Ad un tratto ci passò accanto – evidentemente li seguiva
– una giovane donna che non avevamo vista arrivare. La guardai in faccia, mentre passava, e mi parve mi ride-stasse un vago ricordo. Era leggermente vestita, appariva piena di baldanza e di selvatichezza e di miseria; ma in quel momento, andando innanzi nel vento, sembrava non avesse altro scopo che di raggiungerli. Siccome l’oscuro orizzonte lontano, avvolgendo le persone nella sua ombra, non lasciava che sé stesso visibile fra noi e il mare e le nuvole, la giovane scomparve come erano scomparsi l’Emilia e Cam, ma senza seguirli più da presso di prima.
– È un’ombra nera che insegue l’Emilia – disse Steerforth, fermandosi a un tratto. – Che cosa significa?
Parlava in tono basso, che mi pareva quasi strano.
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– Chi sa, forse vorrà chieder loro l’elemosina – io dissi.
– Una mendicante non vorrebbe dir nulla di strano – disse Steerforth – ma è strano che stasera dovesse assumere quella forma.
– Perché? – gli chiesi.
– Per niente, ma perché pensavo veramente – egli disse dopo un istante di silenzio – a qualche cosa di quel genere, quando l’ho vista apparire. Mi domando donde diamine sia potuta sbucare.
– Dall’ombra di questo muro, credo – dissi uscendo su una strada, che aveva da un lato un muro a picco.
– Finalmente è scomparsa – rispose, guardando di lato.
– E che il diavolo se la porti! Andiamo a desinare.
Ma guardò ancora una volta di lato, verso la linea del mare che tremolava lontano; e poi un’altra volta. E continuò a brontolare fra sé per il resto della strada; e solo quando ci sedemmo a tavola, tra il chiarore del fuoco e il lume delle candele, parve non ci pensasse più.
C’era Littimer che produsse su me il suo effetto solito. Quando gli dissi che m’auguravo che la signora Steerforth e la signorina Dartle stessero in buona salute, egli rispose rispettosamente (e quindi rispettabilmente) che stavano piuttosto bene, e mi mandavano i loro saluti. Questo fu tutto; e parve che mi dicesse invece, nella forma più evidente: «Voi siete molto giovane, signore; 579
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giovanissimo, anzi».
Avevamo quasi finito di desinare, quando Littimer, facendo un passo o due verso la tavola, dall’angolo donde ci sorvegliava, o piuttosto, com’era la mia impressione, donde mi sorvegliava, disse al padrone:
– Vi domando scusa, signore, la signorina Mowcher è qui.
– Chi? – esclamò Steerforth, meravigliato.
– La signorina Mowcher, signore.
– Ma via, dunque, che cosa viene a far qui? – disse Steerforth.
– Sembra, signore, ch’ella sia di queste parti. M’ha detto che viene qui ogni anno, girando per la sua professione.
L’ho incontrata oggi per via, e mi chiese se poteva aver l’onore di presentarsi a voi dopo il desinare.
– Conosci la gigantessa di cui si parla, Margheritina? –
chiese Steerforth.
Fui costretto a confessare – e mi vergognavo di essere colto in fallo innanzi a Littimer – che non conoscevo affatto la signorina Mowcher.
– Allora la conoscerai – disse Steerforth – perché è una delle sette meraviglie del mondo. Quando viene la signorina Mowcher, falla entrare.
Sentivo una certa curiosità e una certa ansia intorno 580
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a quella signorina, anche perché Steerforth scoppiava a ridere alle mie domande, e rifiutava assolutamente di rispondermi. Rimasi, perciò, in uno stato di intensa aspettazione finché, dopo una mezz’ora che la tavola era stata sparecchiata e noi stavamo con la nostra bottiglia di vino innanzi al fuoco, la porta si aperse, e Littimer, con la sua solita serenità e imperturbabilità, annunciò:
– La signorina Mowcher.
Guardai sulla soglia e non vidi nulla. Guardavo ancora la soglia, pensando che la signorina Mowcher indugias-se a mostrarsi, quando, con mia gran meraviglia vidi dondolare presso un divano che era fra me e la porta una nanerottola fra i quaranta e i quarantacinque anni, dalla testa grossa e dal viso largo, dagli occhi grigi pieni di malizia e le braccia così piccole che fu costretta, per poter metter il dito sul naso camuso mentre sbirciava in aria astuta Steerforth, d’andare col naso incontro al dito a metà strada. Il mento, che era duplice, era tanto grasso che e nascondeva interamente i nastri del cappellino, il nodo e tutto. Di gola non appariva traccia; non metteva conto di parlare neppure di busto e di gambe; perché, sebbene ella fosse di statura ordinaria fin dove avrebbe dovuto essere la vita, e benché terminasse, come termi-nano in generale, gli esseri umani, con un paio di piedi, era così piccola che stava contro una sedia comune, dopo avervi deposto certo suo borsone o sacco, come di fronte a un tavolino. Questa donna, in un’acconciatura 581
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un po’ negletta, col naso e l’indice tenuti insieme con qualche sforzo, con la testa voltata necessariamente da un lato, e con un occhio chiuso, in atteggiamento di chi la sa lunga, dopo aver ammiccato a Steerforth per alcuni istanti, si profuse in un torrente di parole.
– Che! fiore del cuor mio – incominciò scherzosamente, scotendo la grossa testa verso di lui. – Siete qui, siete.