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– Oh! Ed è tutto – ella esclamò, spuntandogli la fedina con un paio di forbicine irrequiete, che gli luccicavano sul viso in tutte le direzioni. – Benissimo, benissimo! È

tutto un romanzo. Dovrebbe finire: «E dopo vissero sempre felicemente», non è vero? Oh! Come dice quel giuoco a penitenza? Io voglio bene al mio amore con l’E, perché è eccellente; lo odio con l’E perché è esitante; lo condussi all’insegna dell’eleganza, e lo trattai con un’estorsione: il suo nome è Emilia, e vive ad est? Ah!

ah! ah! Signor Copperfield, lo vedete come sono pazze-593

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rellona?

Guardandomi semplicemente con una strana aria d’astuzia, e non aspettando una risposta, continuò senza tirare il fiato:

– Ecco, se vi fu mai un cattivo soggetto pettinato e accomodato a perfezione, siete voi, Steerforth. Se v’è una zucca al mondo che io comprenda, è la vostra. Mi ascoltate quando vi parlo, caro? Io comprendo perfettamente la vostra zucca – ella disse, facendogli capolino sulla fronte. – Ora potete andare. Steerforth (come si dice in tribunale), e se il signor Copperfield vuol prendere il vostro posto, saprò accontentarlo.

– Che dici, Margheritina? – chiese Steerforth, ridendo e cedendomi la sedia. – Vuoi abbellirti?

– Grazie, signorina Mowcher, questa sera no.

– Non dite di no – rispose la donnina guardandomi con l’aria di un conoscitore; – un po’ più di sopracciglia?

– Grazie – risposi – un’altra volta.

– Volete che ve le trasporti mezzo quarto di pollice verso le tempie? – disse la signorina Mowcher. – Si può farlo in una quindicina di giorni.

– No, grazie. Non ora.

– E non volete un ciuffettino? – mi sollecitò. – No? Allora mettiamo le basi d’un bel paio di basette. Su!

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Non potei fare a meno dall’arrossire mentre rifiutavo, perché sentivo, che ella mi aveva toccato nel debole. Ma la signorina Mowcher, comprendendo che in quel momento non ero disposto a nessuna specie di decorazione nell’ambito della sua arte, e che ero, per allora almeno, a prova di bomba contro le blandizie della boccettina ch’ella teneva alta innanzi a un occhio per dar forza ai suoi argomenti, mi disse che ci saremmo rivisti al più presto, e invocò l’aiuto della mia mano per discendere da quell’alto picco. Grazie al mio ausilio, saltò con molta agilità, e cominciò a legarsi il doppio mento nei nastri del cappellino.

– Vi debbo... – disse Steerforth.

– Cinque scellini soli – rispose la signorina Mowcher –

ed è quasi per nulla, galletto mio. Non sono una pazzerellona, signor Copperfield?

Risposi cortesemente: «Ma niente affatto». Pure, quando la vidi gettare in aria la moneta come un prestidigitatore, acchiapparla, farla cadere in tasca, e battervi su la mano con un forte schiocco, mi dissi che era proprio così.

– Questo è lo scrigno – osservò la signorina Mowcher, mettendosi di nuovo accanto alla sedia, e rimettendo nella borsa la miscellanea di oggettini che n’aveva tratta fuori. – Ho ripreso tutti i miei arnesi? Sembra di sì! Non sarebbe piacevole di trovarsi nella condizione di Ned 595

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Beadwood, quando fu condotto in chiesa, per fargli sposare non so chi, com’egli diceva, e dimenticarono la fidanzata. Ah! ah! ah! Un briccone, quel Ned, ma tanto buffo. Ora, so che vi do un dolore, ma son costretta a lasciarvi. Però dovete farvi coraggio, e cercar di sopportarlo. Addio, signor Copperfield! State attento, Jockey di Norfolk. Quanto ho chiacchierato! Tutta colpa vostra, birbanti! Vi perdono, Bunsuar... come diceva Bob, dopo la sua prima lezione di francese, bunsuar, figliuoli miei.

Con la borsa gettata sul braccio, e ciarlando sempre, si diresse dondolando alla porta, dove si fermò, chieden-doci se non dovesse lasciarci una ciocca dei suoi capelli.

«Non sono una pazzerellona?» ella aggiunse, come un commento all’offerta, e uscì puntandosi l’indice sul naso.

Steerforth rise tanto, che non potei fare a meno dall’imi-tarlo; ma non son certo, se senza quell’allettamento avrei fatto lo stesso. Dopo quell’esplosione di risate, che durarono abbastanza, egli mi disse che la signorina Mowcher aveva una numerosa clientela, e si rendeva utile a una gran quantità di persone in vari modi. Alcuni la trattavano come un semplice balocco, ma essa era un’osser-vatrice di straordinaria acutezza: aveva, facendo una variazione a un certo proverbio, la testa grossa, ma il cervello fino. Mi disse che ciò ch’essa mi aveva detto di trovarsi di qua e di là e da per tutto, rispondeva perfettamente al vero; perché faceva dei viaggetti in provincia, 596

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e sembrava trovasse dei clienti per ogni dove, e conoscesse tutti. Gli chiesi qual fosse il carattere di lei: se maligno, o in generale disposto ad apprezzare il lato buono delle cose; ma non riuscendo a ottenere una risposta a due o tre domande di questo genere, vi rinunziai o dimenticai di ripeterle. Egli mi disse invece, con gran rapidità, molte cose sull’abilità e i lucri della signorina Mowcher; e che finalmente ella sapeva applicare scientificamente le coppette, se mai mi fossi trovato in necessità di servirmi di lei per quel genere di operazione.

Ella formò l’argomento principale dei nostri discorsi per tutta la serata; e quando ci separammo per andare a letto, Steerforth mi chiamò dal pianerottolo mentre me ne andavo, per gridarmi «Bunsuar».

Mi sorprese, arrivando a casa di Barkis, di trovar Cam che passeggiava su e giù innanzi alla porta, e anche più d’apprender da lui che l’Emilietta era lì dentro. Io naturalmente chiesi perché non fosse entrato anche lui, invece di star lì a fare la sentinella.

– Perché, vedete, signorino Davy – egli soggiunse con una certa esitazione – l’Emilia deve parlare con una persona.

– Sarebbe – dissi io sorridendo – una ragione di più per entrare anche tu, Cam.

– Bene, signorino Davy, in altri casi sarebbe così – egli 597

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