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– Vorrei sapere, zia, se non sia molto dispendioso intraprendere la professione del procuratore, che mi sembra limitata a poche persone.

– Costerà – rispose mia zia – perché tu sia procuratore, precisamente un migliaio di sterline.

– Ora, mia cara zia – dissi, facendomele più da presso con la sedia – per questo non sono tranquillo. Mille sterline sono una gran somma. Avete già speso molto per la mia educazione, e siete sempre generosa oltre misura.

Siete stata l’anima della generosità. Certamente vi sono altri modi di cominciar la vita senza sborsar molto, e pur 615

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con molta speranza di farsi strada a forza di tenacia e d’applicazione. Non sarebbe molto meglio tentare questi modi? Siete certa di poter spendere senza grave vostro danno una somma simile, e che sia bene spenderla così?

Solo vi chiedo, mia seconda madre, di riflettere prima di decidere.

Mia zia finì di mangiare la fettolina di pane che aveva in mano, guardandomi fissa in viso nel frattempo; e poi posando il bicchiere sulla mensola del caminetto, e tenendo le mani sulla gonna rimboccata, rispose come segue:

– Trot, figlio mio, se io ho uno scopo nella vita, è quello di curare che tu sia un uomo buono, assennato e felice.

È l’unico mio desiderio... è l’unico desiderio di Dick.

Mi piacerebbe che alcune persone di mia conoscenza sentissero ciò che dice Dick a questo proposito. La sua sagacia è meravigliosa. Nessuno, all’infuori di me, sa la penetrazione di quell’intelligenza.

Si fermò un momento per prendermi una mano fra le sue, e continuò:

– È inutile, Trot, ricordare il passato, se non ha qualche effetto sul presente. Forse avrei potuto essere in migliori relazioni d’amicizia con tuo padre; forse avrei potuto essere in migliori rapporti d’amicizia con quella povera piccina di tua madre, anche dopo il tiro fattomi da tua sorella Betsey Trotwood. Quando tu ti rifugiasti da me, 616

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fanciulletto smarrito, tutto polveroso e lacero e stanco, forse mi dissi così. Da allora ad oggi, Trot, tu m’hai fatto onore, orgoglio e piacere. Nessun altro può arrogarsi dei diritti sulla mia sostanza; cioè... – qui con mia gran sorpresa parve esitare e se ne stette confusa – no, nessun altro può arrogarsi dei diritti sulla mia sostanza... e tu sei il mio figliuolo adottivo. Soltanto, nella mia vecchiaia siimi figliuolo amichevole e sopporta i miei capricci e le mie bizzarrie; e tu farai per me, che non ebbi l’inizio della vita così felice, né conciliante come avrebbe potuto essere, più di quanto avrò fatto per te.

Era la prima volta che udivo mia zia alludere al suo passato. V’era una nobiltà nella sua maniera tranquilla di accennarvi, e di passar oltre, che avrebbe aumentato, se fosse stato necessario, il mio rispetto e il mio affetto per lei.

– Così siamo d’accordo, Trot – disse mia zia – e non sarà necessario parlarne più. Dammi un bacio, e domani, dopo colazione, andremo al Commons.

Ci trattenemmo a conversare lungamente accanto al fuoco prima d’andare a letto. Io dormii in una camera dello stesso piano di mia zia, e durante la notte fui tratto tratto disturbato dai colpi ch’essa dava alla porta, domandandomi agitata, poiché le avveniva di udire un rumore distante di vetture o di carri che si recavano al mercato, se sentissi arrivar le pompe: ma verso giorno, si lasciò vincere dal sonno, e mi permise di dormire in 617

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pace.

Era circa mezzogiorno, quando ci mettemmo in via per l’ufficio dei signori Spenlow e Jorkins nel Doctor’s Commons. Mia zia, che aveva, su Londra in genere, l’idea che ogni persona che vi s’incontrava fosse un borsa-iuolo, mi diede da portare la borsa, che conteneva dieci sterline in oro e un po’ d’argento.

Sostammo innanzi a una bottega di balocchi di Fleet Street per vedere i giganti di Saint Dunstan percuotere le campane; – avevamo regolato la nostra passeggiata in modo da arrivare alla meta a mezzodì preciso – e poi ci avviammo in direzione di Ludgate Hill e del cimitero di San Paolo. Eravamo già a Ludgate Hill, quando mi accorsi che mia zia accelerava straordinariamente il passo, tutta sbigottita. Osservai, nello stesso tempo, che un certo tipo male in arnese e di cattiva ciera s’era fermato per vederci passare, e poi s’era messo a seguirci, facendosi così vicino a mia zia da sfiorarle le vesti.

– Trot, mio caro Trot! – esclamò mia zia, con un bisbiglio di sgomento, stringendomi il braccio. – Non so più che fare.

– Non abbiate paura – io dissi. – Non c’è nulla da aver paura. Entrate in una bottega, e io mi libererò subito da questo seccante.

– No, no, figlio mio! – essa rispose. – Per carità, non gli parlare. Ti supplico, te lo comando.

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– Santo Cielo, zia! – dissi. – Non è che un mendicante insolente.

– Tu non sai chi è – rispose mia zia. – Tu non sai chi è.

Tu non sai che ti dici.

Ci eravamo fermati in un portone nel frattempo, e s’era fermato anche lui.

– Non guardarlo! – disse mia zia, mentre io gli davo un’occhiata indignata – ma fammi venire una vettura, mio caro, e aspettami nel cimitero di San Paolo.

– Aspettarvi? – ripetei.

– Sì – soggiunse mia zia – Debbo andar sola. Debbo andare con lui.

– Con lui, zia, con quell’uomo?

– Sì, non sono matta – rispose – e ti dico ché debbo andare. Chiamami una vettura.

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