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sempre tanto amica. Non v’andresti per una giornata, se tu fossi nei miei panni?

Il suo volto era pensoso. Egli stette un po’ a meditare prima di rispondere, a voce bassa:

– Bene, va’. Non fai male ad andare.

– Tu ne ritorni appunto adesso – dissi – e sarebbe inutile dirti di venire con me.

– Perfettamente inutile – egli disse. – Stasera me ne vado a Highgate. Da parecchio tempo non veggo mia madre, e ne ho rimorso, perché significa pur qualche cosa essere amato nel modo come ella ama il suo figliuol prodigo... Bah! Sciocchezze!... Immagino che tu intenda partire domani? – egli disse, tenendomi a distanza, con una mano su ciascuna delle mie spalle.

– Sì, vorrei partir domani.

– Bene, allora, rimanda fino a posdomani. Volevo che tu venissi a stare pochi giorni con noi. Ero venuto apposta per dirtelo, ed ecco che tu prendi la fuga per Yarmouth.

– Hai un bel coraggio di parlar di fuga, Steerforth, quando tu non fai continuamente che correre di qua e di là senza uno scopo concepibile.

Mi guardò un momento senza parlare, e poi soggiunse, ancora tenendomi per le spalle e scotendomi:

– Su, dimmi che vai posdomani, e vieni a passar con noi 759

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quanto più puoi della giornata di domani. Chi sa quando c’incontreremo di nuovo. Su, dimmi che parti posdomani. Voglio che tu ti frapponga fra Rosa Dartle e me, e ci tenga separati.

– Vi vorreste bene troppo, senza di me?

– Sì, o ci odieremmo forse, chi sa! – disse, ridendo, Steerforth. – Su, di’ che parti posdomani.

Dissi posdomani, ed egli s’infilò il soprabito, s’accese il sigaro, e si preparò ad andarsene a casa a piedi. Appresa la sua intenzione, m’infilai anch’io il soprabito (ma non accesi alcun sigaro, avendone avuto già abbastanza una volta) e l’accompagnai fino alla strada maestra, che non era allegra di notte. Mi si mostrò pieno di vivacità per tutta la strada; e quando ci separammo, e lo vidi andare innanzi con tanto ardore e leggerezza, pensai a ciò che m’aveva detto: «Scavalchiamo tutti gli ostacoli per vincere il palio!», e gli augurai per la prima volta che avesse di mira un palio degno d’esser vinto.

Stavo spogliandomi per andare a letto, quando sul pavimento mi cadde la lettera del signor Micawber, che avevo dimenticata. Ne ruppi il suggello, e lessi ciò che segue, datato un’ora e mezza prima del desinare. Non ricordo se abbia già avvertito che, quando il signor Micawber si trovava in condizioni disperate, usava una specie di fraseologia legale, che gli sembrava il modo migliore di dar sesto agli affari.

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«Signore... perché non oso dire mio caro Copperfield.

«È convenevole informarvi che il sottoscritto è Annien-tato? Voi avete potuto osservare in lui quest’oggi qualche esitante sforzo per risparmiarvi la prematura conoscenza della sua condizione calamitosa; ma la speranza è tramontata sotto l’orizzonte, e il sottoscritto è Annien-tato.

«La presente comunicazione è vergata nella sfera personale (non posso dir compagnia) di un individuo in uno stato confinante con l’ebrietà, impiegato d’un creditore pignoratario. Questo individuo è in legale possesso della mia dimora, sotto sequestro per il debito della pigione.

Il suo inventario include non soltanto i beni mobili e gli effetti di ogni natura appartenenti al sottoscritto, come affittuario annuo di questa dimora, ma anche quelli appartenenti al signor Tommaso Traddles, subaffittuario, membro dell’Onorevole corporazione del Temple.

