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voglio dire, insomma, dall’influenza della donna, nel suo sublime carattere di moglie, esse debbono attendersi con certezza ed esser sopportate con filosofia. Se mi permetti la libertà di osservare che vi sono pochi com-mestibili migliori d’un arrosto alla diavola, e che credo, con una piccola divisione del lavoro, di poterne fare uno ottimo; sol che la giovine persona che ci serve ci procuri una graticola, ti garantirei che a questa piccola disgrazia si può facilmente metter riparo.

V’era una graticola in cucina, sulla quale arrostivo la mattina la mia fetta di lardo. In un baleno fu a nostra disposizione, e immediatamente ci dedicammo all’attua-zione dell’idea del signor Micawber.

La divisione del lavoro alla quale egli aveva accennato era questa: Traddles tagliava il cosciotto a fette; il signor Micawber, che poteva fare a perfezione qualunque cosa di simil genere, le copriva di pepe, di mostarda, di sale e pepe di Caienna: io le mettevo sulla graticola, le rivoltavo con una forchetta, e le trasferivo nel piatto sotto la guida del signor Micawber; e la signora Micawber scaldava, e continuamente mescolava un po’

d’estratto di funghi in una casseruolina. Quando ci furono abbastanza fette per cominciare a mangiare, comin-733

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ciammo a spacciarle con grande energia, con le maniche ancora rimboccate sui polsi, mentre altre fette strideva-no e vampeggiavano al fuoco, e la nostra attenzione si divideva fra la carne sul piatto e la carne in preparazione.

Vi so dire che con la novità di questo processo culinario, con la sua squisitezza, col trambusto che produceva, col continuo correre al focolare a sorvegliare, e il continuo sedersi a tavola ad assaltare le croccanti fette tolte roventi dalla graticola, con l’essere noi così affaccendati, così scaldati dal fuoco, così divertiti e in mezzo a tanto allettante rumore e sapore, il cosciotto di castrato fu ridotto al semplice osso. Io stesso avevo miracolosamente riacquistato l’appetito. Me ne vergogno a dirlo, ma credo che dimenticassi un pochino Dora. Son soddisfatto pensando che se il signore e la signora Micawber avessero dovuto vendere il letto per imbandire il festino, non avrebbero potuto divertirsi di più. Traddles rise cordialmente, in tutto il tempo, mangiando e lavorando. E tutti così, tutti insieme; e potrei dire che non vi fu mai un successo maggiore.

Eravamo al colmo della gioia, e tutti febbrilmente occupati, nelle nostre diverse sezioni, sforzandoci di portare l’ultima cotta di fette a un punto di perfezione da coro-nare la festa, quando m’accorsi della presenza d’un estraneo nella stanza, e i miei occhi incontrarono quelli del grave Littimer, ritto col cappello in mano innanzi a 734

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me.

– Che c’è? – chiesi involontariamente.

Vi domando scusa, signore, mi s’è detto di entrare. Il mio padrone non è qui, signore?

– No.

– Non l’avete veduto, signore?

– No: non eravate con lui?

– Per il momento no, signore.

– Che, v’ha detto che l’avreste trovato qui?

– Non proprio così, signore. Ma credo che sarà qui domani, se non è venuto oggi.

– Arriva da Oxford?

– Scusatemi, signore – egli rispose rispettosamente; –

voi accomodatevi, e lasciate a me la cura di tutto. Così dicendo, mi tolse di mano la forchetta, che io gli lasciai senza resistenza, e si chinò sulla graticola, come per concentrarvi tutta la sua attenzione.

Non ci saremmo molto sconcertati, direi, anche se fosse comparso Steerforth, ma innanzi al suo rispettabile domestico diventammo a un tratto gli esseri più timidi e sommessi del mondo. Il signor Micawber, canticchiando un’arietta, per mostrar di starsene a suo agio, si adattò al suo posto, col manico d’una forchetta nascosta in fretta che gli usciva dal seno dell’abito, come se si fosse trafit-735

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to. La signora Micawber s’era messa i guanti marrone, assumendo un’aria di nobile languore. Traddles si ficcò le mani unte nei capelli, che erano irti come aculei, e guardava confuso la tovaglia. Quanto a me, avevo l’aria sciocca d’un ragazzo messo a capotavola; e m’arrischiavo appena di dare uno sguardo al fenomeno di rispettabilità, che era venuto da chi sa dove a mettermi l’ordine in casa.

Frattanto egli pigliava il castrato dalla graticola, e gravemente lo serviva in giro. Tutti ne prendemmo un poco, ma la voglia di mangiarlo se n’era andata, e non lo toccammo che per convenienza. Siccome a uno a uno respingemmo i piatti, egli li tolse in silenzio, e ci servì il formaggio. Tolse anche il formaggio, quando questo ebbe fatto il giro; sparecchiò; ammucchiò ogni cosa sulla credenzina: ci diede i bicchieri; e di sua iniziativa spinse la credenzina nella cucina. Tutto egli eseguì in maniera irreprensibile, non levando mai gli occhi da ciò che l’occupava. E coi gomiti, quando mi voltava le spalle, sembrava ripetere la sua incrollabile opinione, che io fossi molto giovine.

– Debbo far null’altro, signore?

Lo ringraziai e gli dissi «No»; e gli domandai se lui non volesse mangiare.

– No, grazie, signore.

– Il signor Steerforth arriva da Oxford?

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– Scusate, signore?

– Dico se il signor Steerforth arriva da Oxford.

– Credo che potrà essere qui domani, signore. Pensavo, anzi, che potesse essere arrivato qui oggi, signore.

Senza dubbio, l’errore è mio.

– Se doveste vederlo prima... – dissi.

– Scusatemi, signore, ma non credo che lo vedrò prima.

– Nel caso che lo vediate – dissi – fatemi il piacere di dirgli che m’è dispiaciuto non fosse qui oggi, perché sarebbe stato con un altro suo antico compagno di scuola.

– Veramente, signore? – ed egli divise un inchino fra me e Traddles, con un’occhiata a quest’ultimo.

Se n’andava lentamente verso la porta, quando nella folle speranza di esprimere qualche cosa di semplice e naturale – cosa che non mi riusciva mai, con quell’uo-mo – dissi:

– Oh, Littimer!

– Signore!

– Siete rimasto a lungo a Yarmouth, questa volta?

– Veramente no, signore.

– Avete visto il battello finito?

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