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S’interruppe, come se si sentisse mancare il fiato; volle volgersi a me, ma non gli bastò l’animo di guardarmi in faccia:

— Io… io non ho potuto, creda, neanche dire di no… quando mi hanno…

qua, preso in mezzo… Mi son precipitato su mio fratello che… nella sua incoscienza… malato com’è… irresponsabile, cioè, credo… chi sa! si poteva immaginare, che… L’ho trascinato qua… Una scena selvaggia! Mi son veduto costretto a spogliarlo… a frugargli addosso… da per tutto…

negli abiti, fin nelle scarpe… E lui… ah!

Il pianto, a questo punto, gli fece impeto alla gola; gli occhi gli si gonfiarono di lagrime; e, come strozzato dall’angoscia, aggiunse:

— Così hanno veduto che… Ma già, se lei… Dopo questo, io me ne vado!

— Ma no! Nient’affatto! — diss’io allora. — Per causa mia? Lei deve rimanere qua! Me n’andrò io piuttosto!

— Che dice mai, signor Meis? — esclamò dolente, il Paleari.

Anche Papiano, impedito dal pianto che pur voleva soffocare, negò con la mano; poi disse:

— Dovevo… dovevo andarmene; anzi, tutto questo è accaduto perché io…

così, innocentemente… annunziai che volevo andarmene, per via di mio fratello che non si può più tenere in casa… Il marchese, anzi, mi ha dato…

– l’ho qua – una lettera per il direttore di una casa di salute a Napoli, dove devo recarmi anche per altri documenti che gli bisognano… E mia cognata allora, che ha per lei… meritatamente, tanto… tanto riguardo… è saltata sù

a dire che nessuno doveva muoversi di casa… che tutti dovevamo rimanere qua… perché lei… non so… aveva scoperto… A me, questo! al proprio cognato!… l’ha detto proprio a me… forse perché io, miserabile ma onorato, debbo ancora restituire qua, a mio suocero…

— Ma che vai pensando, adesso! — esclamò, interrompendolo, il Paleari.

— No! — raffermò fieramente Papiano. — Io ci penso! ci penso bene, non dubitate! E se me ne vado… Povero, povero, povero Scipione!

Non riuscendo più a frenarsi, scoppiò in dirotto pianto.

— Ebbene, — fece il Paleari, intontito e commosso. — E che c’entra più adesso?

— Povero fratello mio! — seguitò Papiano, con tale schianto di sincerità, che anch’io mi sentii quasi agitare le viscere della misericordia.

Intesi in quello schianto il rimorso, ch’egli doveva provare in quel momento per il fratello, di cui si era servito, a cui avrebbe addossato la colpa del furto, se io lo avessi denunziato, e a cui poc’anzi aveva fatto patir l’affronto di quella perquisizione.

Nessuno meglio di lui sapeva ch’io non potevo aver ritrovato il danaro ch’egli mi aveva rubato. Quella mia inattesa dichiarazione, che lo salvava proprio nel punto in cui, vedendosi perduto, egli accusava il fratello o almeno lasciava intendere – secondo il disegno che doveva aver prima stabilito – che soltanto questi poteva essere l’autore del furto, lo aveva addirittura schiacciato. Ora piangeva per un bisogno irrefrenabile di dare uno sfogo all’animo così tremendamente percosso, e fors’anche perché sentiva che non poteva stare, se non così, piangente, di fronte a me. Con quel pianto egli mi si prostrava, mi s’inginocchiava quasi ai piedi, ma a patto ch’io mantenessi la mia affermazione, d’aver cioè ritrovato il denaro: che se io mi fossi approfittato di vederlo ora avvilito per tirarmi indietro, mi si sarebbe levato contro, furibondo. Egli – era già inteso – non sapeva e non doveva saper nulla di quel furto, e io, con quella mia affermazione, non salvavo che suo fratello, il quale, in fin de’ conti, ov’io l’avessi denunziato, non avrebbe avuto forse a patir nulla, data la sua infermità; dal canto suo,

ecco, egli s’impegnava, come già aveva lasciato intravedere, a restituir la dote al Paleari.

Tutto questo mi parve di comprendere da quel suo pianto. Esortato dal signor Anselmo e anche da me, alla fine egli si quietò; disse che sarebbe ritornato presto da Napoli, appena chiuso il fratello nella casa di salute, liquidate le sue competenze in un certo negozio che ultimamente aveva avviato colà in società con un suo amico, e fatte le ricerche dei documenti che bisognavano al marchese.

