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Ma è certo che, oltre alla inimicizia tradizionale, una ragione piú particolare e privata muoveva il cuore di donna Caterina, e non tardai, dai suoi accenni non abbastanza reticenti e dalle chiacchiere delle donne in paese, a conoscerla. Il marito di donna Caterina, un grosso uo-mo dalla faccia militarescamente burbanzosa e ottusa, la cui fotografia in divisa da capitano troneggiava nel salotto, il maestro di scuola Nicola Cuscianna, segretario del fascio di Gagliano e braccio destro di suo cognato e di sua moglie nel dominio sul paese, era stato stregato dai begli occhi neri, dall’alto corpo flessuoso, dalla bianca carnagione della bella figlia del farmacista, che pure apparteneva alla famiglia nemica. Se fossero davvero amanti o se la cosa non fosse che una esagerazione di male lingue, non l’ho mai potuto sapere, ma donna Caterina ne era convinta. Donna Caterina non era piú giovane, i vent’anni e la bellezza della sua rivale non potevano non farla tremare. I due supposti amanti non potevano mai vedersi, in un paese cosí piccolo, con mille occhi attenti su di loro, e con quelli vivi e sempre aperti di donna Caterina, che non li perdeva di vista un minuto. Non c’era che un mezzo per poter soddisfare l’irresistibile passione, secondo quanto immaginava, nella sua gelosia, la moglie tradita: donna Caterina doveva scomparire; ed essi cosí avrebbero potuto sposarsi. La bruna incantatrice e la sua bionda e insignificante sorella erano le padrone incontrollate e incompetenti della farmacia paterna, affidata illegalmente alla loro gestione; e tutto il paese mormorava e temeva gli effetti della loro eccessiva disinvoltura nel pesare le medicine. Il mezzo Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli per la soppressione di donna Caterina era dunque a portata di mano: il veleno. E il veleno avrebbe operato senza pericolo di scoperta: dei due medici del paese, l’uno era lo zio dell’avvelenatrice, e certamente complice; l’altro, vecchio e rimbambito, non era in grado di accorgersi di nulla. Donna Caterina sarebbe morta, e i due amanti, impuniti e felici, avrebbero riso insieme sulla sua tomba.

Quale verità stava sotto questa immaginazione delit-tuosa? Quali indizi segreti, quali biglietti d’amore carpi-ti, quali velati accenni nella convivenza quotidiana avevano generato in quell’animo geloso e violento, il dubbio prima, e poi una specie di ossessionata certezza?

Lo ignoro: ma donna Caterina credeva al prodotto della sua fantasia; e del progettato delitto riversava la colpa non tanto sul marito, che era stato stregato, quanto sulla rivale, e su tutti coloro che avevano, in qualunque mo-do, a che fare con lei. L’odio tradizionale, la lotta personale per il potere in paese, alimentata da queste nuove ragioni, si fece violenta e feroce. L’avvelenatrice e tutti i suoi dovevano pagar caro il loro delitto.

Quanto al marito, donna Caterina sapeva come trat-tarlo. Non si doveva fare scandali, nessuno doveva so-spettare di nulla. Donna Caterina gli rinfacciò ogni giorno, fra le pareti domestiche, le sue colpe, lo accusò di adulterio e di assassinio, e gli vietò l’accesso al letto co-niugale. L’autorevole e temuto segretario del fascio di Gagliano perdeva, entrando in casa sua, ogni burbanza: sotto gli occhi neri e fiammanti della moglie egli era l’ultimo dei reprobi, un peccatore senza possibilità di perdono; e doveva acconciarsi a dormire solo, su un sofà nel salotto. Questa triste vita durò sei mesi; finché apparve la sola possibilità di salvezza e di redenzione: la guerra d’Africa. Il delinquente umiliato chiese di andare volontario, pensando che avrebbe cosí espiato le sue colpe, si sarebbe riconciliato, al ritorno, con la moglie, e Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli intanto avrebbe preso lo stipendio di capitano, assai superiore a quello di maestro di scuola; e partí. Il suo esempio, purtroppo, non fu seguito da nessuno. Il capitano Cuscianna e il tenente Decunto di Grassano di cui ho parlato furono i soli volontari in questi due paesi.

