmi di un due o trecento metri al di là delle case.

Piú che il rispetto per l’arte, mi valsero queste conces-sioni gli intrighi e il desiderio di compiacermi di donna Caterina, e il terror panico delle malattie che si annidava continuamente nell’animo di don Luigino. Don Luigino stava benissimo. Se non si conti un certo squilibrio or-monico che si manifestava piú che altro nel carattere, insieme infantile e sadico, e che non gli portava altro in-conveniente fisico che la voce di falsetto e una certa tendenza alla pinguedine, per il resto crepava di salute.

Ma, per mia fortuna, egli era continuamente in preda al-la fobia di essere malato: oggi aveva la tubercolosi, domani il mal di cuore, dopodomani l’ulcera di stomaco: si tastava il polso, si provava la temperatura, si guardava la lingua allo specchio, e per tutti questi mali, ogni volta che m’incontrava, aveva bisogno di essere rassicurato. Il malato immaginario aveva finalmente un medico a sua disposizione: andassi dunque, qualche volta, a dipingere un poco piú in là: ma non troppo spesso, e non cosí lontano che non mi potessero vedere; di mia iniziativa e a mio rischio, perché egli aveva molti nemici che avrebbero potuto scrivere delle lettere anonime a Matera, met-tendolo in cattiva luce per questa concessione. Quello Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli che io guadagnavo, di spazio e di respiro, non era molto: perché il paese è tutto cinto di burroni, e ci se ne esce soltanto, oltre che dalla parte del cimitero (che non avrei potuto superare, perché al di là si scende sull’altro versante, e sarei uscito di vista), per due soli sentieri.

L’uno è quello, in basso, che correndo sulla cresta delle forre, a saliscendi, conduce da Gagliano a Gaglianello, e su questo avrei potuto andare fino al Timbone della Madonna degli Angeli, al luogo dove il diavolo era apparso al vecchio becchino, poco lontano dalle ultime case del paese. Di qui si stacca, sulla destra, un sentieruolo largo pochi palmi, che scende a zig zag ripidissimi, nel fondo del precipizio, duecento metri piú in basso: questo è il passaggio obbligato e pericoloso che ogni giorno quasi tutti i contadini scendono, con l’asino e la capra, per raggiungere i loro campi là in basso, verso la valle dell’Agri, e risalgono la sera, con i loro carichi d’erbe e di legna, come dei dannati. L’altro sentiero è in alto, all’altro capo del paese. Parte a destra della chiesa, vicino alla casa della vedova, e conduce, in pochi passi, a una piccola sorgente, che fino a pochi anni fa era la sola risorsa del paese. Un filo d’acqua esce da un tubo arrug-ginito fra due pietre e cade in un trogolo di legno, dove le donne vanno talvolta a lavare; di qui trabocca, e, senza nessuno scarico, s’impantana nella terra, paradiso delle zanzare. Il sentiero continua per un breve tratto di campi di stoppie con qualche magro ulivo, e si perde in un complicato labirinto di monticciuoli e di buche di argilla bianca, che si rompe improvviso verso il Sauro, su un altro precipizio. Qui passeggiavo e dipingevo; e qui incontrai un giorno una vipera, avvertito in tempo dall’abbaiare furioso del mio cane.

Questa strana e scoscesa configurazione del terreno fa di Gagliano una specie di fortezza naturale, da cui non si esce che per vie obbligate. Di questo approfittava il podestà, in quei giorni di cosiddetta passione naziona-Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli le, per aver maggior folla alle adunate che gli piaceva di indire per sostenere, come egli diceva, il morale della popolazione, o per fare ascoltare, alla radio, i discorsi dei nostri governanti che preparavano la guerra d’Africa. Quando don Luigino aveva deciso di fare un’adunata, mandava, la sera, per le vie del paese, il vecchio banditore e becchino con il tamburo e la tromba; e si sentiva quella voce antica gridare cento volte, davanti a tutte le case, su una sola nota alta e astratta: – Domattina alle dieci, tutti nella piazza, davanti al municipio, per sentire la radio. Nessuno deve mancare. – Domattina dovremo alzarci due ore prima dell’alba, – dicevano i contadini, che non volevano perdere una giornata di lavoro, e che sapevano che don Luigino avrebbe messo, alle prime luci del giorno, i suoi avanguardisti e i carabinieri sulle strade, agli sbocchi del paese, con l’ordine di non lasciar uscire nessuno. La maggior parte riusciva a partire pei campi, nel buio, prima che arrivassero i sor-veglianti; ma i ritardatari dovevano rassegnarsi ad andare, con le donne e i ragazzi della scuola, sulla piazza, sotto il balcone da cui scendeva l’eloquenza entusiastica ed uterina di Magalone. Stavano là, col cappello in capo, neri e diffidenti, e i discorsi passavano su di loro senza lasciar traccia.

I signori erano tutti iscritti al Partito, anche quei pochi, come il dottor Milillo, che la pensavano diversamente, soltanto perché il Partito era il Governo, era lo Stato, era il Potere, ed essi si sentivano naturalmente partecipi di questo potere. Nessuno dei contadini, per la ragione opposta, era iscritto, come del resto non sarebbero stati iscritti a nessun altro partito politico che potesse, per avventura, esistere. Non erano fascisti, come non sarebbero stati liberali o socialisti o che so io, perché queste faccende non li riguardavano, appartenevano a un altro mondo, e non avevano senso. Che cosa avevano essi a che fare con il Governo, con il Potere, con lo Letteratura italiana Einaudi

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