— Anzi, a proposito, — conchiuse, rivolgendosi a me. — Chi ci pensava più? Il signor marchese mi aveva detto che, se non le dispiace, oggi…

insieme con mio suocero e con Adriana…

— Ah, bravo, sì! — esclamò il signor Anselmo, senza lasciarlo finire. —

Andremo tutti… benissimo! Mi pare che ci sia ragione di stare allegri, ora, perbacco! Che ne dice, signor Adriano?

— Per me… — feci io, aprendo le braccia.

— E allora, verso le quattro… Va bene? — propose Papiano, asciugandosi definitivamente gli occhi.

Mi ritirai in camera. Il mio pensiero corse subito ad Adriana, che se n’era scappata singhiozzando, dopo quella mia smentita. E se ora fosse venuta a domandarmi una spiegazione? Certo non poteva credere neanche lei, ch’io avessi davvero ritrovato il denaro. Che doveva ella dunque supporre? Ch’io, negando a quel modo il furto, avevo voluto punirla del mancato giuramento.

Ma perché? Evidentemente perché dall’avvocato, a cui le avevo detto di voler ricorrere per consiglio prima di denunziare il furto, avevo saputo che anche lei e tutti di casa sarebbero stati chiamati responsabili di esso.

Ebbene, e non mi aveva ella detto che volentieri avrebbe affrontato lo scandalo? Sì: ma io – era chiaro – io non avevo voluto: avevo preferito di sacrificar così dodici mila lire… E dunque, doveva ella credere che fosse generosità da parte mia, sacrifizio per amor di lei? Ecco a quale altra menzogna mi costringeva la mia condizione: stomachevole menzogna, che mi faceva bello di una squisita, delicatissima prova d’amore, attribuendomi una generosità tanto più grande, quanto meno da lei richiesta e desiderata.

Ma no! Ma no! Ma no! Che andavo fantasticando? A ben altre conclusioni dovevo arrivare, seguendo la logica di quella mia menzogna necessaria e inevitabile. Che generosità! che sacrifizio! che prova d’amore! Avrei potuto forse lusingare più oltre quella povera fanciulla? Dovevo soffocarla, soffocarla, la mia passione; non rivolgere più ad Adriana né uno sguardo né una parola d’amore. E allora? Come avrebbe potuto ella mettere d’accordo quella mia apparente generosità col contegno che d’ora innanzi dovevo impormi di fronte a lei? Io ero dunque tratto per forza a profittar di quel furto ch’ella aveva svelato contro la mia volontà e che io avevo smentito, per troncare ogni relazione con lei. Ma che logica era questa? delle due l’una: o io avevo patito il furto, e allora per qual ragione, conoscendo il ladro, non lo denunziavo, e ritraevo invece da lei il mio amore, come se anch’ella ne fosse colpevole? o io avevo realmente ritrovato il denaro, e allora perché non seguitavo ad amarla?

Sentii soffocarmi dalla nausea, dall’ira, dall’odio per me stesso. Avessi almeno potuto dirle che non era generosità la mia; che io non potevo, in alcun modo, denunziare il furto… Ma dovevo pur dargliene una ragione…

Eran forse denari rubati, i miei? Ella avrebbe potuto supporre anche questo… O dovevo dirle ch’ero un perseguitato, un fuggiasco compromesso, che doveva viver nell’ombra e non poteva legare alla sua sorte quella d’una donna? Altre menzogne alla povera fanciulla… Ma, d’altra parte, la verità ch’ora appariva a me stesso incredibile, una favola assurda, un sogno insensato, la verità potevo io dirgliela? Per non mentire anche adesso, dovevo confessarle d’aver mentito sempre? Ecco a che m’avrebbe condotto la rivelazione del mio stato. E a che pro? Non sarebbe stata né una scusa per me, né un rimedio per lei.

Tuttavia, sdegnato, esasperato com’ero in quel momento, avrei forse confessato tutto ad Adriana, se lei, invece di mandare la Caporale, fosse entrata di persona in camera mia a spiegarmi perché era venuta meno al giuramento.

La ragione m’era già nota: Papiano stesso me l’aveva detta. La Caporale soggiunse che Adriana era inconsolabile.

— E perché? — domandai, con forzata indifferenza.

— Perché non crede, — mi rispose, — che lei abbia davvero ritrovato il danaro.

Mi nacque lì per lì l’idea (che s’accordava, del resto, con le condizioni dell’animo mio, con la nausea che provavo di me stesso) l’idea di far perdere ad Adriana ogni stima di me, perché non mi amasse più dimostrandomele falso, duro, volubile, interessato… Mi sarei punito così del male che le avevo fatto. Sul momento, sì, le avrei cagionato altro male, ma a fin di bene, per guarirla.

— Non crede? Come no? — dissi, con un tristo riso, alla Caporale. —

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