Ma, seppure a pochi, anche le guerre servono a qualche cosa. Il capitano Cuscianna era dunque un eroe, donna Caterinia la moglie di un eroe, e nessuno del partito av-verso poteva vantare, a Matera, simile benemerenza. E

ora io ero arrivato, mandato evidentemente da Dio, per aiutare donna Caterina a compiere le sue vendette.

– Anche Luigino voleva andare volontario, con mio marito. Si vogliono bene come due fratelli. Sempre assieme, sempre l’uno per l’altro. Ma Luigino ha poca salute, è sempre malato. Fortuna che ora c’è lei. E poi, chi sarebbe rimasto in paese, per tenere un po’ d’ordine e fare la propaganda? – mi diceva la donna, mentre, atti-rato dall’odore delle focaccine, faceva il suo ingresso nella stanza, a passettini cortissimi, lenti e impacciati, avvolto in una palandrana, con una papalina ricamata in capo e la pipa nella bocca sdentata, don Pasquale Cuscianna, suo suocero. Era un vecchio grasso, pesante e sordo, goloso e avidissimo come un enorme baco da se-ta. Era anche lui, come suo figlio e don Luigi Magalone, maestro elementare: da parecchi anni in pensione. Gagliano, come l’Italia, era in quel tempo in mano ai maestri di scuola. Onorato da tutti, stava in casa tutto il giorno mangiando o dormendo, o si sedeva sul muretto della piazza a fumare. Era malato, mi disse subito la nuora, aveva un restringimento uretrale, e forse un po’

di diabete. Questo non gli impedí di buttarsi, appena arrivato, a divorare con straordinaria voracità le focaccette avanzate. Si sdraiò poi, con dei grugniti di soddisfazione, su una sedia a sdraio, fece mostra di partecipare alla conversazione, di cui non sentiva nulla per la sordità, Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli con qualche borbottío, e, bofonchiando e soffiando a tratti, non tardò ad addormentarsi.

Stavo per prendere congedo, quando si precipitarono nella stanza strillando, saltando, gesticolando, stupefa-cendosi, esclamando, levando le braccia al cielo, abbracciando donna Caterina due ragazze sui venticinque an-ni, età, in questi paesi, già rispettabile per una guagnedda vacantía, per una fanciulla da marito. Erano tarchiate, grassotte, esuberanti, nere come sacchi di carbone, con neri capelli corti arricciolati e svolazzanti, ne-ri occhi che lanciavano fiamme, neri baffi sulle grandi bocche carnose e neri peli sulle braccia e sulle gambe in perpetuo movimento. Erano le due figlie del dottor Milillo, Margherita e Maria. Donna Caterina le aveva man-date a chiamare per presentarmele; le due fanciulle si erano tinte le labbra per l’occasione, con spessi strati di rossetto stridente, si erano infarinate il viso con una ci-pria candida, avevano infilate delle scarpe col tacco, ed erano accorse. Erano delle gran buone ragazze senza un pensiero in mente, di una meravigliosa ingenuità e ignoranza. Tutto le stupiva, di tutto facevano le meraviglie, del mio cane, del mio vestito, della mia pittura, con degli urti di voce acutissimi, il frinire e i salti di due nere cavallette. Si misero subito a parlare di focacce, di torte e di cucina. Donna Caterina non finiva di farmi il loro elogio: erano due ottime massaie. Probabilmente anche Margherita e Maria entravano nei calcoli appassionati di donna Caterina: erano insieme il mezzo, nella sua immaginazione, per persuadere lo zio a farmi buon viso, e per attrarmi, e forse legarmi, al suo partito: chi infatti avrei potuto desiderare di meglio, in un paese, che una figlia di dottore? Donna Caterina mi aveva chiesto se non ero fidanzato, e avrebbe poi con comodo, potuto controllare la mia risposta negativa con la censura postale fatta di nascosto da don Luigino.