«Se qualche goccia di fiele mancasse alla già traboccante coppa, in questo istante avvicinata alle labbra del sottoscritto, si troverebbe nella circostanza che, per un’amichevole garanzia concessa al sottoscritto dal sul-lodato signor Tommaso Traddles, per la somma di sterline 23, 4 scellini e 9 pence, non è stato ancora provveduto. E nella circostanza inoltre, che le viventi responsabilità a carico del sottoscritto saranno, nel corso naturale delle cose, aumentate dall’aggiunta d’un’altra disperata 761

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vittima, la cui infelice comparsa si può aspettare – per dirla con una cifra tonda – al termine d’un periodo non eccedente sei mesi lunari dalla presente data.

«Dopo aver detto tanto, sarebbe atto di superrogazione aggiungere, che polvere e cenere sono per sempre sparse

Sulla

«Testa

«Di

«Wilkins Micawber.»

Povero Traddles! A quell’ora conoscevo già abbastanza il signor Micawber per prevedere che si poteva aspettare che egli si riavesse dal colpo; ma il mio riposo di quella notte fu gravemente angosciato dal pensiero di Traddles, e della figlia dell’ecclesiastico che faceva parte d’una famiglia di dieci sorelle, e che era una ragazza tanto cara e avrebbe aspettato Traddles (o sinistro elogio!) fino a sessant’anni e più, all’occorrenza.

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XXIX.

DI NUOVO IN CASA DI STEERFORTH

La mattina dissi al signor Spenlow di aver bisogno d’un congedo per un po’ di tempo; e poiché io non riscotevo alcun stipendio, e per conseguenza non arrecavo alcun nocumento all’implacabile Jorkins, non ci fu difficoltà ad ottenerlo. Colsi quel destro per esprimere, con la lingua che mi s’incollava al palato e gli occhi che mi si velavano mentre pronunziavo le parole, la speranza che la signorina Spenlow stesse in buona salute: alla qual cosa il signor Spenlow rispose, con non maggiore commozione che se stesse parlando d’un ordinario essere umano, che m’era molto obbligato, e ch’ella stava benissimo.

Noi impiegati studenti, germi dell’ordine patrizio dei procuratori, eravamo trattati con tanta considerazione, che io ero quasi sempre padrone di tutto il mio tempo.

Siccome, però, non intendevo d’andare a Highgate prima delle due pomeridiane, e avevamo quella mattina un altro piccolo caso di scomunica in Corte, caso chiamato

«Il dovere del giudice invocato da Tipkins contro Bul-lock per la correzione della sua anima», «vi passai un paio d’ore di piacevole assistenza col signor Spenlow. Il caso era originato da una zuffa tra due fabbricieri, uno 763

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dei quali era accusato d’aver spinto l’altro contro una pompa, il cui manico, essendo dal lato d’una scuola sotto il comignolo d’una chiesa, faceva di quello spintone un oltraggio ecclesiastico. Il processo fu divertente, e andando a Highgate, a cassetta sulla diligenza, pensavo al Doctors’ Commons, e a ciò che m’aveva detto una volta il signor Spenlow: Toccate il Doctors’ Commons, se volete far crollare il paese».

La signora Steerforth fu lieta di rivedermi, come pure Rosa Dartle. Ebbi una sorpresa gradita nel trovar che Littimer era assente; e che era molto più piacevole e assai meno sconcertante, serviti com’eravamo da una modesta camerierina con una cuffia a nastri azzurri, trovarsi per caso addosso gli sguardi di lei invece di quelli dell’uomo rispettabile. Ma ciò che particolarmente osservai, prima che avessi passato mezz’ora in quella casa, fu l’attenta, rigorosa sorveglianza della signorina Dartle su di me; e la sua destrezza nel fare il paragone del mio viso con quello di Steerforth, e di quello di Steerforth col mio, e il suo atteggiamento d’agguato per qualche cosa che dovesse venir fuori fra i due. Tutte le volte che guardavo verso di lei, ero sicuro di veder quel viso affilato, dagli occhi ardenti e neri e dalla fronte penetrante, indagare il mio; poi passare immediatamente a quello di Steerforth, oppure comprenderci in un solo sguardo. E

lungi dal cessare quel suo esame quasi di lince, quando vide che me n’ero accorto, a volte ella fissava soltanto sopra di me quel suo sguardo di succhiello con un’e-764

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