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– Che cosa dici, Steerforth, di pensar con indulgenza e di pensar molto male. Il mio affetto per te è sempre lo stesso, immutabile.

Mi sentivo così compunto d’avergli mai fatto torto, anche con un pensiero non formulato, che la confessione fu sul punto di varcarmi le labbra. Ma se non fosse stato per la riluttanza che avevo di tradire la confidenza d’Agnese, ma se non fosse stato per non saper come dirla senza tradirla, la confessione le avrebbe varcate, prima ch’egli dicesse: «Dio ti benedica, Margheritina, e buona sera!». Nel dubbio che mi teneva, la confessione non le varcò; e ci stringemmo la mano e ci separammo.

Ero in piedi con l’alba incerta, e, vestitomi senza far rumore, m’affacciai nella sua stanza. Egli dormiva profondamente, coricato tranquillamente con la testa sul braccio, come l’avevo spesso veduto dormire a Salem House.

Arrivò poi il tempo, e presto, ché mi domandai perché nulla turbasse il suo riposo in quel momento. Ma dormiva – mi piace ancora di rappresentarmelo così –

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come l’avevo spesso visto dormire a Salem House; e così, in quell’ora di silenzio, lo lasciai.

... Per non toccar mai più, Steerforth, che Dio ti perdoni, quella tua mano allora insensibile, con sentimento di affetto e d’amicizia. Oh, no, no, mai più!

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XXX.

UNA PERDITA

Arrivai a Yarmouth la sera, e discesi all’albergo. Sapevo che la cameretta in più di Peggotty – la mia – sarebbe stata fra poco abbastanza occupata, se non era già in casa quella grande Visitatrice, innanzi alla quale tutti i viventi debbono far largo: così discesi all’albergo, e vi desinai, e vi presi stanza.

Erano le dieci quando uscii. Molte botteghe erano chiuse, e la città era triste. Arrivato innanzi a Omer e Joram, trovai gli scuri chiusi, ma la porta ancora aperta. Siccome in fondo vidi Omer, seduto a fumare accanto all’uscio del retrobottega, entrai e gli domandai notizie della sua salute.

– Bene, che Dio vi benedica! – disse Omer. – E voi come state? Accomodatevi. Non vi dispiace il fumo, spero?

– Per nulla affatto – io dissi: – mi piace anzi... nella pipa degli altri.

– Come, non nella vostra, eh? – rispose Omer, ridendo.

– Tanto meglio, signore. Cattiva abitudine questa, per un giovane. Accomodatevi, neanch’io fumerei, se non fos-777

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se per l’asma.

Omer m’aveva fatto posto, dandomi una sedia. Si risedette senza fiato, aspirando forte la pipa, come se contenesse una provvista di quell’elemento, ed egli vi s’attac-casse per non morire.

– Son dolente d’aver sentito cattive notizie di Barkis –

dissi.

Omer mi guardò con aspetto grave, e scosse il capo.

– Sapete come stia stasera? – chiesi.

– Vi avrei fatto la stessa domanda, signore – rispose Omer – se non fosse stato per ragioni di delicatezza. È

uno degli svantaggi del nostro mestiere. Quando qualcuno è malato, noi non possiamo domandare come sta.

Non avevo pensato a quella difficoltà; ma pure entrando avevo avuto il timore di sentire l’antico ritmo. Giacché Omer m’accennava a quella difficoltà, approvai la sua delicatezza e glielo dissi.

– Sì, sì, voi mi capite – disse Omer, scotendo il capo. –

Noi non ne abbiamo il coraggio. Capite, sarebbe un colpo dal quale la maggior parte dei malati non potrebbero riaversi, dire: «Omer e Joram vi mandano i loro saluti, e desiderano sapere come state questa mattina» o «questa sera», secondo i casi.

Scambiai con Omer un cenno del capo, e Omer riprese lena con l’aiuto della pipa.

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– È una delle cose che vietano alle persone del nostro mestiere di mostrarsi gentili come sarebbe nei loro desideri. Vedete me, per esempio. Ho conosciuto Barkis un anno fa, ma nel modo che lo salutavo quando passava di qui, si sarebbe detto che lo conoscessi da quaranta. Pure non posso andare a dirgli: «Come state?».

Era crudele per Omer, e glielo dissi.

– Io non sono più interessato, credo, d’un altro – disse Omer. – Vedete me. Il fiato può mancarmi in qualunque momento, e non è probabile, per quanto io mi sappia, che, in simili condizioni, io possa essere interessato.

Dico non è probabile in un uomo che sa che il suo fiato se n’andrà, quando se n’andrà, come se si spaccasse un mantice; in un uomo che è nonno per giunta.

Dissi: «Lo so bene».

– Non che mi dolga del mio mestiere – disse Omer: –

non è questo. C’è un po’ di bene e un po’ di male, senza dubbio, in tutte le professioni. Vorrei soltanto che la gente venisse educata in modo da avere un cuore più fermo.

Omer, con un viso pieno di compiacenza e di amabilità, cacciò parecchie boccate di fumo in silenzio, e poi disse, tornando al primo punto:

– Quindi noi siamo costretti, per sapere come sta Barkis, a limitarci a interrogare l’Emilia. Lei sa qual è il nostro vero scopo, e non ha maggior timore e sospetto di noi, 779

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come se si trattasse di tanti agnelli. Minnie e Joram sono appunto andati a trovarla (essa è, là in casa della zia a darle una mano) per domandarle come sta Barkis stasera; e se non vi dispiacerà d’attendere il loro ritorno, avrete delle notizie precise. Volete prendere qualche cosa? Un bicchiere di rum ed acqua, per esempio?

Quando fumo, bevo sempre rum e acqua – disse Omer, prendendo il bicchiere – perché mi si dice che ammorbi-disce i canali per i quali passa questo mio respiro, fasti-dioso. Ma, il Signore vi benedica – disse Omer con voce rauca – non sono i canali che sono guasti! Datemi abbastanza fiato... dico io a mia figlia Minnie... ché ci penso io a trovargli il passaggio.

Are sens