Le due povere fanciulle, come me strumenti inconsa-Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli pevoli di una superiore Provvidenza, erano accompagnate da un ragazzotto sui diciott’anni mal vestito, con un viso giallo e storto, dagli occhi ebeti, e un grande lab-brone penzolante, che rimaneva, zitto e intontito, in un angolo della stanza. Era il loro fratello, l’unico maschio di casa Milillo. Il vecchio dottore, che intanto era arrivato, mi confidò che il ragazzo, che era buonissimo, gli da-va però pensiero, perché, avendo avuto una cefalopatia, era rimasto un po’ arretrato, e non c’era verso di farlo studiare. Lo aveva mandato al ginnasio, e in non so quali altre scuole, ma senza successo. Aveva provato a fargli studiare agraria, e non c’era riuscito. Il ragazzo voleva entrare ora al corso per sottufficiale dei carabinieri, e sarebbe partito tra poco. Non sognava che la divisa. Non era questo l’avvenire che il padre aveva sperato per lui, ma era tuttavia una buona posizione. Io non potevo dar-gli torto: sarebbe stato, il povero demente, un brigadiere inoffensivo.

Donna Caterina riportò il discorso, ad intenzione dello zio, sulla mia arte medica. Avevo un bello sforzarmi a farle intendere che io desideravo soltanto di fare il pittore: essa non mi ascoltava. E. il dottore, col suo abituale imbarazzato balbettio, mi raccomandò che, ad ogni mo-do, se avessi visitato dei malati, badassi a non lasciarmi ingannare da una malintesa generosità o dal buon cuore, perché tutti cercavano di non pagare, ma invece le tariffe nazionali erano obbligatorie, che si era tenuti a rispet-tarle per solidarietà professionale, per il decoro a cui non si poteva mancare o che so io. Il vecchio medico non apparteneva se non passivamente al partito dei suoi nipoti, e non partecipava se non per obbligo di parente-la alle loro passioni. Era «troppo buono», come dicevano donna Caterina e don Luigino. Antico nittiano, arrivava anche a disapprovare in privato il fascismo del podestà e a criticare la sua fanfaronaggine, le sue arie di autorità e i suoi gusti polizieschi, ma finiva per adattar-Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli visi, per amor di pace, e per trovarci il suo tornaconto.

Si sarebbe acconciato, sotto la spinta dei nipoti, e fors’anche per l’interesse delle figlie, a non mettermi i bastoni nelle ruote; ma non voleva apparire come un vecchio di cui non si dovesse tener conto e che si potesse manovrare a piacimento. Aveva il suo decoro e il suo puntiglio. Perciò dovetti subirmi da lui delle lunghissime, complicate spiegazioni e un mucchio di paterni e in-teressati consigli. Badassi a farmi pagare, rispettassi le tariffe, non credessi alle chiacchiere dei contadini, che sono bugiardi e ignoranti, e quanto piú sono beneficiati, tanto piú sono sconoscenti e ingrati. Egli era in paese da piú di quarant’anni, li aveva curati tutti, li aveva benefi-cati in tutti i modi, e quelli lo ripagavano dicendo che era rimbambito e incapace. Ma egli era tutt’altro che rimbambito. Era doloroso vedere l’ingratitudine dei contadini. E le loro superstizioni. E la loro ostinazione.

E cosí via, all’infinito.

Quando potei finalmente liberarmi dai balbettii senili del dottore, dagli strilli entusiastici delle figlie, dai grugniti di don Pasquale e dai sorrisi d’intesa di donna Caterina, era il crepuscolo. I contadini risalivano le strade con i loro animali e rifluivano alle loro case, come ogni sera, con la rnonotonia di una eterna marea, in un loro oscuro, misterioso mondo senza speranza. Gli altri, i signori, li avevo ormai fin troppo conosciuti, e sentivo con ribrezzo il contatto attaccaticcio della assurda tela di ragno della loro vita quotidiana; polveroso nodo senza mistero, di interessi, di passioni miserabili, di noia, di avida impotenza, e di miseria. Ora, come domani e sempre, ri-passando per l’unica strada del paese, avrei dovuto ancora rivederli sulla piazza, e riascoltare senza fine i loro astiosi lamenti. Che cosa ero venuto a fare quaggiú?

Il cielo era rosa verde e viola, gli incantevoli colori delle terre malariche, e pareva lontanissimo.

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli Rimasi in casa della vedova per una ventina di giorni, in attesa di trovare altro alloggio. L’estate splendeva nel suo ardore funesto: il sole pareva fermarsi in mezzo al cielo, le argille si spaccavano per l’arsura. Nelle fessure della terra assetata si annidavano le serpi, le vipere corte e tozze di qui, che i contadini chiamano cortopassi, dal veleno mortale. «Cortopassi cortopassi, ove te trova, là te lassi». Un vento continuo faceva asciugare anche i corpi degli uomini: le giornate passavano in una luce senza pietà, monotone nell’attesa del tramonto e del fresco della sera. Stavo seduto nella cucina, e contemplavo il volo delle mosche, unico segno di vita nell’immobile silenzio della canicola. Le imposte di legno, tinte di azzurro verdastro, ne erano coperte: migliaia di punti neri, fermi nel sole, vagamente sussurranti, su cui l’occhio si fissava, oziosamente incantato. A un tratto uno dei punti neri scompariva, col brusio di un volo subitaneo e invisibile, e al suo posto appariva come una piccola stella, un punto luminosissimo bianco coi bordi dorati, che si spegneva a poco a poco. E un’altra mosca si alzava per l’aria, e un’altra stella appariva sull’azzurro dell’imposta; e cosí via, finché Barone, che sonnecchiava ai miei piedi, mugolando a qualche suo bizzarro sogno infantile, non balzava, risvegliato d’improvviso, e afferrava a volo un insetto, rompendo il silenzio col violento battere delle mascelle.

Dalle ringhiere del balcone pendevano e dondolava-no pigre al vento le trecce di fichi, nere di mosche che correvano a sorbirne gli ultimi umori, prima che la vampa del sole li avesse tutti succhiati. Davanti all’uscio, sulla strada, sotto agli stendardi neri seccavano al sole, su tavole dai bordi sporgenti, liquide distese color del sangue di conserva di pomodoro. Sciami di mosche passeg-giavano a piede asciutto sulle parti già solidificate, innu-merevoli come il popolo di Mosè; altri sciami precipitavano e s’impegolavano nelle zone bagnate di Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli quel Mar Rosso, e vi annegavano come eserciti di Farao-ne, impazienti di preda. Il grande silenzio della campagna pesava nella cucina, e il mormorío continuato delle mosche segnava il passare delle ore, come la musica senza fine del tempo vuoto. Ma, a un tratto dalla chiesa vicina, cominciava a suonare la campana, per qualche santo ignoto, o per qualche funzione deserta, e il suono riempiva lamentoso la stanza. Il campanaro, un ragazzotto sui diciott’anni, cencioso e scalzo, con un ipocrita sorriso ladresco, seguiva, nel suonare, una sua triste fantasia interminabile: per tutte le occasioni, era sempre la campana a morto. Il mio cane, sensibile alla presenza degli spiriti, non poteva tollerare quel rumore funebre; e al primo rintocco cominciava ad ululare, con un’angoscia straziante, come se la morte passasse attorno a noi.

O forse era in lui una qualche natura diabolica, che si ar-rovellava a quel sacro concerto? Ad ogni modo, dovevo alzarmi e per calmarlo uscire con lui nel sole. Sui selciati bianchi saltavano le pulci, delle grosse pulci affamate, in cerca d’albergo; le zecche pendevano in agguato dai fili d’erba. Il paese pareva deserto di uomini. I contadini erano nei campi, le donne si celavano dietro le porte se-michiuse. L’unica strada correva giú tra le case e i burroni, fino alla frana, senza un riposo d’ombra. Risalivo lentamente, in cerca degli olivi magri e dei cipressi, verso il cimitero.

Un incanto animalesco pareva stendersi sul paese abbandonato. Nel silenzio meridiano, un rumore improvviso rivelava una scrofa che si rotolava nelle immondizie: poi gli echi venivano svegliati dallo scroscio irresistibile di un raglio, piú sonoro della campana, nella sua fallica grottesca angoscia. I galli cantavano, con quel loro canto del pomeriggio che non ha la gloriosa petulanza del saluto mattinale, ma la tristezza senza fondo della campagna desolata. Il cielo era pieno del volo nero dei corvi, e, piú in alto, delle grandi ruote dei falchi: ci si sentiva Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli guardati di fianco dai loro occhi immobili e rotondi. Invisibili presenze bestiali si manifestavano nell’aria, finché, di dietro a una casa, compariva, con un balzo delle sue gambe arcuate, la regina dei luoghi, una capra, e mi fissava con i suoi incomprensibili occhi gialli. Dietro alla capra correvano dei bambini, seminudi e cenciosi; e con loro veniva una minuscola monaca di quattro anni, con l’abitino e il soggolo e il velo; e un fraticello di cinque anni, con la tonaca e il cordone, cosí vestiti come dei monaci in miniatura o degli Infanti di Velasquez, come si usa spesso qui, per voto. I bambini volevano cavalcare sulla capra, il piccolo frate la prendeva per la barba e ne abbracciava il muso, la monachella si sforzava di salite sulla groppa, gli altri ragazzi la tenevano per le corna e per la coda; ed eccoli in sella, per un momento: poi la capra balzava d’un tratto, e si scrollava, e li buttava nella polvere, e si fermava a guardarli con un sorriso maligno.

Quelli si rialzavano, la riacchiappavano e le rimontavano addosso, e la capra fuggiva saltando selvatica, finché tutti insieme scomparivano dietro la svolta.

I contadini dicono che la capra è un animale diabolico. Anche gli altri fruschi sono diabolici: ma la capra lo è piú di tutti. Questo non vuol dire che sia cattiva, né che abbia nulla a che fare coi diavoli cristiani, anche se talvolta essi scelgano il suo aspetto per mostrarsi. Essa è demoniaca come ogni altro essere vivente, e piú di ogni altro essere: poiché, nel suo aspetto animale, sta celata un’altra cosa, che è una potenza. Per il contadino essa è realmente quello che era un tempo il Satiro, un Satiro vero e vivo, magro e affamato, con le corna curve sul ca-po, e il naso arcuato, e le mammelle o il sesso penzolanti, peloso, un povero Satiro fraterno e selvatico in cerca d’erba spinosa sull’orlo dei precipizi.

Guardato da questi occhi né umani né divini, accompagnato da queste potenze misteriose, arrivavo lentamente verso il cimitero. Ma gli olivi non fanno ombra: il Letteratura italiana Einaudi

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Carlo Levi - Cristo si è fermato a Eboli sole attraversa la loro frasca leggera, come un velo di tul-le. Preferivo allora entrare, per il cancelletto sgangherato, nel piccolo recinto del cimitero: era il solo luogo chiuso, fresco e solitario di tutto il paese. Era anche, forse, il luogo meno triste. Seduto in terra, il biancore abbagliante delle argille scompariva, nascosto dal muro: i due cipressi ondeggiavano al vento, e tra le tombe na-scevano, strani in questa terra senza fiori, dei cespugli di rose. Nel mezzo del cimitero si apriva una fossa, profonda qualche metro, con le pareti ben tagliate nella terra secca pronta per il prossimo morto. Una scaletta a pioli permetteva di entrarci e di risalire senza difficoltà. In quei giorni di calura avevo preso l’abitudine, nelle mie passeggiate al cimitero, di scendere nella fossa e di sdraiarmi nel fondo. Il terreno era asciutto e liscio, il so-le non arrivava laggiú, e non lo arroventava. Non vedevo altro che un rettangolo di cielo chiaro, e qualche bianca nuvola vagante: nessun suono giungeva al mio orecchio.

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